"Funzionari" della tecnica

Quando Martin Heidegger scriveva "La questione della tecnica" nel 1954, non immaginava smartphone, intelligenza artificiale o social media. Eppure, le sue riflessioni descrivono con precisione questi tempi.

Heidegger introdusse il concetto di Gestell (impianto, dispositivo) per descrivere l'essenza della tecnica moderna: non è uno strumento neutro, ma un modo di rivelare il mondo che trasforma tutto in "fondo disponibile" (Bestand).

Oggi, questa logica ci pervade. I social media trasformano le relazioni in metriche (like, follower, condivisioni), le piattaforme ottimizzano i desideri in algoritmi, e noi stessi diventiamo "risorse umane" da massimizzare.

La realtà non esiste più come tale, ma solo come informazione da estrarre e utilizzare.

Heidegger avvertì che l'uomo rischiava di diventare il "funzionario" della tecnica anziché il suo padrone. Non è forse quello che accade quando si controllano compulsivamente le notifiche o si scorrono i reel? O quando i ritmi biologici si adattano agli schermi, quando le decisioni vengono delegate agli algoritmi di raccomandazione?

La tecnica non ci sta servendo: siamo noi a servirla.

C’ è bisogno di prendere consapevolezza e riscoprire momenti di "presenza" non mediata da dispositivi, coltivare il pensiero critico oltre l'immediatezza digitale. Ma la domanda a questo punto è, si è in grado di pensare la tecnologia senza essere pensati da essa? 

Sanitari senza vocazione

C'è qualcosa di profondamente sbagliato quando chi detiene la vita altrui nelle proprie mani si comporta come se stesse svolgendo il più banale dei lavori.

Ci è capitato molte volte di assistere a scene incresciose: infermieri che giocano con lo smartphone mentre in sala d'attesa ci sono persone che soffrono, OSS scorbutici, ostetriche che chiacchierano di gossip da condominio mentre stanno assistendo al miracolo di una nascita, medici che sembrano annoiati dalla presenza del paziente che hanno di fronte.

Cari soggetti che lavorate nella sanità, i vostri non sono mestieri qualunque. Sono professioni che toccano i momenti più delicati dell'esistenza umana: la nascita, la malattia, la paura, il dolore, la speranza. Eppure spesso, chi le esercita sembra non conoscere il peso di quello che fa.

Non parliamo di competenze tecniche, ma della consapevolezza del proprio ruolo, del rispetto per chi si affida alle tue cure, della comprensione di essere tutto in un determinato momento per quella persona.

Una volta entrati nell’ingranaggio tanti professionisti perdono il senso del loro ruolo, far nascere un bambino o stare in linea ad avvitare bulloni diventa la stessa cosa. Quando un'ostetrica discute delle beghe condominiali con le colleghe mentre sta aiutando una donna a mettere al mondo suo figlio, sta profanando uno dei momenti più sacri dell'esperienza umana, sta trasformando un miracolo in routine, un momento unico in un episodio qualunque della sua giornata lavorativa. Lo stesso vale per l'infermiere che controlla i social mentre in corsia ci sono persone che hanno paura, che soffrono, che aspettano una parola di conforto. Tale comportamento tradisce non solo i pazienti ma anche la nobiltà stessa della professione che ha scelto.

La verità è che un tempo queste professioni erano considerate vocazioni, oggi sono solo un modo di guadagnarsi da vivere e avere uno stipendio sicuro, non una chiamata a servire gli altri nei momenti più vulnerabili della loro esistenza.

Chi lavora in questi ambiti dovrebbe sapere meglio di chiunque altro quanto contino i dettagli per chi sta male, quanto sia importante ogni gesto, ogni parola, ogni sguardo.

Lavorare nella sanità ha un significato che va oltre il salario a fine mese. Chi sceglie di occuparsi della vita degli altri ha una grande responsabilità, perché quando si ha a che fare con la vita, la sofferenza e la speranza delle persone, non si può mai essere "solo" al lavoro.

