L' origine spirituale della lotta contro la cultura – N.Berdjaev

Nella cultura agiscono due principi: quello conservatore, rivolto al passato, col quale mantiene un legame di successione, e quello creatore, che è rivolto al futuro e che forma nuovi valori. Nella cultura invece non può agire il principio rivoluzionario, distruttivo. Il principio rivoluzionario è per sua essenza ostile alla cultura, è anticulturale. La cultura è inconcepibile senza una successione gerarchica, senza una disuguaglianza qualitativa. Il principio rivoluzionario invece è ostile a ogni gerarchicità e tenta di distruggere le qualità. Lo spirito rivoluzionario vuole servirsi della civilizzazione, vuole appropriarsi delle sue conquiste utilitarie, mentre non vuole la cultura, la cultura non gli serve. Non a caso a voi rivoluzionari piace così tanto parlare della natura borghese della cultura, dell'iniquità da cui sono nate tutte le culture, e non a caso concionate con tanto pathos contro il prezzo troppo alto della cultura, contro la disuguaglianza e i sacrifici con cui viene acquistata. Nessuno di voi dentro di sè tiene alla cultura, nessuno la ama intimamente, la sente come un valore proprio, come una ricchezza propria. La cultura è stata creata da uomini che avevano uno spirito a voi estraneo. Non c’è niente nei grandi monumenti della cultura che susciti in voi un sacro timore. Siete disposti a distruggere con leggerezza tutti i monumenti delle grandi culture, tutti i loro valori creativi in nome di scopi utilitaristici, in nome del bene delle masse popolari. E’ ora di smascherare una volta per tutte il vostro atteggiamento ambiguo verso la cultura. Voi non potete creare una cultura nuova, perché non si può in generale creare una cultura nuova che non abbia alcun legame di successione con la cultura del passato, che non abbia alcuna tradizione.

