Post-sinistra e dissonanze cognitive

Da anni la post-sinistra rivendica a spada tratta la totale autodeterminazione del soggetto in merito al proprio corpo. Non intendiamo entrare nelle questioni specifiche, siano esse eutanasia, aborto, questione del gender e derive transumaniste varie: ognuna richiederebbe valutazioni e analisi particolari. In tutti questi casi ciò che si afferma in maniera irriducibile è il diritto del soggetto a decidere del proprio corpo, senza alcuna mediazione al puro arbitrio, qualora tale soggetto venga giudicato in pieno possesso delle proprie facoltà (estendendo al bisogno, ovviamente, la definizione di tale possesso). Vi sarebbero molte riflessioni da fare su tali problemi, a partire dai rapporti strumentali che il potere intrattiene con il corpo del sottoposto, oppure su come tale principio sia corollario di un modo distorto di intendere i principi democratici, nonchè sui limiti di un concetto di libertà come onnipossibilità indeterminata. Ma, al momento, ciò che ci preme far notare è che in tutti i casi sopra elencati viene fatto valere il principio che esistono decisioni che riguardano esclusivamente il soggetto e non lo stato, in particolare in relazione alla sfera inviolabile del corpo, prima e fondamentale proprietà privata in quanto sede dell'identità personale. Abbiamo assistito a un generale stracciarsi di vesti da parte dell'opinione pubblica mainstream in merito alla dichiarazione di inammissibilità del referendum sull'eutanasia legale da parte della Consulta, per il motivo che “a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili”. Lo scrupolo per il principio di tutela della vita e in particolare di quella dei più deboli, la cui applicazione sarà spiegata in sede di argomentazione della sentenza, viene dunque riconosciuto dalla post-sinistra, in questo caso, come subordinato al diritto di autodeterminazione del singolo. La libertà terapeutica è innegabilmente una delle espressioni di quel diritto alla decisione di sé che si invoca in merito all'eutanasia legale. Eppure la corrente di pensiero che riguardo al suicidio assistito chiede a gran voce la tutela di tale principio è la medesima che da due anni ne afferma la subordinazione all'idea che sia lo stato a decidere della salute dei cittadini, al punto da concepire ricatti e discriminazioni come strumenti di governo leciti e dovuti. Se si ritiene il suicidio assistito lecito in quanto lo stato non può decidere del corpo e della vita dei propri cittadini, non è chiaro come si possa sostenere che sia possibile farlo quando il pretesto sarebbe la salute pubblica. O una determinata sfera è inviolabile, o non lo è. Se è violabile dallo stato, allora quando quest'ultimo afferma le proprie prerogative la cosa non dovrebbe dare scandalo. La dissonanza cognitiva è risolta quando si ricorda che la post-sinistra, come ha più volte dimostrato, non possiede principi. È nel DNA del neoliberismo: non esiste etica, ma solo pretesti etici. Anche la sofferenza del prossimo è merce di scambio e capitale politico.



Totalitarismo percettivo

Viviamo una parentesi allucinatoria e soverchiante all'interno della quale ogni regola di buon senso è stata letteralmente polverizzata: il nostro mondo - come attraversato uno specchio magico - si è improvvisamente capovolto, quando non liquefatto.

Si spenderanno fiumi di inchiostro per descrivere questa coscrizione coattiva e massificata del consenso: si parlerà di ipnosi estesa, si parlerà di mediocrità del Male, si parlerà di convergenze psico-sociali, storiche, più o meno plausibili, più o meno ficcanti.

In realtà quel "quid" che riassuma esaustivamente la totalità di questa deriva schizoide non verrà mai isolato - per usare una terminologia cara ai poltronari sadosanitari - se non indagando a fondo e con onestà il rapporto che intercorre tra il Corpo Sociale, il Corpo Fisico e il Corpus Percettivo.

Il Corpo Sociale definisce tutte le connessioni psicologiche, sociali, economiche, che traghettano il grande flusso del comune sentire. È l'insieme non solo delle persone, ma delle vite delle persone e del modo in cui quelle stesse vite vengono vissute e regolate all'interno di una Società.

