Modelli previsionali a servizio dell'ideologia

È preoccupante osservare come nella società del controllo e della pianificazione, i modelli previsionali rivestano un ruolo sempre più importante. Abbiamo visto, ad esempio, la loro centralità nel legittimare la più grande battaglia ideologica degli ultimi anni, quella del movimento ambientalista, dove sono utilizzati come principale strumento a supporto degli scenari catastrofici che il movimento intende sventare. Li ritroviamo oggi a combattere a fianco di medici e politici nella quotidiana battaglia per sconfiggere il "mostro".
In fondo, il modello previsionale è la trasposizione nell'età della tecnica di ciò che fu la mantica nelle epoche antiche: il sogno di gettare uno sguardo sul futuro per anticiparne gli eventi e sottrarsi all'ignoto. Tuttavia, mentre nel passato l'arte mantica si muoveva nell'orizzonte di un destino ineluttabile che poteva essere scrutato ma non modificato, l'epoca moderna si dispiega nell'ambito della volontà di potenza, che desidera dominare gli eventi e comandare il fato. In questa ottica i modelli previsionali ci vengono presentati come lo strumento mediante cui si stilano agende che decidono del futuro di nazioni o dell'umanità intera.
Ora, vale la pena ricordare che un modello previsionale non è un ente matematico neutro, sottratto all'ambito della discussione e della critica perchè risiedente nell'iperuranio dei principi: è un costrutto che riflette scelte e visioni di chi lo imposta (in altre parola reca in sè presupposti di tipo ideologico), e necessita di appoggiarsi su dati che siano riconosciuti da tutti i soggetti che sono destinati a condividerne i risultati e gli effetti. Se non si condividono i dati di base, nè la cornice ideologica che ne determina l'impostazione, allora tale modello non può che essere rifiutato a priori da tutti coloro a cui quei dati e quell'ideologia non sono evidenti. In particolare, ciò avviene di necessità quando quel modello impatta sulle vite di una collettività che è chiamata ad adeguarvisi sacrificando ad esso i propri beni più preziosi. In politica non esistono scelte apodittiche e ineluttabili dettate da numeri autoevidenti e inconfutabili: solo risoluzioni e responsabilità individuali che qualcuno non desidera assumersi.



Virus: un mito fondativo


Non possiamo ancorare la vicenda del coronavirus 2020 a una realtà di tipo medico, possiamo osservarla solo a livello di dinamiche sociali e politiche, perché appartiene esclusivamente a quell'ambito.
Il virus è diventato il mito fondativo di un ordine di potere e dunque va affrontato dal punto di vista del suo impatto sociologico e politico piuttosto che medico o scientifico, ossia partendo dai suoi effetti sul mondo associato piuttosto che dalle cause fisiche che impattano il singolo. Questo perché i due aspetti hanno preso sin da subito binari indipendenti e pertanto si prestano a distinti livelli di valutazione. Crediamo sia inopinabile affermare che le crisi siano salutari per l'affermazione del potere: come ci ricordò Monti ai tempi, le nazioni rinunciano ad ampie fette di sovranità e libertà solo a patto di barattarle con la garanzia di essere sottratti a un pericolo.
Artificiali o no, le crisi sono il pane del potere e dell'autorità, che nel magma emotivo generato dal panico e dalla paura trovano legittimazione ad erigere nuove forme d'ordine.
Una cosa è certa: ogni mito fondativo è sottratto all'orizzonte critico dell'ordine razionale che istituisce, essendone il fondamento.
Di questi miti fondativi (storici, scientifici, politici) che non si possono discutere, ne conosciamo vari e numerosi, e non è il caso di elencarli. La pena è sempre la stessa: l'esclusione dalla società in tutti i modi in cui la società può escludere, in maniera tanto più grave quanto la voce che parla può essere considerata autorevole.

Possiamo concludere dicendo che dichiarazione di incomparabilità e sottrazione alla possibilità di critica sono le condizioni  necessarie affinché un evento possa diventare mito fondativo, ossia il punto zero di un ordine che da esso prende origine sia simbolicamente che sotto l'aspetto della legittimazione.
Quando sul Virus non si potrà più discutere, pena lo stigma sociale e l'esclusione/reclusione/ritorsione, il Virus sarà entrato nella mitologia, e noi in un nuovo ordine.



Covid 19 e postmodernismo

Ai fini del nostro discorso, che la narrazione condivisa sul covid 19 sia attendibile o meno ha poca importanza.

Quella che si vorrebbe suggerire è una possibile interpretazione dei processi in corso, o meglio, un loro sguardo prospettico. Ci si chiede: è possibile che ciò a cui stiamo assistendo non sia altro che la realizzazione delle possibilità più proprie della nostra epoca? In altre parole, è l'essenza intima del post-moderno quella che si sta esprimendo? In tal caso, l' "evento" altro non sarebbe che il catalizzatore di una reazione latente che la nostra epoca reca in seno da sempre. Del resto, una società che ha come unica cultura condivisa la scienza, e come unico orizzonte la tecnica, non può che risolversi in un totalitarismo tecnocratico. Da questo punto di vista, il sacrificio dell'economia globale sarebbe un costo sostenibile, se servisse ad affermare qualcosa di primario come la risoluzione della sfera politica nella tecnica. Una società interamente controllabile, pianificabile, programmabile sarebbe infine omogenea a un sapere che in laboratorio produce il fenomeno, e una volta prodotto ne ingegnerizza l'applicazione.

Il post-moderno ha in sé la cultura e i mezzi tecnici per realizzare la sua vocazione totalitaria; ha inoltre disponibili ampie masse spaesate e diseredate da organizzare, disporre e a cui dare una forma. Infine, il processo avrebbe così bisogno solo di un pretesto, e ironia della sorte, la catastrofe dell'Occidente potrebbe divenire la sua corona.