Capitolo I
Al merito dell’opera buona con la grazia di Dio concorre il consenso del libero arbitrio
Parlandone alcuna volta pubblicamente
innanzi alquanti, e lodando in me la grazia di Dio, cioè che io mi
conosceva da essa antivenuto in bene, e da essa mi sentiva guidare, e
ancora mi sperava d’essere da quella perfetto: così dicendo, ecco uno di
quelli che intorno mi stavano, parlando, così mi disse: Che dunque fai
tu, ovvero che mercé o che premio speri, se Dio fa tutto? Che dunque
consigli? Dà gloria a Dio, il quale è prevenuto a te graziosamente, ti
ha desto e fatto cominciare. Vivi dunque da quinci innanzi degnamente,
provando te, non essere ingrato a ricevuti benefizi, e apparecchiato e
disposto a ricevere gli altri. Ed io risposi: buon consiglio mi dai, se
mi dai ancora, come io possa questo tenere; però che di certo non è
d’una medesima opera, sapere quello che è da fare, e farlo; però che
diverso è dare guida al cieco, e sostegno all’affaticato. Non ogni uomo
che mostra la via, dà il viatico, cioè l’aiuto dell’andare al viandante;
altro gli fa quegli che il guarda che erri; e altro quegli che guarda
che nella via egli non isvenga. E così, chiunque tu vuoi, non sarà lì
per lì dottore e datore di bene. Ma certo a me due cose sono di bisogno,
cioè essere insegnato e aiutato: e veramente tu dai consiglio alla mia
ignoranza: ma se l’Apostolo sente il vero: lo spirito aiuta l’infermità nostra (Romani
8, 26). E così di certo colui, che per la tua bocca m’apparecchia il
consiglio, colui è di necessità che m’apparecchi l’aiuto per lo spirito
suo, per il quale io possa adempiere quello che tu mi consigli. Ed ecco
già per sua grazia io mi sento il volere, ma compierlo non trovo ancora,
e non mi fido di mai trovarlo, se colui che m’ha dato il volere, ancora
non mi dà di poterlo adempiere per amore della buona volontà che trova
in me. Dove, tu dirai, sono i meriti nostri; ovvero: dove la speranza
nostra? Attendi, priegotene: Non per le opere della giustizia, le quali noi avessimo fatte, ma per la sua misericordia ci ha fatti salvi (Tito
3, 5); e però che t’avevi tu forse pensato? Credevi tu avere creati e
fatti i tuoi meriti? Credevi poterti salvare per tua giustizia? Che tu
non possa solo dire: Signore mio Gesù! se non per la grazia dello
Spirito Santo: ti è così passato dalla memoria chi è colui, che disse: Senza me niente potete fare? (1 Corinzi 12, 3) Non dipende dunque né da chi vuole, né da chi corre, ma dal misericordioso Signore (Romani 9, 16).
Dunque, tu dirai, che cosa fa il libero
arbitrio? In breve ti rispondo che il libero arbitrio è quello che sì ti
salva. Rimuovi il libero arbitrio, e di certo non sarà cosa, che ti
salvi: rimuovi la grazia, e non sarà cosa alcuna, per la quale l’uomo si
salvi. Vedi dunque, che quest’opera, senza due cose, non si può
compiere: l’una cosa sia quella dalla quale, l’altra alla quale e nella
quale si adoperi. Dio è fattore di salute, il libero arbitrio solamente
ne è capace. Quella, cioè la salute, niuno può dare, se non Dio; e
quella niuna cosa può ricevere, se non il libero arbitrio. Quella cosa
dunque, che si dà da solo Dio, e ricevesi solo dal libero arbitrio, così
come non può essere senza grazia del donatore, così ancora non può
essere senza consentimento del ricevitore. E per questo si dice, che il
libero arbitrio è aiutatore della grazia operante in lui, quando egli
consente, cioè quando egli si salva; però che consentire, è salvarsi. E
da questo procede, che il peccatore (pecoris spiritus) non
riceve questa salute; però che gli manca il consentimento della volontà,
cioè d’ubbidire amorosamente al salvatore Dio; o vero, consentendo ai
suoi comandamenti, o vero, credendo e dando fede alle sue promesse, o
vero, rendendo grazie ai suoi doni. Infatti, altra cosa è il
consentimento volontario; e altra l’appetito naturale. Questo secondo è a
noi comune con le cose, che vivono senza ragione; e non può consentire
allo spirito, essendo albergato da diletti carnali. E forse questi è
quelli che dall’Apostolo è chiamato sapienza di carne (Romani
8,6); dove dice: La sapienza della carne è nemica a Dio, però che non è
subietta alla legge di Dio, né può essere. Avendo noi dunque questo
appetito comune con le bestie, com’è detto, siamo distinti e divisi da
quelle per lo consentimento della volontà. Questo consentimento
volontario è un abito dell’animo libero di sé; e questo non può essere
costretto, né rimosso contro a suo volere: questi è di sua volontà, non
di necessità. Questi non si nega e non si dà ad alcuno, se non per la
volontà sua. Perché se potesse essere costretto contro a suo volere, già
sarebbe sforzato, e non volontario; e dove la volontà non è, non può
essere il consentimento; però che il consentimento non è se non
volontario. Dunque, dov’è il consentimento, quivi è la volontà; e certo
poi segue, che dov’è la volontà, è la libertà. E questo è quello ch’io
credo, che si dica libero arbitrio.