Il Corpo Fisico - nella mia definizione sintetica - è la risultanza dei rapporti più o meno armoniosi tra la nostra carne e il nostro spirito. È il Corpo che ci sentiamo addosso singolarmente, e può essere leggero come una spuma o pesante come una montagna. Può essere vibrante e in salute oppure tumefatto e canceroso.

Il Corpus Percettivo invece è l'irradiazione volontaria di stimolazioni e percetti finalizzati a creare un frame, un recinto, entro il quale il Corpo Sociale e il Corpo Fisico sono abilitati ad esistere. Il Corpus percettivo è di natura artificiale, solitamente eterodiretto, ma può ingenerare "varianti" - sempre per usare un lessico abusato dai satrapi di corte - che prendono vita e fioriscono spontaneamente, talvolta controllabili, talvolta no.

Una facile (e piuttosto sintetica) triangolazione delle tre categorie potrebbe fornire un indirizzo di indagine, un suggerimento, un tracciato per chi voglia comprendere meglio la situazione che viviamo.

Il Corpus Percettivo entra in diretta e profonda relazione con il Corpo Fisico, lo si potrebbe definire una sorta di "entanglement" quantistico. Se il Corpus Percettivo modula - come nel nostro triste caso - la sensazione radicale di una emergenza vasta, ecco che il Corpo Fisico (sintesi, lo ricordo, del corpo biologico e di quello sottile) comincia a tremare, a secernere paura e terrore. Paura e terrore che dal Corpo Fisico passano giocoforza al Corpo Sociale ridefinendone le connessioni dalla radice e apparecchiando normazioni che ne regolino le interazioni interne. D'altro canto il Corpus Percettivo per produrre effetti ha bisogno che il Corpo Fisico sia debilitato, malaticcio, permeabile. È così che si relaziona direttamente anche al Corpo Sociale edificando relazioni di Potere che transitano attraverso l'impoverimento Culturale e Valoriale. Il meccanismo del "biasimo sociale" è una perfetta prigione inodore, e per generare la polarizzazione necessaria all'innesco del biasimo serve una sapiente grammatura dell'intrattenimento - come spiegato egregiamente ne "La Società dello Spettacolo" del buon DeBord e come vaticinato da altri testi più "famigerati".

In sintesi - per esser pratici - nessun "patogeno" d'Oriente avrebbe così fortemente potuto rimodulare il Corpo Sociale se non ci fosse stato a priori un Corpo Fisico pronto a riceverne le stimolazioni di terrore, di paura atavica, un Corpo Fisico drammaticamente e intenzionalmente svuotato d'ogni essenza da una pervicace riplasmazione operata dal Corpus Percettivo durante gli ultimi decenni.

A riprova di quanto si sostiene basti osservare la facile constatazione che i più oscenamente immersi nella liquefazione totalitaria sono quelli che si "informano" per mezzo dei teleschermi ossessivi, che ascoltano un'unica verità monodirezionata, che insistono sul frame scontornato da essi stessi e oltre al quale non è dato andare.

Uriel Crua



Il sogno tecnocratico

I paradigmi sociali stanno mutando sotto la pressione di una pedagogia autoritaria che traghetta l’Occidente, rapidamente e con decisione, verso forme di regime post-democratiche e post-comunitarie. Se dovessimo scegliere una caratteristica emblematica della società che il potere sta cercando di instaurare, non esiteremmo a indicare l’atomismo sociale come cifra del mondo che viene. Del resto, all’alba dell’era pandemica, una delle misure principali della profilassi simbolica che concorse alla neo-liturgia del controllo, via via consolidatasi nel modello di nuova normalità, fu appunto il cosiddetto distanziamento sociale. L’espressione è particolarmente significativa, perché tra le molte disponibili per indicare l’atto del mantenere una certa distanza dal prossimo, non si scelse, ad esempio, quella più propria di distanziamento individuale, ma appunto una formula che indicasse un comportamento da assumere come qualità dell’intero corpo sociale. Se un individuo può distanziarsi da un altro, proprio in quanto individuo, la società non può distanziarsi da sé stessa, in quanto le sua essenza è l’aggregazione. Il nuovo ordine iniziava così ad abituarci al suo caratteristico stile comunicativo, fatto di paradossi ed ossimori. Chi non ricorda la nauseante retorica dell’avvocato del popolo, quando pronunciò l’assurdo “se ami l’Italia, mantieni le distanze”? A tutti i non ancora assuefatti, quell’associazione di amore e separazione stridette in maniera sinistra e sospetta. Oggi possiamo comprendere, a ragion veduta, che non si trattava di maldestre formule d’occasione, ma piuttosto di ben ponderate tappe di un corso coatto di educazione civica al cambiamento imminente.