Un tempo c'era una dimensione quasi spirituale nel prendersi cura di chi soffre, nell'accompagnare chi nasce o chi muore. Oggi tutto è ridotto a protocolli, turni, stipendi. La persona è diventata un "caso", il dolore una "sintomatologia", la nascita una "procedura". Dalle università e dalle scuole di formazione escono perlopiù burattini gelidi fatti con lo stampino. La tecnica ha preso ormai il sopravvento completo sull’umano.  


Dal nichilismo alla trascendenza: il black metal come fenomeno spirituale

"Dal nichilismo alla trascendenza: il black metal come fenomeno spirituale", Edizioni WI

Un saggio che va oltre la superficie per esplorare l'anima di un movimento rivoluzionario, erroneamente scambiato dai più per una mera espressione di ribellione adolescenziale e di immaturità protratta.

Non è l'ennesimo libro sul metal estremo. È uno studio profondo su cosa significa tale fenomeno culturale nel nostro tempo, sulla sua funzione di specchio implacabile delle contraddizioni contemporanee.

Perché dedicare un saggio a questo argomento? Perché riteniamo il black metal uno specchio fedele delle contraddizioni della nostra epoca: il desiderio di trascendenza in un mondo immanente, la tensione verso l'assoluto in un contesto relativistico.

Il movimento è una forma di diagnosi culturale: attraverso le sue molteplici e contraddittorie manifestazioni, rivela i sintomi di una civiltà che ha perso i propri riferimenti spirituali ma non ha ancora trovato alternative convincenti. È proprio questa instabilità, questa ricerca perpetua e mai conclusa, a renderlo degno di una analisi approfondita.

 

Il testo si rivolge non solo a chi ha vissuto la scena dall'interno, assistendo alle sue metamorfosi, ma anche a chi vuole comprendere un fenomeno culturale che ha attraversato gli ultimi trent'anni senza accontentarsi delle interpretazioni convenzionali. Dietro quel muro di suono e quell' estetica apparentemente impenetrabile si nasconde una riflessione esistenziale che merita di essere esplorata senza pregiudizi. "Dal nichilismo alla trascendenza" è un libro pensato per chi sa guardare oltre le apparenze e riconoscere che anche dalle espressioni più estreme dell'arte possono emergere domande universali e, talvolta, risposte inaspettate. Spesso è proprio dai margini che si comprende meglio il centro.

INDICE

Introduzione

1 - Le origini del black metal

• Un fenomeno culturale

• Cronologia storica del black metal

2 - Sociologia del fenomeno

• Il rifiuto del cristianesimo sociale

• Il ruolo dell' élitarismo

• L’anti-commercialismo

• L'impatto sulla cultura contemporanea

3 - Tematiche e simbolismo

• Le diverse direzioni prese dal movimento

• La nascita del dungeon synth

• Dal satanismo al paganesimo

• L'influenza di Tolkien e la sua reinterpretazione

• Il paradosso apparente: il “christian black metal”

• Il concetto di "purezza" e "verità" nel black metal

• L'estetica guerriera e la metafora bellica

4 - La dimensione spirituale

• La paradossale ricerca del sacro attraverso la dissacrazione

• Il black metal come movimento neospiritualista

• La Via Negativa

5 - Una riflessione critica

• Il black metal come pharmakon: medicina o veleno?

• L’eredità spirituale e letteraria

Conclusione

Appendice – Discografia

200 pagine

Il libro è disponibile fisicamente e online presso:

• Pagan Moon, Via Gaudenzio Ferrari 2, Torino. (Info@paganmoon.eu)

• Libreria Europa, Via Tunisi 3/A, Roma. (https://www.libridelbardo.com/politica-e-societa/2534-dal-nichilismo-alla-trascendenza.html)

• Passaggio al Bosco, Via Borromeo 48, San Casciano V.P. – Firenze. (https://www.passaggioalbosco.it/autori/weltanschauung-italia/)

• Su Amazon (https://www.amazon.it/Dal-nichilismo-alla-trascendenza-spirituale/dp/B0FF35VS8Z)

• Scrivendo a weltanschauungdb@gmail.com

L' "evoluzione" di Puffetta

Casualmente ci capita di guardare con dei bimbi una puntata dei Puffi, la versione recente del 2021. Subito ci salta all’occhio il personaggio di Puffetta.