Capitolo II
Che cosa è il libero arbitrio, ovvero in che consista la libertà
Ma acciò che questa cosa sia più manifesta e
per venire più acconciamente a quello che noi vogliamo, un poco più
altamente e più da lunga mi penso che sia di pigliare quello che è
detto. Nelle cose materiali non è uno medesimo la vita, che è il
sentimento; non senso ciò che è appetito; né quello, che è
consentimento. Questo si mostrerà più chiaro per le definizioni di
ciascuno per sé. Però che in ciascuno corpo la vita è un movimento,
dentro e naturale, che vive e permane pur dentro; ma il sentimento è un
movimento vitale nel corpo, che vive di fuori. L’appetito naturale è una
virtù ne l’animale data ai sentimenti, che con desiderio si muovono, ma
il consentimento è un movimento di volontà spontaneo, o vero non è
altro che quello, ch’io mi ricordo ch’io dissi di sopra, cioè un abito
d’animo libero di sé.
Oltre a questo, la volontà è un movimento
ragionevole che sopra sta al sentimento, e all’appetito; e certamente
questa volontà ha sempre per compagna la ragione, dovunque ella si
rivolge, e quasi come cameriera; non ch’ella sempre si muova per
ragione, ma non sì giammai senz’essa; in tanto che molte cose fa per
quella contra a quella, cioè quasi per l’aiuto suo, e come per
istrumento, ma contro al suo consiglio e giudizio. Onde dice la
Scrittura: Più savi sono i figliuoli di questo secolo nelle relazioni con quei della loro generazione, che i figliuoli della luce (Luca 16,8 ). E ancora dice: Savi sono a fare il male (Geremia 4, 22). Ma prudenza, ovvero sapienza non può essere in alcuna creatura senza la ragione, eziandio nel mal fare.
Ma certo la ragione per tanto è data alla
volontà, non perché la distrugga, ma più tosto per informarla. Certo
allora la distruggerebbe, quando le imponesse alcuna necessità, per la
quale ella si potesse meno volgere a suo arbitrio. Questo dico, o vero
consentendo ella nel male all’appetito; o vero al malvagio spirito; o
vero perseguitando quelle cose che s’appartengono allo spirito di Dio:
certo seguendo la grazia sua in ben fare, e divenendo spirituale; le
quali tutte cose essa volontà giudica, e da nessuno è giudicata. Certo
se ciascuna delle predette cose la volontà non potesse fare, ciò
vietando la ragione, già non sarebbe più volontà; e se la creatura
ragionevole potesse divenire buona o vero per necessità, o vero senza
consentimento della propria volontà, di certo, o senza ragione dovrebbe
essere misera, o vero non potrebbe essere beata, mancandole, in
qualunque parte tu voglia, quella cosa, la quale solamente è capace di
miseria, o vero di beatitudine, cioè la volontà. In verità tutte le cose
sopradette, come vita, sentimento, o vero appetito, per se medesime non
fanno l’uomo misero, né beato; altrimenti seguiterebbe, che, o vero gli
alberi, perché vivono, e le bestie, cioè vivono e sentono, per l’altre
due cose fossero obbligate a miseria, ovvero acconce e disposte a
beatitudine; certo tutto questo è impossibile. Avendo noi dunque comune
la vita con gli alberi; e il senso, e l’appetito, e ancora la vita con
le bestie, quella che si chiama volontà ci distingue e divide da questi.