L’antico adagio divide et impera assume nella società post-democratica una gamma inedita di dimensioni e applicazioni, favorite in gran parte dalle più recenti innovazioni tecnologiche. Tralasciamo di considerare le strategie classiche di creazione di fronti avversi funzionali alla preservazione del sistema – dicotomie alla pro-vax/no-vax, per intenderci – o la tattica di disgregazione dei centri di potere intermedi, quali ad esempio famiglia o comunità; concentriamoci invece su qualcosa di veramente peculiare.

Nel nostro tempo, il potere sta letteralmente erigendo un diaframma tecnologico tra l’individuo e la realtà, in cui intende incunearsi in quanto detentore dell’infrastruttura preposta alla mediazione. In questa ottica vanno interpretate tutte quelle misure che intendono progressivamente sostituire il contatto e l’azione diretti, di qualsiasi genere, con il loro surrogato virtuale. Pensiamo, a titolo di esempio, allo smart working, alla sostituzione del contante, alla digitalizzazione burocratica, alle molteplici applicazioni della realtà virtuale o dell’intelligenza artificiale. Ovunque la tecnologia costituisca un accesso mediato alla realtà, il potere può insinuarsi ed esercitare controllo e coercizione con un’autorità direttamente proporzionale alla condizione di dipendenza dall’infrastruttura. Tale soggezione è tanto più determinante quanto più l’individuo viene sradicato dalla genuina realtà di contatto sociale, per essere inserito in un dispositivo tecnologico e virtuale che funge da isolante, mediatore e controllore dell’accesso al reale. Ecco che il distanziamento sociale, in questa prospettiva, è determinato non tanto dalla mancanza di prossimità fisica all’altro, ma dall’invasività della tecnologia in ogni ambito di relazione con l’esterno. Nel sogno tecnocratico, il paradosso di una società dissociata diverrà realizzabile. Rimane da chiedersi come essa potrà ancora dirsi umana. 



La formazione del cittadino digitale

Più che una funzione di controllo, il green pass ha una funzione educativa, stimola pensieri e comportamenti che rispondono a un certo tipo di società.

Si va nella direzione di un modello stimolo-risposta, che annulla il filtro della soggettività. La capacità di non pensare e non avere dubbi, sarà requisito essenziale in un mondo ipertecnologico. Non per un discorso di 'valori', ma di funzionamento dell'ordine tecnologico.

Il green pass è vicino all'educazione civica, ove quest'ultima sia intesa come 'formazione del cittadino digitale', il green pass insegna che il corpo è oggetto della scienza, e in quanto tale sfugge ad ogni individualità. Lo stesso QR Code per quanto collegato con le vecchie 'generalità', restituisce un codice alfanumerico univoco, che prescinde da ogni qualità soggettiva.

L'allineamento è più verticale che orizzontale, ogni uomo si relaziona muovendosi secondo le norme di quell'entità invisibile che è la 'community'. Tutto questo è educativo rispetto a quei comportamenti che le nuove tecnologie dovranno richiedere agli esseri umani. E' un addestramento inconscio, preriflessivo.

Il green pass, poggiando sulla consegna del corpo, sulla sua cessione, sulla sua definitiva espropriazione, è metodo formativo ancor prima che certificativo. Se il corpo diventa mezzo per viaggiare su un autobus, ma non come corpo-proprio, bensì come corpo-consegnato, che deve essere iniettato per poter 'muoversi' e interagire con l'esterno, che deve diventare oggetto per poi essere restituito al soggetto - corpo della community -, allora l'obiettivo di Klaus Schwab, è già tra noi.

Il cammino educativo è già iniziato. Il corpo può fondersi con l'ordine tecnologico, solo se perde la dimensione della soggettività e diventa corpo-oggetto, mezzo scientifico, organo tecnologico.

Per questo, il passo successivo di un QR Code 'posto all'interno', e non più sullo schermo di un cellulare, è perfino fin troppo prevedibile.