L’idea di una cultura nuova e rivoluzionaria di questo tipo è una contradictio in adjecto. La novità che voi volete creare non può più chiamarsi cultura. Voi parlate molto della cultura proletaria e rivoluzionaria che viene portata nel mondo dalla vostra classe messia. Ma fino ad ora non si è visto il benché minimo segnale della nascita di una cultura proletaria, non c’è neppure un indizio che una simile cultura sia possibile. Nella misura in cui il proletariato viene introdotto alla cultura, la assume interamente dalla borghesia. Persino il socialismo l'ha ricevuto dalla borghesia. La cultura si manifesta dall’alto in basso. L’atteggiamento “proletario” e l’ autocoscienza “proletaria” sono di per sé ostili alla cultura. Concepirsi in modo militante come “proletari” significa rinnegare qualsiasi tradizione e qualsiasi principio sacro, qualsiasi legame col passato e qualsiasi successione, significa non avere antenati, non conoscere le proprie origini. Con un simile stato d’animo non si può amare la cultura e creare cultura, non si può avere a cuore alcun valore come cosa propria. L’operaio può partecipare alla vita della cultura se non si considera un “proletario”. Il socialismo non introduce nel mondo alcun nuovo tipo di cultura. E quando i socialisti parlano di una qualche nuova cultura spirituale, si percepisce sempre la menzogna nelle loro parole. I socialisti stessi sono in imbarazzo nel fare questi discorsi. E quei socialisti che vorrebbero sinceramente una nuova cultura non capiscono di avere irrimediabilmente imboccato la strada dalla parte sbagliata. Su questa strada non si crea una cultura. Non si può fare della cultura l’appendice di qualche altra causa essenziale e fondamentale, non la si può considerare come un passatempo della domenica. Si può creare cultura solo quando la si considera una questione sostanziale, fondamentale. I socialisti vogliono indirizzare la volontà e la coscienza dell’uomo esclusivamente verso il lato materiale ed economico della vita. E poi fanno finta di non essere contro la cultura, di avere un gran desiderio di una cultura nuova. Ma da quale fonte dovrebbe scaturire questa nuova cultura, dopo che nell’anima umana si saranno inaridite tutte le fonti creative e lo spirito sarà spento e schiacciato dalla materia sociale? Già la democrazia ha abbassato il livello qualitativo della cultura ed è riuscita soltanto a distruggere, e non a creare valori culturali. Il socialismo, dal canto suo, è riuscito ad abbassare ulteriormente questo livello. La divisione e la distribuzione della cultura non porta a far sì che un numero maggiore di persone cominci a vivere degli autentici interessi della cultura. Al contrario, questa divisione e distribuzione non fa che diminuire ancora di più il numero di persone che dedicano la propria vita alla cultura superiore. E non c’è da stupirsene. Voi dividete e spartite non in nome della cultura stessa, non per un motivo e uno slancio spirituale creativo, ma unicamente in base a interessi economici e politici, per considerazioni utilitarie, in nome dei beni terreni. Tuttavia la vita spirituale superiore non è compatibile con chi rivolge tutta la propria energia agli interessi della vita materiale. Voi che insegnate che la cultura è una sovrastruttura della vita materiale ed economica della società, potete soltanto distruggere la cultura. Il vostro atteggiamento verso la cultura non può essere serio fino in fondo. La democratizzazione e la socializzazione delle società umane eliminano lo strato culturalmente superiore. Ma se questo strato non esiste, la cultura diventa impossibile. Bisogna rendersene conto e trarne tutte le inevitabili conseguenze. Sulla via della democrazia non si possono creare la “Scienza” e “l’Arte”, non nascono la filosofia e la poesia, non appaiono profeti e apostoli. La chiusura delle fonti aristocratiche della cultura comporta l’inaridirsi di ogni fonte. Sarà necessario vivere spiritualmente sul capitale morto del passato, negando e odiando questo passato. E le stesse fonti della cultura nel passato si perdono sempre più, e il distacco da esse si approfondisce sempre più. Tutta la cultura europea di stile alto e legata alle tradizioni dell‘antichità. L’autentica cultura e infatti la cultura antica greco-romana e non esiste nessun’altra cultura in Europa. L’epoca del rinascimento in Italia è stata un’epoca altamente culturale, diversamente dall’epoca della riforma e della rivoluzione, non solo perché non ha prodotto una frattura rivoluzionaria nelle tradizioni della cultura, ma anche perchè ha rianimato la tradizione della cultura antica e su questa ha eretto il proprio inaudito slancio creativo. Il tipo spirituale del rinascimento è un tipo culturale e creatore. Il tipo spirituale della riforma produce la distruzione delle tradizioni ecclesiali e culturali, introduce un principio rivoluzionario, non creativo. La cultura antica è entrata nella Chiesa cristiana, e la Chiesa è stata la conservatrice delle tradizioni della cultura nell’epoca della barbarie e delle tenebre. La Chiesa orientale ha ricevuto la tradizione della cultura antica attraverso Bisanzio. La Chiesa occidentale ha ricevuto la tradizione della cultura antica attraverso Roma. Il culto della Chiesa è intriso di Cultura; proprio a partire dal culto e attorno ad esso è stata creata la nuova cultura della vecchia Europa.

La cultura europea è innanzitutto e soprattutto una cultura latina e cattolica. Vi si rintraccia il legame ininterrotto con l’antichità; vi si può studiare la natura della cultura. Se noi russi non siamo fino in fondo barbari e sciti e solo perché attraverso la Chiesa ortodossa, attraverso Bisanzio abbiamo acquisito un legame con le tradizioni della cultura greca antica. Tutte le rivoluzioni sono dirette contro la Chiesa e vogliono spezzare il legame con le tradizioni della cultura antica, che sono entrate a far parte della Chiesa. E per questo rappresentano una rivolta barbarica contro la cultura. La lotta contro la cultura nobile, contro la simbologia culturale è iniziata già dall'iconoclastia, dalla lotta contro il culto. Questa è l'origine spirituale della lotta contro la cultura.


Fonte: “Pensieri controcorrente”, di N.Berdjaev (La casa di matriona)



Fatalismo e ribellione

E se ci fossimo abbandonati al fatalismo? Quale deriva più grave potrebbe prendere il corso degli eventi e della nostra esistenza? Mera passività, fisica ed intellettuale, letargia della ragione, annientamento della logica normativa, cieca fiducia nella scienza e nella medicina, che rinnega sé stessa e i suoi sacri precetti.