La quale volontà ha il suo consentimento volontario, non necessario;
mentre prova i giusti o vero gl’ingiusti, facendoli veramente beati o
vero miseri. Questo dunque tale consentimento della volontà, per quella
ferma libertà della ragione, la quale esso non può perdere per lo
giudizio, che mai non si parte, portandolo sempre seco, non mi credo che
senza ragione si chiami libero arbitrio, il quale è libero di per sé
per la libera volontà, e giudice di per sé per la ragione; e degnamente
il giudizio accompagna la libertà; però che quella cosa che è libera di
sé, dove ella pecca, in quella parte si giudica; e per tanto è il
giudizio sempre con lei, però ch’ella giustamente, quando pecca, patisce
quello ch’ella non vuole; la quale volontà non pecca, se ella non
vuole. Ma quella cosa, che non è conosciuta libera di sé come le può
essere imputato bene o vero male? La necessità cioè scusa l’uno e
l’altro. Certo dov’è la necessità non è libertà; e dove non è libertà
non è merito; e per questo ancora seguita, che non v’è giudizio. Eccetto
sempre in queste parole il peccato originale, il quale di vero ha altra
ragione. Del resto checché non ha questa libertà del volontario
consentimento, di certo degnamente è senza giudizio: e pertanto tutte le
cose che sono all’uomo, fuori che sola la volontà, sono libere da
queste due, cioè da libertà, e da giudizio; perché non sono libere di
sé: la vita e i1 sentimento, la memoria e l’ingegno, e altre simili
cose, per tanto sono sottoposti alla necessità, perché non sono soggette
alla volontà; ma essa volontà impossibile è che sia privata della sua
libertà; però ch’è impossibile, che quello che è di lei, non la
ubbidisca: (nessuno può volere quello che non vuole, o vero non volere
quello che vuole). Certo può bene mutarsi la volontà, ma non se non in
altra volontà, si che mai non perda sua libertà. Così dunque non può
essere mai senza quella, come non può essere senza se medesimo. Se
l’uomo potesse mai, o vero niente volere, o vero alcuna cosa senza la
volontà, certo allora potrebbe la libertà essere senza volontà. E quinci
procede, che a pazzi, vero a infanti, o a chi dorme, di ciò che fanno,
niente è imputato loro a bene o a male. E questo è certo, però che, come
non sono padroni della propria ragione, così non ritengono l’uso della
propria volontà; e ancora per questo non ritengono il giudizio della
libertà. Dunque, la volontà nessuna cosa avendo libera, se non se
stessa, non è giudicata se non da sé. Certamente né il tardo ingegno, né
la memoria labile, né ancora l’appetito inquieto, né il grosso
sentimento, né la debile vita fanno per se medesime 1’uomo colpevole; sì
come i contrari di questi noi fanno innocente. E questo non è per
altro, se non perché veramente [si dimostrano poter accadere] possono
avvenire necessariamente e senza volontà.