Il green pass è lo strumento più utile all'apprendimento del nuovo mondo. E' più un patentino che non un passaporto sanitario. Usarlo, significa seguire la strada tracciata dai nuovi padroni.





Scienzah e illusioni

Avrete notato, come la “scienza” si possa manipolare a piacimento per darle la forma che conviene.

Avrete ad esempio osservato negli ultimi due anni, la presenza di scienziati “aperturisti” che trovavano mille conferme “scientifiche” alle proprie tesi e scienziati “chiusuristi” che ne trovavano altrettante per le proprie.

Ma quante volte abbiamo visto questo meccanismo nella storia? Quando la politica ha voluto intraprendere una direzione, ha sempre chiesto supporto alla “scienza”, proprio per tale motivo. Se si vuole, si può farle dire quello che serve per modellare la società a proprio piacimento. Basta aprire un raggio di ipotesi e selezionare quelle che servono.

E non si dica che la “scienza” non è democratica ed è basata sull’oggettività, perché è sotto gli occhi di tutti come venga utilizzata dal potere per i propri fini. Quando nel novecento si perseguivano teorie razziali, sappiamo che furono proprio gli scienziati dell’epoca a supportarle. Attraverso studi, dati e tabelle.

Deve essere chiaro che la fine della “pandemia” è sempre stata una decisione prettamente politica, non sanitaria. La fine la decreta l'uomo, non certo le curve epidemiologiche.

Se un giorno dovessimo uscirne è solo perché così verrà deciso dall’alto, non perché stia accadendo da sé. E la narrazione seguirà, come vento in poppa.

Tutti i discorsi “scientifici” su tale argomento, su cui ci si intestardisce con l’illusione che contino qualcosa, sono vani.

Immersi in valanghe di studi, di tesi e controtesi, con pezze perenni sui volti, si è rimasti ingabbiati in una realtà fittizia.

Se solo lo avessero voluto, ad aprile 2020 avremmo ripreso la vita di sempre e nessuno si sarebbe accorto di nulla. Invece siamo ancora qui a discutere della durata di un grottesco lasciapassare e di vessazioni inaccettabili, che solo una società malata come quella postmoderna poteva ideare.




Mutare la prospettiva

Abbiamo l'impressione che diverse persone che si sono avvicinate a questo canale negli ultimi due anni principalmente per la questione pandemica, non abbiano chiari gli orientamenti essenziali e la visione d'insieme che esprimiamo da ben prima della società profilattica del lasciapassare verde.

Molti hanno recuperato tale visione d'insieme grazie al testo che abbiamo pubblicato per il decennale. Ad altri la prospettiva che suggeriamo non è mai sfuggita, essendo lettori di vecchia data.

Oggi ci rivolgiamo agli amici che si sono uniti a noi negli ultimi due anni, e che spesso vivono una certa dissonanza cognitiva a fronte delle nostre prese di posizione, spesso critiche nei confronti della cosiddetta controinformazione, e spesso tacciate di disfattismo o pessimismo.

Veniamo associati sovente alle correnti ultra-libertarie, ultra-democratiche e filo-costituzionali, nonché a una certa sinistra post '68, spesso dalle tinte new-age e neospiritualiste, che animano in modo maggioritario l'attuale movimento del dissenso. Non abbiamo nulla contro chi vede il mondo con occhi diversi dai nostri, soprattutto oggi che è necessaria una convergenza di tutti i fronti dissidenti in nome di rivendicazioni essenziali che riguardano l'umano prima che il singolo uomo, per cui insistiamo sulla necessità di un dialogo trasversale fecondo e costruttivo, ma è importante tenere salde identità e differenze di vedute, perché queste sono il reale sale del dialogo e della dialettica politica, mentre non lo sono di certo l'omologazione e l'appiattimento acritico.

Vogliamo pertanto precisare alcuni punti essenziali.