Nei cartoni animati degli anni ‘60 il suo personaggio era stato creato per sedurre i puffi maschi, era definita dalla sua bellezza e femminilità ed era spesso oggetto di contesa tra i personaggi maschili.

Negli anni '80 e '90, Puffetta sviluppa una personalità più articolata, ma rimane comunque relegata in ruoli tradizionalmente femminili: la premurosa, la pacificatrice, quella che si occupa degli aspetti "domestici" del villaggio.

Arriviamo alla nuova serie, Puffetta versione 4.0, un personaggio totalmente ribaltato, diventa la leader del gruppo, insegna ogni cosa ai maschietti incapaci, è la guida in ogni situazione difficile, prende decisioni autonome e guida le missioni dei maschi tonti. Non ha più bisogno di essere "salvata" dagli altri come in passato, ora è esattamente il contrario. Non più fragile ma guerriera, è maestra d'arti marziali, insegna tecniche di combattimento ai Puffi maschi, è forte fisicamente, ha abilità fisiche superiori, è coraggiosa e affronta i pericoli in prima linea.

In generale la nuova puffetta eccelle in campi tradizionalmente "maschili".

Ehi ma i bambini di oggi hanno bisogno di crescere con modelli di genere più fluidi, avete capito?

Il ribaltamento dell’ennesimo personaggio dei cartoni non dimostra semplicemente un adattamento ai “cambiamenti della società” ma mostra ancora una volta come i media siano potenti strumenti di cambiamento sociale agendo proprio sui bambini.



Ipermedicalizzazione, voci profetiche del Novecento

 "La salute non è un bene che si possiede, ma un modo di essere nel mondo" (Gadamer)

Il noto filosofo del XX secolo Hans-Georg Gadamer, fece grandi riflessioni sul concetto di salute in un mondo dominato dalla medicina tecno-scientifica. Egli criticò l'approccio puramente tecnico della medicina moderna, che tende a ridurre l'essere umano a un insieme di meccanismi, a focalizzarsi sulla malattia piuttosto che sulla persona ignorando la dimensione esistenziale. Per Gadamer il medico deve saper "ascoltare" non solo i sintomi, ma la storia, il vissuto, l'esperienza del paziente. Ogni sintomo va "interpretato" nel contesto della vita del paziente e la guarigione passa attraverso la comprensione poiché il corpo "parla" un linguaggio che richiede ascolto e interpretazione.

Le riflessioni di Gadamer trovano eco nel pensiero di Ivan Illich, che negli stessi anni sviluppa una critica ancora più radicale al sistema medico industriale. Nel suo "Nemesi medica" (1976), Illich denuncia la medicina moderna che, a suo dire, aveva sottratto alle persone la capacità di prendersi cura di sé, trasformando la salute da competenza personale e comunitaria a monopolio professionale.

Nel Novecento anche Michel Foucault fa notare come la medicina moderna eserciti un controllo disciplinare sui corpi, mentre Thomas Szasz denuncia la "medicalizzazione" dei problemi esistenziali. Georges Canguilhem riflette sul concetto di "normalità" in medicina, sostenendo che ogni individuo ha la propria norma vitale e Viktor Frankl, psichiatra e filosofo, sottolinea come la ricerca di senso sia fondamentale per la guarigione.

Tutti questi autori vanno ripresi, leggerli in epoca di ipermedicalizzazione e tecnologia avanzata, ci ricorda che la vera medicina deve essere olistica poiché coinvolge corpo, mente e spirito. Deve essere relazionale e legata al senso e al significato della vita.  Le loro analisi ci ricordano che la salute rimane, fondamentalmente, una questione profondamente umana.