Capitolo III
Triplice divisione della libertà: della Natura, della Grazia, della Gloria
Sola dunque la volontà, però che per la
libertà ingenerata in lei, per nessuna forza, per nessuna necessità si
può discordare da sé, o vero accordarsi in alcuna cosa senza sé; sola,
dico, la volontà compone una creatura giusta, o vero ingiusta, capace e
degna di beatitudine, o di miseria, in quanto avrà consentito nella
giustizia o nell’ingiustizia. Per la qual cosa non credo che sia male
definito, come noi dicemmo di sopra, questo volontario e libero
consentimento, per il quale dipende ogni giudizio di sé, per le cose che
dette sono. Questo si suole chiamare libero arbitrio; sì che libero si
riferisca alla volontà, arbitrio alla ragione. Ma certo non si chiama
libero da quella libertà della quale parla l’Apostolo, dicendo: Dov’è lo spirito del Signore, ivi è libertà (2 Corinzi 3, 17); però che quella è libertà del peccato, come esso dice altrove, quando dice: Essendo
voi servi del peccato, liberi foste alla giustizia; ma ora liberati dal
peccato, e fatti servi a Dio, avete il frutto vostro in santificazione e
fine la vita eterna (Romani 6, 18). Ma chi può essere
libero dal peccato nella carne del peccato? Dunque questa sì fatta
libertà, non dico che si chiami libero arbitrio. Ancora è una libertà,
che si chiama libertà da miseria, della quale ancora dice l’Apostolo,
dicendo: Essa creatura sarà liberata dalla servitù della corruzione nella libertà della gloria dei figliuoli di Dio (Romani
8, 21). Ma or presume alcuno d’avere questa tale libertà in questa
mortalità? Questa libertà non senza ragione, neghiamo che si chiami
libero arbitrio; ma un’altra libertà è, la quale io mi penso che più si
confaccia a questo libero arbitrio, la quale noi possiamo chiamare
libertà da necessità, cioè quella cosa sia libera, che non è costretta
da necessità. Questa dunque si chiami libertà da necessità, però che il
necessario pare sia contrario al volontario; però che certamente quello
che si fa per necessità, non è di volontà; e così per lo converso,
quello che non è di volontà, è di necessità: dunque, secondo che ci è
potuto occorrere, ci siamo proposte tre libertà, e l’una si chiami
libertà dal peccato, l’altra libertà da miseria, la terza libertà da
necessità. Quest’ultima ci ha data la natura nella nostra creazione:
nella prima noi siamo restaurati dalla grazia: la mezzana ci è riservata
nella patria. Dunque si chiami la prima, libertà di natura; la seconda,
di grazia; la terza, di vita, o vero di gloria. Certamente in prima noi
siamo fatti una nobile creatura a Dio, in libera volontà, e volontaria
libertà. Secondariamente siamo riformati in innocenza, una nuova
creatura a Cristo. Nel terzo luogo siamo esaltati in grazia perfetta,
creatura in spirito. La prima dunque libertà ha molto d’onore, la
seconda ancora molto di virtù, l’ultima ha pienezza di giocondità. Per
la prima noi siamo nobili sopra tutti gli altri animali; per la seconda
sopra la carne; per la terza ci sottomettiamo la morte. O vero
certamente, sì come nella prima Dio sottopose ai nostri piedi le pecore,
e buoi e le bestie del campo; così nella seconda abbatte e pone sotto i
nostri piedi le spirituali bestie di questo mondo, delle quali dice la
scrittura: Non dare alle bestie l’anime che si confessano a te.
Nell’ultima sottometterà più pienamente noi a noi per la vittoria della
corruzione e della morte. Ciò sarà quando sarà distrutta l’ultima
morte, e noi passeremo in libertà della gloria del Figliuolo di Dio, con
la quale libertà ci libererà Cristo, quando egli ci darà reame a Dio e
al padre. Di questa libertà, e di quella che noi diciamo libertà da
peccato, credo che Cristo parlava ai Giudei, quando diceva: Se il Figliuolo di Dio vi farà liberi, voi sarete veramente liberi (Giovanni
8, 36). Per le quali parole significa, che il libero arbitrio
abbisognava di liberazione. Ma certo non s’intenda per liberarlo da
necessità, la quale profondamente non riconosceva essere la volontà; ma
ciò s’intenda che lo liberasse dal peccato nel quale egli era caduto,
così per libertà, come per volontà; e ancora che lo liberasse dalla pena
del peccato, nella quale egli era incorso incautamente, e la quale egli
patia contro a suo volere: di quali due mali, cioè dal peccato e dalla
pena, esso non poteva essere liberato, se non per colui, il quale solo è
fatto libero tra morti: libero intendi dal peccato tra i peccatori.
Però che solo egli tra i figliuoli d’Adamo s’ha acquistato libertà da
peccato, il quale non fece mai peccato, e già mai non si trovò inganno
in sua bocca: e veramente ancora aveva la libertà dalla miseria, la
quale è pena di peccato; ma questa tale libertà ebbe egli in potenza, e
per possibilità non attualmente; però che nessuno toglieva l’anima sua
da lui, ma egli stesso di sua libertà la poneva per altrui. Ciò
testimonia il profeta dicendo: Egli fu offerto, perché volle (Isaia
53,7): sì come quando egli volle nacque di femmina, fatto e posto sotto
la legge, acciò che ricomperasse coloro ch’erano sotto la legge. Dunque
ben fu esso sotto la legge della miseria; ma ciò fu però che volle,
acciò ch’egli libero tra miseri e peccatori levasse l’uno e l’altro
giogo da’ colli dei fratelli. Questi ebbe tutt’e tre le libertà, la
prima dalla umana e dalla divina natura insieme; le altre due dalla
divina potenza. Appresso vedremo se i1 primo uomo nel paradiso ebbe
queste due ultime, e come e in che modo l’ebbe.