1.  Noi non sosteniamo affatto che la Costituzione italiana sia la fonte assoluta e irrevocabile del diritto, nè che sia sacra e inviolabile. Non assecondiamo nessun culto della Costituzione, e non incoraggiamo a farne un feticcio. La riteniamo opera d'uomini e frutto contingente del processo storico, e come tale la consideriamo perlomeno fallibile, perfezionabile e discutibile. Ogni volta che segnaliamo discrepanze tra la Costituzione e le politiche governative lo facciamo per evidenziare malafede e contradditorietà dell'azione di governo. Riteniamo che essa fondi il patto sociale che regge formalmente la società in cui viviamo, e come tale pensiamo che la sua violazione comporti il venire meno di tale patto, ma questo non significa farne un testo sacro che legittima idealmente ogni dogma giuridico o istituzionale che si pretende scaturisca da essa.

2.  La democrazia parlamentare e rappresentativa non è affatto il migliore degli ordinamenti possibili. È soltanto quello che, quando viene realizzato in modo più o meno prossimo al suo ideale, dovrebbe garantire rispetto e tutela delle minoranze. In questo suo aspetto è ovviamente gradito alle minoranze ideologiche o politiche, e in questo senso ne prendiamo le difese. Siamo tuttavia convinti che l'attuale situazione sia non un pervertimento della democrazia parlamentare, ma un esito inevitabile a partire da alcuni presupposti che assume. In altre parole, "quello che viene" è peggio di "quello che c'era", ma "quello che c'era" ne è la condizione.

3.     Essere critici nei confronti della democrazia rappresentativa non significa contrapporvi forme autoritarie o totalitarie. Significa, ad esempio, cercare di pensare alternative al presente che si basino su nuove sintesi o su nuove prospettive sul passato; interrogarsi sulla nostra tradizione politica occidentale e sul problema di unità e discontinuità delle forme che ha assunto nel tempo; interrogarsi ex novo sui principi etici che dovrebbero informare il vivere associato, stabilendo una tavola e una gerarchia di valori condivisi, nonché il perimetro inviolabile di quanto si deve considerare non negoziabile.

Tutto questo per rispondere a coloro che cercano di trovare il nostro appoggio in iniziative che sono ideologicamente conservatrici, mentre la nostra posizione è rivoluzionaria, nel senso proprio del termine, ossia non di preservazione del passato prossimo contro i suoi sinistri esiti odierni, ma di ritorno alle radici e ai fondamenti della cultura occidentale, intesa come visione del mondo totalizzante. Non c'è cambiamento reale e duraturo senza mutare la prospettiva che ci ha condotti al presente. Ogni forma di pensiero realmente audace e radicale è infatti autenticamente rivoluzionario.




Italia 2022

Italia, 2022.

La fila in farmacia è interminabile. Volti scuri, coperti da maschere. Sguardi bassi, fissi sugli smartphone. Fogli, burocrazia, codici fiscali. Vita che scorre, tempo rubato. La coda si allunga. Individui ordinati, di diverse estrazioni sociali, vaccinati e non, che bisbigliano e si lamentano dietro le ffp2, sono in attesa di un tampone. Facce stanche, arrossate dal freddo. Occhiaie, notti insonni, preoccupazioni. " Mio figlio è in quarantena", non so come fare domani, lavoro tutto il giorno...", " Il professore era positivo ed hanno mandato tutti a casa! Non ce la facciamo più!", “Lo faccio per portare il pane in tavola, non ho scelta". 

Le voci, come uno sciame d'api, si espandono, coordinate. Come un coro sommesso, come un brusio di sottofondo. Si è lì per i motivi più disparati: c'è chi ha sintomi influenzali, chi ha avuto un contatto con un positivo, chi deve avere il pass per lavorare. C'è addirittura chi, durante una terribile "pandemia" spera di essere "malato" per evitare la prima iniezione, od i richiami. Per avere un po' di respiro, di tregua, di tranquillità.

Italia 2022: una repubblica fondata sul lasciapassare. Non esistono più diritti, ma concessioni a tempo determinato compresse in un Qr code. Studio, mobilità, lavoro. Socialità, sport. Accesso ai servizi alla persona, alle banche, in posta. Tutto è subordinato al possesso della tessera verde. La vita scorre veloce, caotica, ma nel contempo diviene granitica, immobile, cristallizzata in un'emergenza senza fine, prigioniera di assurde norme e di una burocrazia soffocante, schiava della sicurezza e di un virus eretto a mito fondativo di un nuovo ordine, di nuovi paradigmi giuridici ed economici.