La stampella New Age

I più acuti avranno notato come, ormai da decenni, concetti spirituali orientali vengano selettivamente adottati e reinterpretati per servire logiche economiche dominanti.

Per esempio il concetto di impermanenza (anicca nel buddhismo) o di flusso continuo (nel taoismo) non sono più inerenti alla comprensione della natura transitoria dell'esistenza. Nella loro trasposizione occidentale, attraverso la New Age, vengono ridotti a una giustificazione dell'instabilità lavorativa: "abbraccia il cambiamento", "sii flessibile", "reinventati continuamente". La distorsione è evidente: mentre nelle tradizioni originali l'impermanenza porta alla liberazione dall'attaccamento e alla compassione universale, nella versione neoliberale diventa un imperativo di adattamento alle esigenze del mercato del lavoro.

Oppure, l'enfasi sulla responsabilità individuale ("sei tu che crei la tua realtà") devia l'attenzione dalle strutture sistemiche di potere. Se il lavoratore precario non riesce a "manifestare" stabilità economica, il problema è solo la sua "vibrazione" o la sua mentalità.

La meditazione? Viene proposta come soluzione allo stress lavorativo invece che come strumento per questionare le condizioni che generano quello stress.

Ovviamente coloro che promuovono questa filosofia del "cambiamento continuo" per i lavoratori sono gli stessi che costruiscono imperi dinastici, accumuli patrimoniali e reti di potere estremamente stabili. La precarietà è per gli altri, la stabilità per sé. Le grandi corporation tecnologiche, ad esempio, utilizzano retoriche buddhiste negli ambienti lavorativi mentre implementano strategie di monopolizzazione che contraddicono qualsiasi principio di non-attaccamento o equanimità. La spiritualità autentica dovrebbe includere la critica sociale e la solidarietà collettiva.

Le tradizioni orientali contenevano forti elementi di giustizia sociale: il concetto di karma include la responsabilità verso la comunità, il buddhismo primitivo era egualitario, il taoismo criticava l'artificiosità delle gerarchie sociali. In conclusione la liberazione individuale e quella collettiva sono interconnesse - proprio come insegnano le filosofie orientali nella loro forma integrale, non in quella addomesticata messa in circolo dai padroni.



Accettazione e rassegnazione

La passiva accettazione di fronte a ciò che accade è un atteggiamento ormai normalizzato e sovente accompagnato da frasi di circostanza che sembrano voler giustificare un certo stato di cose. L’impossibilità ad agire, l’avere “le mani legate” ed essere costretti ad adeguarsi alle situazioni se non, addirittura, ad obbedire, sono la via preferita dalla maggior parte delle persone. Un tempo, individui di tal fatta erano definiti ‘ignavi’. Non prendere una posizione, vieppiù in circostanze che richiedevano uno schieramento netto, veniva biasimato e presumibilmente la meta nell’aldilà sarebbe stato l’Antinferno.

Oggi capita raramente sentire qualcuno dissentire rispetto alla maggioranza, prevalgono silenzio e accettazione e quando questi ultimi si estendono su vasta scala producono l’effetto ‘spirale del silenzio’. La maggioranza diventa tiranna e riduce al silenzio chi possiede un’opinione diversa e minoritaria.

I pavidi, gli inetti e gli ignavi si adeguano sempre volentieri, senza porsi troppe domande e lasciando che il tempo languisca e la vita scorra. L’accettazione si trasforma in rassegnazione e si diventa arrendevoli e incapaci di agire. Il risultato, talvolta ancor più tragico, è che gli ignavi riescano ad ottenere ruoli di potere. L’incapacità decisionale associata all’inettitudine diventa rovinosa e trascina con sé, con una forza inaspettata, persino gli spiriti critici. Ribellarsi, controbattere, obiettare, comportano spessore argomentativo e audacia di cui dispongono in pochi, tuttavia per quei pochi dovrebbe essere vissuta come uno stile di vita. 


AM