Capitolo IV
Quale libertà compete alle anime sante, sciolte dal corpo, quale a Dio e a ogni creatura razionale
Ma per ora senza dubbio è da sapere, che
l’una e l’altra piena e perfetta è nell’anime perfette, che sono
liberate dalla carne e congiunte con Dio insieme e coi suoi angeli
celestiali. Però che all’anime sante, non avendo esse ancora i corpi
loro di certo, manca alcuna cosa di gloria, ma niente di miseria è però
in loro: ma la libertà da necessità, senza differenza di pari si
conviene a Dio e a ogni creatura ragionevole così buona come rea: o per
peccato o per miseria non si perde e non scema; né ancora è maggiore nel
giusto che nel peccatore, né più abbondante nell’angelo che nell’uomo.
Però che si come il consentimento dell’umana volontà per grazia
convertito al bene, per tanto fa liberamente l’uomo buono, e nella bontà
il fa libero, per quanto è fatto volontario e non costretto centra a
suo volere; così per sua volontà rivolto nel male, in esso nientemeno fa
l’uomo libero e spontaneo, recato a ciò per sua volontà e non costretto
altronde, donde esso sia reo. E secondo che il celestiale angelo, o
vero eziandio esso Dio, sta e permane liberamente buono, e cioè per
propria volontà, non per alcuna necessità di fuori; così in verità il
diavolo parimente libero, e’ cadde nel male, e in quello permane certo
per suo volontario consentimento, non per estraneo costringimento. Sta
dunque la libertà della volontà quivi, dove è la prigione della mente,
così piena nei rei, come nei buoni, ma nei buoni più ordinata; ancora
così intera, per lo suo modo, nella creatura, come nel creatore, ma in
lui è più potente.
Ma quello di che si sogliono dolere gli
uomini, e dire: io voglio avere la buona volontà, e non posso, niente
pregiudica a questa libertà, che perciò la volontà sostenga quasi forza o
vero necessità in questa parte; ma chiaramente allora dice l’uomo che
manca di quella libertà che noi dicemmo di sopra libertà dal peccato.
Però che qualunque vuole avere buona volontà non la vuole avere se non
per sua volontà. Dunque ha volontà: se ha volontà, per quello che detto
è, segue che abbia libertà. Se ha libertà, certo ha libertà da
necessità, non da peccato; questo vedi per le cose sopra dette. Ma
diremo che non può avere la buona volontà quando egli vuole. Certo bene
si sente mancare la libertà; ma quale libertà? La libertà da necessità?
No; ma la libertà dal peccato. In quanto egli si duole che la volontà è
aggravata ma non è annullata: benché di certo come che si sia egli ha
già buona volontà poiché la vuole avere, certo egli è bene quello che
vuole; e volere bene non potrebbe se non per buona volontà, e così male
non potrebbe volere se non per mala volontà. Quando noi vogliamo il bene
la volontà è buona, quando vogliamo il male la volontà è rea. E così in
ciascuna parte è volontà e libertà. Certo la necessità dà luogo alla
volontà; ma quando noi non possiamo quello che vogliamo, allora sentiamo
bene la libertà nostra essere un poco misera, o prigione per lo
peccato; ma non però la sentiamo perduta al tutto. Da questa dunque tale
libertà crediamo noi che si denomini il libero arbitrio: con la quale è
libero a la volontà giudicarsi buona, se consente al bene; o vero rea,
se consente al male; la quale certamente in niuna parte può consentire
se non volendo. Ma da quella che si chiama libertà da peccato forse più
tosto convenientemente si potrebbe dire consiglio libero; e ancora da
quella che si chiama libertà da miseria si potrebbe più tosto dire
piacimento libero, che libero arbitrio. L’arbitrio è giudizio: e sì come
al giudizio sta di discernere quello che è lecito o non; così al
consiglio sta di provare quello ch’è utile o non; e così al piacimento
sta di provare quello che piace o non. Volesse Dio che noi ci
consigliassimo così liberamente, come noi giudichiamo liberamente di noi
medesimi; acciò che secondo che per lo giudizio noi discerniamo
liberamente le cose licite e inlicite, così per lo consiglio avessimo ad
eleggere le cose licite come buone, e le inlicite fuggissimo come
nocive. Però che già saremo non solamente di libero arbitrio, ma ancora
di libero giudizio e per questo saremo liberi dal peccato. Ma che dirai
anche se solo e tutto ciò ci piacesse che ci fosse utile e lecito? Non
saremo noi detti degnamente di libero piacimento sentendoci noi liberi
da ogni cosa che può dispiacere, cioè da ogni miseria? Ma ora, poiché
per lo nostro giudizio noi discerniamo e vediamo molte cose essere da
fare, o vero da fuggire, le quali non però noi eleggiamo, o vero
dispregiamo per lo consiglio, acciò che si dirizzi il giudizio: e ancora
da capo, poiché noi non abbracciamo volentieri, e come cose piacevoli
tutte quelle, che noi osserviamo e teniamo per buone e per diritte per
lo consiglio, anzi molte volte come cose dure e moleste non le
continuiamo con animo pacifico; per questo è manifesto che noi non
abbiamo in noi libero né consiglio, né piacimento.
