La smania del fare senza essere

C’è una strana tendenza, ovvero quella di affermare che "se non si fa qualcosa di concreto non si ha il diritto di criticare".

Partiamo dal presupposto che l'ultimo argomento non ha nessuna ragione sostenibile, sarebbe come dire: "se non sei un cuoco o non hai cucinato non puoi dire che la pasta è scotta".

Anche a noi di WI è stato più volte chiesto di "scendere in campo", ma ribadiamo che non siamo un movimento, né un partito, né una associazione o una organizzazione di qualche genere. Siamo totalmente indipendenti e ad oggi la ragion d'essere di questo canale è esclusivamente il pensiero e la ragione critica, non perché disdegnamo l'attivismo, che anzi sosteniamo in prima persona laddove meriti, ma perché ognuno ha diverse attitudini e predisposizioni, e la nostra è questa. In questa forma di contributo riteniamo, nei limiti delle nostre possibilità, di poter dare il meglio.

A coloro che accusano di "parlare e basta" vorremmo però rispondere con un paio di riflessioni.

Innanzitutto, quella di contrapporre il pensiero al "fare" è una fisima tutta moderna: epoche più illuminate della nostra hanno identificato nel pensiero la forma più alta e nobile di attività. Possiamo dire con sicurezza che non è possibile fare alcunché se prima non si stabiliscono le direttrici dell'azione, e queste solo il pensiero le determina.  In questo senso, crediamo che la nostra attività non sia superflua, né passiva.

Aggiungeremmo inoltre che molte delle azioni sconclusionate, o dei voltafaccia, sfaldamenti e contraddizioni a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, effettuati da movimenti e attivisti con la smania del "fare", forse non sarebbero esistiti se ci si fosse fermati a meditare con più attenzione prima di assecondare la propria irrequietezza.




La distruzione della privacy

"Eh ma tanto siamo già controllati" (fratello del "tanto io non ho niente da nascondere").

 

Il ragionamento "eh ma siamo già tracciati, sanno già tutto di noi" è sragionamento. Sarebbe come dire "massì tagliami l'altro dito già che me ne hai tagliato uno, anzi tagliamo la mano già che mi hai tagliato due dita". Oppure "dai visto che mi hai ucciso il padre, uccidimi anche la madre, ero comunque già mezzo orfano".

Che siamo già tracciati è vero, ma tale ragionamento è una pigra arrendevolezza che ha permesso al sistema di alzare l'asticella sempre di più.

Dal lasciare il numero di cellulare a ogni multinazionale/catena di negozi, poi alle app che già tracciano, poi alla geolocalizzazione (Google maps), poi ai giochini che si scaricano che localizzano dove sei e dove vai, alle mille diavolerie smartphone che richiedono i nostri dati e individuano le posizioni territoriali, ad Alexa che ti conosce molto più di quanto tu ti conosca, alle telecamere ovunque ecc.

Passo dopo passo con "eh tanto che cambia, son già localizzato" ci siamo sempre dati una scusa, un' autoassoluzione e abbiamo sempre permesso o accettato un' invasione di campo graduale e ora che l'asticella si alza ancora una volta, continuiamo ad autoassolverci per la nostra pigrizia con cui abbiamo accettato l'incremento di controllo sociale del passato.

Senza capire che ad ogni novità (ossia ad ogni nuova app o tecnologia o facilitazione della vita) c'è sempre un controllo maggiore, un' invasione maggiore della nostra vita, c'è sempre un danno o stretta di vite in più che si aggiunge, fino a che ci metteranno l'app con chip che possiede tutti i nostri dati e che magari regola la fertilità della donna o il nostro pensiero o i nostri impulsi biologici nervosi. Anche lì avremo la fatidica frase "eh ma ormai siam cosi controllati che una in più cosa cambia?". Cambia, cambia tanto. 

È un percorso iniziato tanti anni fa quando a controllo accettavamo un ulteriore controllo che è diventato sempre più invasivo fino alle idee distopiche di questi tempi.

Se dite di sì, ad esempio all'app Immuni del governo, perchè un domani dovreste dire di no all'app sottocutanea? Il governo vi rinfaccerà di essere incoerenti (ma come avete accettato una e non accettate l'altra?!), egoisti e insensibili. Sarebbe più invasiva, l'asticella di controllo si sarebbe ancora una volta alzata di più, ma il Tipo "eh ma tanto gia ci controllavano" come non ha mai detto di no a dare i propri dati a Candy Crush o a Google Maps o a dare/comunicare attraverso foto e gusti la propria vita intima a FB, non avrà nessuna remora ed esercizio al senso critico per contrastare quest'ultimo (ultimo?) passo finale della distopia totalitaria, distopia che parte da molto lontano negli anni, che è stata preparata bene e nel tempo.

