Amare l'umanità

Cosa significa veramente amare l'umanità? Che tipo di umanità ama chi si definisce con orgoglio "globalista"? L'umanità che ama il globalista è un'umanità senza spirito né corpo, senza radici. Essa, nella sua concezione, è una massa informe che si muove telecomandata, che ha sacrificato sull'altare del nuovo mondo l'autodeterminazione. Il globalista non ama tradizioni, folklore, arti, mestieri, ma solamente l'"uguaglianza".

Un' "uguaglianza" che ha il sapore della vera discriminazione, una parità imposta che uccide ogni microrealtà. Amare veramente l'umanità significa amare ogni popolo, in ogni sua particolarità e manifestazione. Amarla significa esaltarne e rispettarne il "Volksgeist", lo spirito di ogni nazione, non mortificarne il senso più profondo. Tutto il resto è legittimazione di una moderna schiavitù, senza catene. La forma di servitù più subdola a cui l'uomo sia stato relegato nella sua storia.

Il fenomeno del razzismo nelle nostre società è più pronunciato proprio perché andiamo verso l'uniformità. Cioè, quando non si riconosce la diversità delle persone, la giusta diversità delle persone, allora si creano fenomeni di reazione, come può essere il razzismo. Non è un caso che nella società multirazziale più forte, quella americana, il razzismo abbia mietuto vittime molto più che altrove, nei nostri anni. E quindi crediamo che sia importante recuperare il valore e la cultura delle differenze e rispettare le altre culture in quanto tali. Perché un grande errore è credere che tutto sia intercambiabile. Come le culture che appartengono al mondo orientale o al mondo nero, per intenderci, non sono rappresentate, perché ormai viviamo in un'unica cultura. Invece solo riconoscendo valore alle altre culture, noi possiamo riconoscere valore anche alle persone, che sono di razza differente. E quindi è importante acquisire questo. Crediamo che l'argine più forte al razzismo non sia l'idea di una società mondiale, ma sia, al contrario, di un società che rispetti le differenze e che quindi rispetti un uomo africano in quanto tale, rispetti un uomo indiano perché indiano, con la sua cultura, con la sua tradizione. Il vero nemico del rispetto delle differenze è proprio la società uniforme. 



Shakespeare vs Milton: i danni dell'istruzione

Chiunque sia passato per i gradi regolari dell'educazione classica senza esser stato ridotto all'imbecillità, si può ritenere salvo per miracolo. I ragazzi che figurano a scuola non sono quelli che faranno la migliore riuscita quando saranno adulti ed entreranno nel mondo: è una cosa nota da sempre.

Infatti le cose che un bambino è obbligato a studiare a scuola, e dalle quali dipenderà il suo successo, sono cose che non richiedono l'esercizio né delle più alte né delle più utili facoltà mentali. La memoria (e della specie più bassa) è la qualità necessaria per ripetere meccanicamente le lezioni di grammatica, di lingue, di geografia, aritmetica, ecc., cosicché il ragazzo che ha molta di questa memoria meccanica, e pochissimo interesse per le altre cose che invece dovrebbero naturalmente e con più forza attrarre la sua attenzione fanciullesca, sarà lo scolaro più brillante di tutti. Il gergo con cui si definiscono le parti del discorso, le regole per fare un conto, o le forme di un verbo greco, non possono avere un grande interesse per un ragazzo di dieci anni, a meno che altri non gliel' abbiano imposto come dovere, o non sia spinto dalla mancanza di gusto e di interesse per altre cose. Un ragazzo di costituzione malaticcia e di mente poco attiva, che arriva appena a ricordare ciò che gli è stato fatto notare, e non ha né l'intelligenza per distinguersi, né lo spirito per divertirsi, sarà in genere il primo della classe. Un fannullone a scuola, invece, sarà spesso un ragazzo di robusta salute e di temperamento vivace, che ha presenza di spirito e un fisico agile, che sente il sangue circolargli nelle vene e battergli il cuore, che a volte ride e piange nel medesimo istante, che preferisce dare la caccia alle farfalle o correre dietro a una palla, sentire l'aria fresca sulla faccia, vedere i prati e il cielo, seguire per curiosità un sentiero serpeggiante, prendere parte a tutti i piccoli conflitti e agli interessi dei suoi conoscenti e amici, invece che addormentarsi su un noioso abecedario, ripetere dei distici barbari col suo maestro, stare inchiodato ore e ore a un banco, e ricevere poi in risarcimento del tempo e del divertimento persi una medaglietta premio a Natale e a mezza estate. Esiste una stupidità che impedisce ai ragazzi di imparare le lezioni giornaliere e di arrivare a ottenere questi miseri onori accademici.