Un’altra questione c’è, se noi innanzi al
peccato avemmo queste tre libertà nel primo uomo; la quale esamineremo
nel suo luogo. Ma certissimamente siamo per avere queste tre libertà
sopradette quando per la misericordia di Dio avremo e terremo quello che
noi spesso oriamo dicendo: Sia fatta la volontà tua nella terra come in cielo (Matteo
6, 10). Però che questo si compirà, poiché quell’arbitrio, il quale di
sopra è detto, che è comune in ogni parte a ogni creatura ragionevole,
si vede e conoscesi libero cioè da necessità; ciò vuol dire sarà negli
uomini eletti, come già è nei santi angeli, che sarà in loro l’arbitrio
guardato da ogni peccato e sicuro d’ogni miseria. I quali eletti
proveranno con felice esperienza di queste tre predette libertà quale
sia la buona volontà di Dio e la beata e perfetta. Ma ciò ancora non
essendo, sola la libertà dell’arbitrio rimane piena e intera in tutti.
Però che la libertà del consiglio è in loro pure in parte, e questa è in
alquanti pochi e spirituali uomini, i quali anno crocefissa la carne
loro acciò che già non regni il peccato nel loro mortificato corpo.
E certo che il peccato non regni in loro non
lo fa se non la libertà del consiglio. Ma pure non mancando il peccato
perfettamente, in questo si può dire che sia prigionia del libero
arbitrio. Ma quando verrà quello che è perfetto, allora al tutto si
leverà quello che è in parte: cioè quando sarà piena la libertà del
consiglio, allora non sarà prigione d’arbitrio. E questo è quello che
noi domandiamo continuamente nell’orazione, quando diciamo: venga il regno tuo (Matteo
6, 10). Questo regno ancora non è al tutto pervenuto in noi, ma
continuo a poco a poco viene, e di dì in dì più e più distende i termini
suoi. E questo si fa solamente in coloro che di dì in dì rinnovellano
l’uomo dentro. In quanto dunque si stende il regno della grazia, in
tanto scema la podestà del peccato. Ma però che ancora ci ha meno della
grazia per lo corpo mortale, che aggrava l’anima, e per la necessità
ancora dell’abitazione della terra, la quale ha a gravare il sentimento
che pensa molte cose; pertanto eziandio coloro che sono più perfetti in
questa mortalità sono costretti di dire: Noi pecchiamo tutti in molte cose (Giacomo 3, 2). E: Se noi diremo che noi non abbiamo peccato, noi stessi c’inganniamo, e la verità non è in noi (1 Giovanni 1, 8). Per la quale cosa ancora costoro orano senza interruzione, dicenti: Venga il regno tuo (Matteo
6, 10). La qual cosa non si compirà eziandio in loro, infino a tanto
che il peccato non solamente non regni nel corpo loro mortale, ma al
tutto non vi sia peccato né possa essere nel corpo loro già immortale.
* Estratto dal Liber de Gratia et Libero Arbitrio. Cfr. S. Bernardo, Trattato della Grazia e del Libero Arbitrio, a cura di Michele Giorgiantonio, R. Carabba Editore, Lanciano, 1928, cap. I-IV.