Bisogna oggi quindi riscoprire la figura del "ribelle". Ma chi è un ribelle? 

Ernst Junger ci insegna che "Chiamiamo invece Ribelle chi nel corso degli eventi si è ritrovato isolato, senza patria, per vedersi infine consegnato all'annientamento. Ma questo potrebbe essere il destino di molti, forse di tutti – perciò dobbiamo aggiungere qualcosa alla definizione: il Ribelle è deciso ad opporre resistenza, il suo intento è dare battaglia, sia pure disperata. Ribelle è dunque colui che ha un profondo, nativo rapporto con la libertà, il che si esprime oggi nell'intenzione di contrapporsi all'automatismo e nel rifiuto di trarne la conseguenza etica, che è il fatalismo."

Ribelle è chi rifiuta il meccanismo imposto. Ribelle è colui che resiste anche se sa intimamente di aver perso. Ribellione è contrapposizione forsennata a chi accetta il suo destino senza tentare di modificarne il corso. Ribellione è vita. La resistenza è ciò che ci separa dalla china fatale del fatalismo. Cedendo ad esso cadremmo in un burrone da cui nessuno ci verrà mai a raccogliere. Saremo isolati, certo, rifiutati ed etichettati, ma almeno ci saremo lavati la coscienza nei confronti delle generazioni future.



"Il libro dell'inquietudine" di Fernando Pessoa

 “Il libro dell’inquietudine” è un testo straordinario, ferisce come una lama di luce troppo abbagliante, accecandoti scaraventandoti improvvisamente nel buio più nero.

Bernardo Soares è uno dei molti eteronimi di Fernando Pessoa, personalità fittizie e personaggi letterari che solo in parte corrispondono alla personalità dello scrittore portoghese, sono solo possibilità di manifestazione, stati dell’essere multiforme che l’autore si diverte a mettere in scena, a prestare loro voce. Una finzione letteraria quindi, la quale si interroga incessantemente, consumata da un dolore insanabile, sul senso della vita, dell’essere, di Dio e del mondo circostante. Paralizzato in questa disperata abulia, abdica alla vita, come chi, avendo sollevato il velo dell’illusione e scorgendo la Verità ne viene devastato, spezzato e sconfitto. Una luce che non riesce a sostenere, che lo acceca e condanna ad un incurabile malinconia.

Nel disincanto dello svelamento tutto diventa inutile e privo di senso.

Quell’inquietudine è maledizione,angoscia e senso di vuoto, solitudine assoluta, distanza incolmabile tra gli esseri, inettitudine ad amare ciò che ormai ha rivelato la sua inconsistenza. La riflessione che penetra il fondo distrugge l’oggetto contemplato, lo uccide privandolo della sua attrattiva che è legata al mistero, a ciò che rimane sconosciuto.

Certe rivelazioni possono rovinare, condannare alla disperazione o al contrario condurre all’estasi, alla più piena autentica gioia. Il vuoto originario dell’esistenza è per il narratore un baratro oscuro, disprezzo per il mondo, divenuto adesso claustrofobica prigione, sterile landa priva di attrattiva, che nulla ha più da elargire. Nemmeno riesce ad entusiasmarlo ancora la conoscenza, perché nulla ha senso né scopo e ogni scoperta è un’illusione che cade, un passo avanti nel nulla, una sottrazione straziante.

In realtà i due esiti non sono per forza stati dell’essere antitetici, inconciliabili. Spesso costituiscono invece le successive fasi di un percorso spirituale.

La seconda è il contrario della “notte”, qui i germogli fioriscono, sbocciano le intuizioni nel loro senso superiore, si vede finalmente la luce, quel vuoto si tramuta in un fertile ricettacolo. Bisognava scavare prima, arrivare al fondo, nel più profondo e buio ventre della terra, piantare il seme dell’albero della vita, l’asse del mondo con cui connettersi al Cielo.

Dopo quell’immane dolore si verrà ripagati da un’incontenibile gioia. Si verrà al mondo per la seconda volta completamente mutati, e tutto sarà nuovo, autentico, ci si rispecchierà ovunque si posi lo sguardo.

È sorto il sole. Sono le nozze alchemiche, il compimento della Grande Opera, il metallo si è trasmutato in oro.

