L'Integrità valoriale e gli ex collaboratori

Parliamo di coerenza. O meglio, della sua clamorosa assenza.

Negli anni abbiamo osservato un fenomeno ricorrente: persone che hanno collaborato con noi, dichiarando di sposare pienamente la nostra visione, sono scomparse nel nulla non appena cessato il loro contributo attivo. Un contributo, sottolineiamo, volontario e senza alcun impegno o scadenza. Con alcuni di loro eravamo diventati anche amici.

Non parliamo di chi semplicemente non ha avuto più tempo, voglia o motivazioni, ci mancherebbe, ma di chi ha confuso il ruolo con i valori, dimostrando un'immaturità relazionale preoccupante.

Se credi davvero in certi principi di condivisione, questi non dovrebbero assopirsi quando smetti di scrivere articoli. Se hai costruito relazioni autentiche, queste sopravvivono ai cambiamenti di circostanze.

Chi non riesce a distinguere i due piani rivela un pensiero indifferenziato tipico di personalità immature. È l'incapacità di gestire la complessità delle relazioni umane.

Sparire da un giorno all'altro o gradualmente è il sintomo di chi ha vissuto l'esperienza in modo superficiale. Chi investe veramente in un progetto, anche abbandonandolo, mantiene rispetto per le persone e per il tempo condiviso.

La scomparsa improvvisa tradisce la verità: non c'è mai stata un'adesione valoriale profonda.

I valori autentici resistono al tempo e alle circostanze.

L'integrità valoriale si misura proprio in questo: nella capacità di mantenere coerenza anche quando le circostanze cambiano.

In 16 anni di attività di persone autentiche ne abbiamo conosciute davvero poche, oltre ai due storici fondatori che sono tutt’ora al timone.

E se tutto questo è accaduto proprio da noi, in un canale che ha sempre fatto dell'integrità, della coerenza e dei rapporti umani autentici il proprio nucleo fondante, se anche chi teorizza l'importanza di certi valori umani poi li calpesta nel concreto, cosa possiamo aspettarci dal resto della società?

Chi scompare insieme al proprio ruolo confonde i valori con il canale, rivelando di non aver mai compreso davvero ciò per cui affermava di battersi e mostrando un'immaturità relazionale che tradisce tutto ciò che aveva affermato di sostenere.

Miserie.



Vivere in città

Si legge che nel 2030 circa il 70% delle persone vivrà in città. Per molti aspetti sembra impossibile vivere lontano dai centri urbani perché ciò significa dover far fronte a diverse scomodità come la carenza di servizi, di alcuni beni di consumo e di trasporti pubblici.
Una forte spinta all’urbanizzazione si verificò con la seconda Rivoluzione industriale, quando masse di contadini si trasferirono nelle zone periferiche delle città per soddisfare la richiesta di forza lavoro a basso costo nelle fabbriche. Ancora oggi le città rappresentano una forte attrattiva, meta di rilevanti flussi migratori, e questa tendenza non riguarda solo le metropoli del sud del mondo; le megalopoli come Tokyo, Shanghai, Giacarta e Nuova Delhi sono le più popolose, con una popolazione che supera i 30 milioni di abitanti. Veri e propri formicai in cui si sopravvive accatastati gli uni sugli altri, respirando aria inquinata, bevendo acqua in bottiglia e rintronandosi di rumori di folla e di traffico. La gestione istituzionale delle città è spesso fallimentare: la miriade di rifiuti, la delinquenza, l’accattonaggio, gli ingorghi stradali, il moltiplicarsi di richieste di assistenza sociale, l’impatto energetico, ecc.
Nonostante gran parte della popolazione mondiale si trasferirà nelle città nel prossimo futuro, è indubbio che gli ambienti urbani siano invivibili: vivere in condizioni di sovraffollamento, come è già stato osservato negli animali da allevamento intensivo, causa sofferenza psichica e aggressività.

Il famoso etologo Konrad Lorenz, nel 1973, scriveva: “l’accalcarsi di molti individui in uno spazio ristretto” dà luogo a “manifestazioni di disumanità, ma scatena anche direttamente il comportamento aggressivo”, inoltre “l’amore per il prossimo, per un prossimo troppo numeroso e troppo vicino, si diluisce sino a svanire senza lasciare più traccia.”
Peraltro vivere in città significa esporsi maggiormente al controllo sociale, al confinamento in caso di pretestuose nuove emergenze (ecologiche, sanitarie, terroristiche, energetiche) o al razionamento di risorse.
I tentativi di depopolamento, che si può immaginare si faranno progressivamente più violenti e più mirati, avranno come punto di partenza le città, un facile obiettivo data l’alta concentrazione di persone. 


AM