Italia, 2022. Carne, ossa, sangue, progetti, sorrisi, lacrime. Gioie, dolori, ali recise, quotidianità corrotte. Dove Padri, madri e figli sono in ostaggio di una tecnocrazia di palazzo, avulsa dalla politica reale e dal tangibile, sorda ad ogni legittima richiesta, che ridicolizza e riduce a macchietta il dissenso. Dove se non firmi un consenso estorto con la violenza sei un paria, un parassita, una minaccia per la collettività, muori e fai morire.

Italia, 2022. Fiorello ed Amadeus sono veramente bravi e preparati. Le canzoni in gara sono orecchiabili, le gag divertenti, la scenografia mozzafiato. Meno male che c'è Sanremo. Ancora un piccolo sacrificio e ne siamo fuori.



L’orrore scientista e l’impotenza della legge

Di questi tempi spesso abbiamo udito frasi come 'non possono farlo', obiezione nata dal fatto che si ignora esistano nuove norme che hanno forza di legge e impongono nuove regole. 

Questa è la nuova normalità: la scansione QR Code del nostro stato di salute per accedere ai servizi. Se si sale su un mezzo pubblico, bisogna avere il biglietto, ma anche il certificato di salute.  

Quello che sembra illegale, avviene in forza di leggi.  

Cos'è che fa paura? Il fatto che stia avvenendo qualcosa di profondamente ingiusto? Di assurdo? Di criminale, in senso etico, umano, esistenziale? Beh, allora questa paura dovrebbe diventare orrore. Perché tutto questo è perfettamente legale. Perché è la nuova normalità. E' incostituzionale? Potrebbe, ma di sentenze della Corte costituzionale non ne abbiamo e mai ne avremo.

Perché si ha questa visione rosea del diritto? Le dittature del passato dovrebbero aver dimostrato di cosa sono capaci le leggi. Si è arrivati perfino allo sterminio di vite umane, per legge.  

Tutto quello che viene oggi normato, avviene sulla base di 'dati scientifici'. Ma di quelli ufficiali, istituzionali, riconosciuti. 

La visione scientifica non è quella umanistica. Ciò che noi chiamiamo discriminazione, per loro è necessità, applicazione di teorie, modelli, calcoli, principi. Dati di una comunità scientifica a cui non abbiamo accesso.  

Salvare la costituzione è una mera operazione ideologica. Si tratta di contrapporre la condizione umana alla verità scientifica. Ma la condizione umana è fatta di individui. La verità scientifica si rivolge all'astratto. A tutti e nessuno. Non guarda in faccia le persone.  

La verità scientifica annulla tutte le differenze. E’ importante capire l’impatto di una visione della vita scientista, per il nostro destino di individui. 

La legge oggi è fatta di teorie imperscrutabili che non possono essere contestate, perché chi le ha prodotte è depositario di un sapere che, se solo si ponesse problemi etici di individui o minoranze, non potrebbe più chiamarsi "scienza".  

La costruzione pandemica è la prima vera applicazione di una teoria scientifica, all'umanità intera. E' un cambio radicale di paradigma. Gli uomini hanno smesso di esistere. Sono solo parte di questo mondo. Elementi, dati, numeri. Come qualunque essere vivente studiato finora dalla scienza, di quelli che ci mostrano nei documentari, secondo racconti 'scientifici', per poi farne mattanza, dietro le quinte. Sempre per il bene comune si intende.

Gli uomini diventano parte di questa totalità. Di una teoria scientifica che si pone come verità del mondo. Un giudice della Corte costituzionale non potrà più tirarsene fuori. Dovrà decidere secondo la "scienza".  

Possiamo ancora chiamarle leggi? La "scienza" è chiamata a riscrivere tutto il mondo, ad eliminare il paradigma umanistico. A cambiare linguaggio, mentalità, pensiero. Il successo ottenuto in questi due anni, ci racconta dell'inizio di un processo che avanzerà e si allargherà ad ogni aspetto dell'uomo che prima consideravamo inviolabile.  

La "scienza" deciderà per tutto e per tutti. La volontà dei singoli non conterà più nulla se non per poter improvvisare balletti su Tik Tok.  

Siamo solo all'inizio. Tenetevi forte. E possiate guardare in faccia l'orrore di una società fondata sullo scientismo.