Le rivoluzioni - tanto sociali, politiche, che
militari - ossia i cambiamenti radicali di status quo, tendenza o equilibrio
tra parti, non sono mai fenomeni spontanei, nè si esauriscono nel visibile.
Sono piuttosto l'epifenomeno del lungo lavorio di processi carsici che
affiorano e si compiono nella svolta rivoluzionaria; il cambiamento non è
l'esito di tale svolta, bensì la sua causa. Nulla cambia che dietro le grandi
rivoluzioni vi sia la regia di élite in ombra che organizzano le masse
simulando la spontaneità del fenomeno rivoluzionario: senza un'adeguata base di
consenso diffuso e distribuito nessun cambiamento può essere realizzato e
stabilizzato. La base di ogni reale cambiamento politico e sociale è null'altro
che un cambio di paradigma culturale condiviso. Questo è il motivo per cui le
armi più potenti che esistano nell'epoca della società di massa sono quelle
intese a generare il consenso, ossia l'educazione, l'informazione e la
propaganda. Il sistema contiene il momento rivoluzionario al suo interno come
atto di fondazione e affermazione di un ordine che, in realtà, è già
predisposto prima di tale atto e di tale affermazione. In altre parole, prima
che si manifesti concretamente, il cambiamento è già avvenuto; prima del varo,
la nave è già stata costruita. La rivoluzione politica e sociale sancisce la
rivoluzione culturale, ossia il cambio di paradigma; mai il contrario. La prima
non ha alcun potere sulla seconda: senza un cambio di paradigma qualsiasi
preteso evento rivoluzionario non fa che perpetuare il medesimo. Chi pretende
di cambiare il sistema mediante una rivoluzione sociale, politica o militare
non comprende che questi momenti sono strutturalmente pre-posti e
pre-determinati dal sistema stesso. In cerca di risposte, dopo esserci chiesti
quale sia l'azione efficace, ora vale la pena chiedersi anche chi sia il
soggetto plausibile di tale agire.
Chi sono i “rivoluzionari”?
Siete fuori dal "sistema"?
Uno dei grandi tranelli del cosiddetto
"sistema" è far credere, a colui che considera se stesso un
"ribelle" o un "antagonista", che il sistema sia un corpo
estraneo, qualcosa che si può accogliere o rifiutare, un nemico esterno a cui è
possibile dichiarar guerra, che si può vincere o a cui si può soccombere. Un
sistema è, per definizione, un insieme organico di parti, raccolte intorno a un
principio organizzatore che le trascende, e che sono ad esso interconnesse
costitutivamente e in maniera strutturale. Tutto ciò che è interno al sistema è
parte del sistema e ad esso organico, compreso il rifiuto e l'antagonismo al
sistema stesso. Se state leggendo queste righe e vi considerate fuori dal
sistema, sappiate che il sistema ha prodotto il vostro rifiuto, lo ha previsto
e calcolato, lo ha incoraggiato in una certa misura perché funzionale, lo
tollera finché può digerirlo, e se in qualche modo esso diventa tossico, lo
gestisce nel modo in cui l'organismo gestisce le proprie cellule malate o
difettive. In generale è corretto affermare che il sistema produce il rifiuto e
l'opposizione al sistema come strumenti della sua perpetuazione, e quando essi
non sono più utili all'equilibrio dell'organismo, li annienta semplicemente
sospendendo i lori legami strutturali con il sistema stesso, perchè essi non
sono nulla e non hanno alcun significato se non come parti organiche al
sistema. Il sistema è un circuito ermeneutico completo, che raccoglie e
ricomprende ogni proprio momento, compreso quello negativo. Questo è il motivo
per cui ogni velleità romantica di lotta e opposizione frontale al sistema è
pia illusione. Ignora la propria funzione di momento organico al sistema
medesimo, e il suo destino segnato dalla natura delle cose. È tempo di lasciare
all'adolescenza i sogni romantici, e abbracciare il distacco e il realismo
dell'età matura. A partire da questi presupposti è possibile immaginare forme e
strategie di azione efficace.