Il potere odia la proprietà privata

I sistemi liberali occidentali hanno tutelato il diritto alla proprietà privata (che è un valore politico, prima che economico) finché essa poteva garantire privilegi e sfruttamento del debole, ma quando la forbice sociale diventa tale che la quasi totalità della ricchezza viene convogliata nelle casseforti di una ristrettissima élite e la povertà si avvia a diventare il minimo comun denominatore dell'intero tessuto sociale, allora la proprietà privata va abolita come norma e sancita come eccezione, per blindare i privilegi dei pochi e la dipendenza dei molti. Proprietà privata è sinonimo di autonomia e libertà. Il suo archetipo è un solido bastione difeso con le armi, o un confine da proteggere per la sicurezza di un popolo. Proprietà privata è, nell'esperienza comune, una casa dove custodire famiglia e trasmettere memoria e valori; dei risparmi che garantiscono progettualità e futuro; un mezzo che permette di spostarsi dove si desidera quando si desidera. E poi un pensiero proprio ed indipendente, un piacere che solo noi conosciamo, un'emozione o un ricordo che non desideriamo condividere. Il potere odia ogni margine di autonomia, ogni cono d'ombra, ogni momento di cui non può appropriarsi. Per questo moltiplica i punti di osservazione, costruisce diaframmi tecnologici tra il suddito e il mondo in modo da divenire i suoi occhi, suggerisce letture ed interpretazioni della realtà dissuadendo i punti di vista non funzionali al sistema. Desidera, insomma, la dipendenza e il controllo totali, ma per farlo in modo definitivo deve abbattere il bastione e violare il confine. Difendere, custodire, trasmettere.





La questione dell'astensionismo

 

Vale la pena tornare ancora una volta sulla questione dell'astensione dal voto, perchè recentemente abbiamo sentito di nuovo affermare da una nota voce della cosiddetta "area della resistenza" che chi si esprime (o si è espresso) contro il voto o è un "infiltrato", o è un "utile idiota". Questo perchè pensare di far crollare il sistema mediante l'astensione è un'ingenuità, mentre l'unica soluzione coerente è invece canalizzare tutto il malcontento verso l'attuale situazione politica per il voto verso forze "rivoluzionarie" organizzate in forma partitica, capaci di realizzare da dentro il sistema tutte quelle riforme che potrebbero cambiare l'attuale assetto di potere.
Cogliamo l'occasione per chiarire ancora una volta la nostra posizione in merito, non perchè ci interessino particolarmente le opinioni di chicchessia (soprattutto quando sono così grossolane), ma perchè in passato siamo stati chiamati in causa proprio da quegli ambienti come presunti promotori dell'astensionismo e quindi come "cattivi maestri", "infiltrati" o "utili idioti".

Concordiamo pienamente sul fatto che non votare non porti a nessun crollo del sistema: il sistema non è intaccato né dal voto nè dal non voto. Chi pensi che non votare possa portare a un cambio di regime è di certo un ingenuo, anche perchè si scontrerà sempre con quelle masse organizzate di votanti che sono le basi militanti dei partiti, le quali esisteranno finché esisterà il sistema partitico. Non concordiamo, invece, sul fatto che i motivi per cui non si vota siano esclusivamente l'idea di favorire il crollo del sistema, o la sfiducia nella politica, o il volontario sabotaggio di un'area o un soggetto politico (come se recuperati i voti degli astenuti, questi potessero essere sicuramente e automaticamente capitalizzati a proprio vantaggio, cosa tutta da verificare).

Altrettanto problematica è l'affermazione che esista la possibilità di un'autentica "rivoluzione" che passi attraverso la via riformista. Una riforma del sistema non è una "rivoluzione": è una possibilità che il sistema contempla e di cui ha congeniti tutti gli anticorpi necessari affinché non degeneri nella dissoluzione del sistema stesso. Quindi parlare di "rivoluzione" riformista è una pura forma retorica: nessun cambiamento radicale può avvenire per via parlamentare, semmai un suo raddrizzamento, o una sua moralizzazione, o un ripristino della regolare prassi democratica. Nessuna di queste possibilità è tuttavia "rivoluzionaria", ma a favore del sistema e per una sua normalizzazione.

La nostra posizione non è in alcun modo assimilabile a nessuna delle possibilità citate. È facilmente verificabile che in ogni occasione elettorale essa non è cambiata: non è nata con le ultime elezioni e pertanto non ha relazioni con il dibattito recente ed esso non l'ha spostata di un millimetro. Non nasce da alcun calcolo politico, né si prefigge alcun risultato sul campo elettorale; non dà alcuna speranza infondata (che, tra l'altro, nessuno può dare) e non pretende di essere la soluzione giusta per tutti. Non l'abbiamo mai promossa invitando qualcuno a non votare, ma anzi, abbiamo invitato a votare chiunque si riconosca nel sistema parlamentare, non tacendo tuttavia quelle che sono le nostre riserve sul rito elettorale e sul sistema parlamentare/rappresentativo. Non votare è semplicemente l'unica risultante che può scaturire dai nostri principi e dalle assunzioni che riteniamo valide.
La nostra posizione nasce da una radicale messa in discussione del sistema stesso: è quindi indifferente alle vicende della piccola politica. È una scelta politica responsabile non perchè riteniamo produca un effetto calcolato e favorevole rispetto agli equilibri parlamentari, ma perchè esprime una visione politica coerente e meditata, che in sostanza è il rifiuto di partecipare al meccanismo parlamentare e rappresentativo. Chi rifiuta in toto la visione politica liberale e moderna semplicemente rifiuta il suo calendario e i suoi riti. Non c'è nulla da riformare: il sistema riformato è ancora il sistema.

