C'è qualcosa di profondamente sbagliato quando chi
detiene la vita altrui nelle proprie mani si comporta come se stesse svolgendo
il più banale dei lavori.
Ci è capitato molte volte di assistere a scene incresciose:
infermieri che giocano con lo smartphone mentre in sala d'attesa ci sono
persone che soffrono, OSS scorbutici, ostetriche che chiacchierano di gossip da
condominio mentre stanno assistendo al miracolo di una nascita, medici che
sembrano annoiati dalla presenza del paziente che hanno di fronte.
Cari soggetti che lavorate nella sanità, i vostri
non sono mestieri qualunque. Sono professioni che toccano i momenti più
delicati dell'esistenza umana: la nascita, la malattia, la paura, il dolore, la
speranza. Eppure spesso, chi le esercita sembra non conoscere il peso di quello
che fa.
Non parliamo di competenze tecniche, ma della consapevolezza del proprio ruolo, del rispetto per chi si affida alle tue cure, della comprensione di essere tutto in un determinato momento per quella persona.
Una volta entrati nell’ingranaggio tanti
professionisti perdono il senso del loro ruolo, far nascere un bambino o stare
in linea ad avvitare bulloni diventa la stessa cosa. Quando un'ostetrica
discute delle beghe condominiali con le colleghe mentre sta aiutando una donna
a mettere al mondo suo figlio, sta profanando uno dei momenti più sacri
dell'esperienza umana, sta trasformando un miracolo in routine, un momento
unico in un episodio qualunque della sua giornata lavorativa. Lo stesso vale
per l'infermiere che controlla i social mentre in corsia ci sono persone che
hanno paura, che soffrono, che aspettano una parola di conforto. Tale
comportamento tradisce non solo i pazienti ma anche la nobiltà stessa della
professione che ha scelto.
La verità è che un tempo queste professioni erano
considerate vocazioni, oggi sono solo un modo di guadagnarsi da vivere e avere
uno stipendio sicuro, non una chiamata a servire gli altri nei momenti più
vulnerabili della loro esistenza.
Chi lavora in questi ambiti dovrebbe sapere meglio
di chiunque altro quanto contino i dettagli per chi sta male, quanto sia
importante ogni gesto, ogni parola, ogni sguardo.
Lavorare nella sanità ha un significato che va oltre il salario a fine mese. Chi sceglie di occuparsi della vita degli altri ha una grande responsabilità, perché quando si ha a che fare con la vita, la sofferenza e la speranza delle persone, non si può mai essere "solo" al lavoro.
Un tempo c'era una dimensione quasi spirituale nel
prendersi cura di chi soffre, nell'accompagnare chi nasce o chi muore. Oggi tutto
è ridotto a protocolli, turni, stipendi. La persona è diventata un
"caso", il dolore una "sintomatologia", la nascita una
"procedura". Dalle università e dalle scuole di formazione escono perlopiù
burattini gelidi fatti con lo stampino. La tecnica ha preso ormai il
sopravvento completo sull’umano.