La legge sulla privacy in tutto questo è una bella presa in giro. Tanto a chi vuole, a diritto e giustamente, farla valere viene risposto "eh ma tanto siamo già controllati". E allora a cosa serve una legge del genere? Tanto vale toglierla, basta ipocrisie.

Infine al dire che la privacy non conta, tanto comunque i livelli di controllo sono già alti e che "tanto io non ho niente da nascondere" (e sul nascondere ci sarebbe da dire tanto...qualsiasi cosa un domani potrebbe esserti ritorta contro, anche se non hai fatto nulla di illegale, chi sa tutto di te può dirigere ogni tuo comportamento) andrebbe fatto notare che sarebbe come dire "che me frega che si tolga la libertà di pensiero, tanto io non ho niente da dire". Tu forse no, ma qualcun'altro sì.

Se a qualcuno piace essere controllato o essere limitato in una qualche libertà non vuol dire che a tutti piaccia esserlo. E bisogna lottare affinché questi diritti non scompaiano, se non altro per altruismo nei confronti di chi ci tiene, fosse anche solo perché, in teoria, ci son leggi che li garantiscono.




Tecnocrazia e Democrazia

E' indispensabile tenere presente che tecnocrazia e democrazia sono incompatibili. Innanzitutto perchè se la politica è l'arte del possibile, la scienza ha la pretesa di approssimarsi alla verità: laddove si cerchi di far coincidere il possibile con il vero, allora questo assume le sembianze - sarebbe più corretto dire "si maschera" - di certezza.
Dove si è certi di essere nel vero, non vi è possibilità di dialogo e confronto, se non a due condizioni:

1. Condividere lo spazio di verità all'interno di cui si discute e ci si confronta, ossia il medesimo orizzonte tecnico/scientifico.

2. Poter esibire delle competenze che possano essere riconosciute all'interno di quell'ambito, ed essere così accolti tra coloro che hanno il titolo di interlocutore.

A queste condizioni, il dialogo/confronto non può produrre che infiniti florilegi di tautologie e petizioni di principio, ma soprattutto si priva così dell'agibilità politica non solo la stragrande maggioranza della popolazione, in quanto "incompetente", ma anche coloro che, "competenti", sono portatori di visioni disomogenee o critiche nei confronti dell'unico orizzonte tecnico/scientifico riconosciuto.
"Riconosciuto da chi?" ci si chiederà: ovviamente da quella stessa èlite che trae legittimazione da se stessa in quanto sedicente espressione maggioritaria della comunità scientifica.

A quanto pare, i tecnocrati sono democratici solo quando si tratta di nominare se stessi.

Quando deleghiamo potere politico a scienziati e tecnici, dobbiamo assumerci la responsabilità di tutto ciò, qualunque sia la posta in gioco.


Una civiltà di schiavi

"Se vi è mai stata una civiltà di schiavi in grande, questa è esattamente la civiltà moderna. Nessuna civiltà tradizionale vide mai masse così grandi condannate ad un lavoro buio, disanimato, automatico: schiavitù, che non ha nemmeno per controparte l'alta statura e la realtà tangibile di figure di signori e di dominatori, ma che viene imposta anodinamente attraverso la tirannia del fattore economico e le strutture assurde di una società più o meno collettivizzata. E poiché la visione moderna della vita, nel suo materialismo, ha tolto al singolo ogni possibilità di conferire al proprio destino qualcosa di trasfigurante, di vedervi un segno e un simbolo, così la schiavitù di oggi è la più tetra e la più disperata di quante mai se ne siano conosciute." (J.Evola)

Da un lato gli schiavi alfabetizzati. Giovani, titolati, iper competitivi, assoldati dalle multinazionali per due soldi con competenze che 100 anni fa aveva forse un capo di Stato. Dall'altro i non alfabetizzati, "importati" dalle ONG, lupi travestiti da agnelli che con la scusa dell'accoglienza, hanno creato manovalanza a basso costo ed inquinato il mercato del lavoro. Al centro le piccole e medie imprese, vittime di una burocrazia patologica e di follie pseudoscientifiche, tartassate da restrizioni e chiusure. Capitalismo esasperato e "falsa uguaglianza": di questo si nutre il Leviatano moderno. Alla base di tutto ciò una scuola, che vivacchia tra regole demenziali per la presenza ed un'alienante didattica a distanza, distrutta nelle sue fondamenta e fabbrica di individui protocollari, perfettamente aderenti al sistema. Eccoci dunque, nostro malgrado, nell'era dell'uomo senza volto, schiavo senza sapere di esserlo, libero per definizione ma non nella sostanza, consumatore esasperato e nel contempo consumato da una vita che sfocia, ormai irrefrenabile ed impetuosa, nel mare del post-umano.