Ma quello che passa per stupidità è assai più spesso mancanza di interesse e di un motivo sufficiente per stare attenti, e applicarsi con disciplina agli aridi e insignificanti scopi dello studio scolastico. Le migliori capacità sono molto al di sopra di questa schiavitù; così come le peggiori stanno al di sotto.

I nostri uomini di più grande ingegno non si sono particolarmente distinti né a scuola né all'università.

L'istruzione è la conoscenza di ciò che gli altri in genere non sanno, e che non possiamo apprendere che di seconda mano per mezzo dei libri, o di altre sorgenti artificiali. La conoscenza di ciò che è davanti o intorno a noi, che fa appello alla nostra esperienza, alle nostre passioni o ai nostri progetti, al cuore e agli affari degli uomini, non è istruzione.

L'istruzione è la conoscenza di quello che solo le persone istruite conoscono. Il più istruito di tutti è colui che conosce meglio tutto ciò che vi è di più lontano dalla vita quotidiana, dall'osservazione immediata, che non è di alcuna utilità pratica, che non può esser provato dall'esperienza e che, dopo esser passato attraverso un gran numero di stadi intermedi, resta ancora pieno di incertezza, di difficoltà, e di contraddizioni.

È vedere e ascoltare con occhi e orecchie altrui, è credere ciecamente al giudizio degli altri. La persona istruita è fiera della sua conoscenza di nomi e di date, non di quella di uomini e cose. Non pensa e non s'interessa ai suoi vicini di casa, ma è al corrente degli usi e costumi delle tribù e delle caste degli indù e dei tartari calmucchi. Riesce appena a trovare la via vicina alla sua, benché conosca le dimensioni esatte di Costantinopoli e di Pechino. Non è ancora riuscito a capire se il suo più vecchio conoscente è un mascalzone o uno sciocco, ma sa tenere una pomposa conferenza su tutti i principali personaggi della storia. Non sa dire se un oggetto è nero o bianco, tondo o quadrato, ma sa a menadito le leggi dell'ottica e le regole della prospettiva.

Conosce le cose di cui parla, come un cieco i colori. Non può dare una risposta soddisfacente alla più semplice domanda e non ha un'opinione sensata e corretta su alcun problema concreto che gli si presenti realmente davanti, ma si presenta come giudice infallibile in tutte quelle questioni sulle quali sia lui, sia chiunque altro al mondo, può fare soltanto delle congetture.

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Sentirete molte più cose spiritose viaggiando a cassetta in diligenza da Londra a Oxford, che in un anno di permanenza fra gli studenti e i professori di quella celebre Università. E s'imparano più verità ascoltando una rumorosa discussione in una birreria, che assistendo a una seduta alla Camera dei Comuni. Una gentildonna di campagna di una certa età avrà spesso più conoscenza del carattere umano, e saprà raccontare più aneddoti divertenti, tolti dalla storia di tutto quello che è stato detto, fatto e spettegolato in paese negli ultimi cinquant'anni, di quel che non possa raccogliere la più grande saccente del secolo da tutti i romanzi e i poemi satirici pubblicati nello stesso periodo. La gente di città ha in genere poca conoscenza dei caratteri umani, perché li vede solo a mezzo busto, non nella loro interezza. La gente di campagna non solo sa tutto quello che è accaduto a un uomo, ma ne rintraccia anche le virtù e i vizi, come anche i tratti del volto, risalendo per più generazioni, e spiegandone certe contraddizioni del carattere con un incrocio di famiglie avvenuto mezzo secolo prima. Le persone colte non sanno nulla di ciò, in città come in campagna.

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Le persone che non hanno un'istruzione hanno un'inventiva esuberante, e sono senz'altro libere dai pregiudizi.

Shakespeare fu poco istruito, come risulta chiaro tanto dalla freschezza della sua immaginazione quanto dalla varietà dei suoi concetti. Milton invece sa di accademia, tanto nel pensiero, come nel sentimento. Shakespeare non aveva dovuto svolgere a scuola dei temi in favore della virtù e contro il vizio. Dobbiamo a questa circostanza il tono sano e non affettato del suo teatro. Se desideriamo conoscere la forza del genio umano dobbiamo leggere Shakespeare. Se vogliamo constatare quanto sia insignificante l'istruzione umana possiamo studiare i suoi commentatori.

Tratto da “Sull’ignoranza delle persone colte”, di W.Hazlitt  (1778-1830)