Amerai davvero il prossimo come te stesso, perché è una parte di te stesso, un riflesso più o meno nitido. E tu sei un riflesso di Lui, non altro, non più distinto, separato, lacerato dalle pulsioni egoiche.

L’inquietudine angosciosa di Bernardo Soares si può ricondurre a ciò che San Giovanni della Croce definisce “Notte oscura dell’anima”, una fase in cui sovente incappa il mistico nella sua progressione e che gli provoca non poco dolore, sofferenza e paura, poiché ci si ritrova in una condizione di profonda malinconia, “depressione” per dirla coi moderni, non riesce più a trovare gioia in nessun atto, e ogni cosa appare priva di senso e attrattiva. Sì pensa moltissimo e si giunge anche ad alcune fondamentali intuizioni, che in questa fase, però non sono ancora mature per essere pienamente comprese, anzi diciamo che vengono spesso del tutto fraintese. Nell’ermetismo qualcosa di molto simile si trova nella “Nigredo” o “Opera al nero”, prima fase alchemica delle tre che compongono la Grande Opera, la putrefazione come purificazione della materia, la morte iniziatica, il sacrificio che introduce ogni conoscenza spirituale e prepara il risveglio.

Il protagonista del libro dell’inquietudine si è fermato a questa fase e non è più avanzato, forse perché ha creduto di non avere più nulla da imparare, perché non ha perseverato, ma anche perché si sono cristallizzate in lui delle idee malsane che hanno reso la sua inquietudine una patologia psichiatrica, un assillo rivolto al proprio io e non verso un Principio sovraindividuale a cui anelare senza posa. Nell’io non c’è nulla di buono né reale, e l’analisi ossessiva delle proprie paranoie, paure, desideri bassi e istintivi, porta inevitabilmente ad esacerbarli fino a soccombervi, perché non c’è soluzione in essi ma fuori da essi, nel riconoscerli come privi di importanza ed esistenza propria.

È l’ansia dell’uomo moderno, dell’inetto di Svevo, del nevrotico della psicoanalisi freudiana, l’indifferente di Moravia, figlio del capitalismo, della rivoluzione industriale e del dominio della tecnica, la cui mente è stata stritolata tra gli ingranaggi della macchina, da un ritmo di vita innaturale, abbandonato in una ‘terra desolata’ senza più gerarchie, senza senso né ordine metafisico.

Esiste un tipo di inquietudine che va verso la sottrazione e giunge al vuoto, nichilista, è forza distruttiva, disgregatrice.

Quella stessa inquietudine condurrà però anche all’Unità, alla pienezza, sintesi degli opposti, diviene reintegrazione, forza creatrice, rigenerazione.

È il soggetto che ne determina la natura.

Entrambe sono essenziali poiché si sorreggono a vicenda, si compenetrano in apparente alternanza, è il respiro cosmico, il ritmo che scandisce il tempo, la struttura della materia.

Quello stesso “nulla” che dilania l’esistenza di uno, per un altro è il Graal che si riempie di virtù e conoscenza, luce spirituale che guida la ricerca e mai deve esaurirsi, anzi diventa sete impellente.

Libero dalle illusioni, dai falsi condizionamenti, può finalmente attingere ai significati più autentici, sottili, potrà interrogare il mondo sensibile che gli parlerà del mondo spirituale, scoprirà le connessioni che legano tutte le cose con grande stupore, decifrando gli enigmi che costituiscono la trama di cui è intessuto il cosmo.

Sono entrambi effetti frutto dell’ ‘illuminazione’, della realizzazione spirituale dell’iniziato, della santificazione del mistico; così come una droga allucinogena può aprire porte per accedere a stati di coscienza superiori oppure trascinare in un incubo terrificante, un viaggio all’inferno che conduce alla follia, spesso irreversibile.

“ I sentimenti più dolorosi e le emozioni più pungenti, sono quelli assurdi: l’ansia di cose impossibili, proprio perché sono impossibili, la nostalgia di ciò che non c’è mai stato, il desiderio di ciò che non c’è mai stato, il desiderio di ciò che potrebbe essere stato, la pena di non essere un altro, l’insoddisfazione per l’esistenza del mondo”.