Finchè desidereremo perseverare in questa forma d'ordine non ci sarà alcuna rivoluzione autentica, ma solo la riproduzione delle medesime logore dinamiche che, dal nostro punto di vista, non sono accidentali, ma costitutive e logicamente conseguenti ai presupposti del sistema stesso. È partendo dalla costruzione di una visione del mondo realmente antagonista che si può costruire il cambiamento, non su un'attività politica, per quanto genuina e retta dalle migliori intenzioni, improntata a redimire la piccola, vecchia, stanca politica. È per questo motivo che secondo noi la battaglia è prima di tutto - ed essenzialmente - culturale.

Chi considera sé e il proprio entourage l'élite culturale dell' "area della resistenza" dovrebbe avere chiara cognizione del fatto che la critica strutturale (e non contingente o storica) del sistema parlamentare/rappresentativo ha una lunga e autorevole tradizione filosofica e politologica, la quale non può essere semplicemente liquidata come confusione elettorale, e che i suoi esponenti più insigni sono ben più credibili e hanno uno spessore intellettuale ben più consistente di qualsiasi odierno intellettuale di provincia che pretenda di sbarazzarsene con le solite etichette di comodo. Se si esclude dalle possibilità del non voto l'adesione a tale orizzonte del pensiero critico, o lo si ignora, e allora consigliamo di rivedere la autoelezione al ruolo di élite culturale, o lo si tace per deliberatamente, e in questo caso non si è in buona fede, volendo dimostrare che non esiste alcuna ragione coerente e sensata per sottrarsi alla liturgia elettorale.

Piuttosto che etichettare gli astensionisti come gentaglia o idioti, sarebbe utile a chi cerca appoggio e voti prima di tutto il concentrarsi nel convincere i titubanti (non di certo noi) dando prova che esista realmente un'alternativa politica nella politica, cosa che è ancora lungi dall'essere dimostrata, visto che a partire dalle ultime elezioni non abbiamo visto altro che il costante ripetersi delle solite consunte e deprimenti lotte di potere e dinamiche di partito, il cui spettacolo è alla base della disaffezione e sfiducia della maggior parte del potenziale elettorato.



L'intelligenza umana è replicabile?

Si discute molto se l'intelligenza umana sia replicabile artificialmente o meno. La risposta è vincolata all'idea di intelligenza che si condivide. A partire dall'epoca moderna l'intelligenza è stata identificata essenzialmente nella razionalità, ossia nella capacità di calcolo ed elaborazione complessa di linguaggi simbolici. Fino alle soglie della modernità sopravvive, invece, anche una visione antica che riconosce all'uomo una facoltà di intelligenza sovraindividuale superiore a quella razionale, l'intelletto, la quale si basa sulla diretta appercezione dei principi metafisici mediante un atto accostabile analogicamente a quello sensibile (visione e gusto in primis). Cosa intendiamo dunque propriamente per intelligenza umana? La facoltà razionale o quella intellettuale? Mentre la facoltà razionale è replicabile mediante algoritmi, quella intellettuale è invece totalmente incompatibile con il modello computazionale. È a partire dalla riduzione moderna dell'uomo ad essere razionale privo della facoltà intellettuale che si è aperta la possibilità di concepire la replicazione sintetica dell'intelligenza, allo stesso modo che l'aver assimilato, sempre nella modernità, il corpo a una macchina in una visione essenzialmente materialistica e meccanicistica della natura, ha reso possibile l'idea dell'automa o dell'ibridazione uomo-macchina. Il transumanesimo si può combattere solo culturalmente, mediante il recupero di una visione integrale e tradizionale dell'essere umano che ne rivendichi le peculiarità e l'inassimilabilità a qualsiasi forma di riduzionismo moderno. La via politica, in assenza di una antropologia solida e tradizionale che la sostenga, è destinata a fallire: le lusinghe luciferine e prometeiche del sintetico e dell'inorganico, all'interno dell'orizzonte culturale che le ha espresse, sono irresistibili e potenzialmente invincibili.




La retorica della pace

 

1. La retorica della pace è stucchevole quanto quella della guerra. Si può avere pace solo dopo che si è avuta giustizia, altrimenti chiedere pace senza esigere giustizia è come voltarsi dall'altra parte di fronte a un crimine perché si preferisce non vederlo o far finta che non esista.

2. La guerra è un evento tragico ma, in un mondo pieno di ingiustizie, è inevitabile. Quando si combatte per riparare un torto, un crimine o un sopruso, non bisogna vergognarsene ma esserne fieri. Chi si vergogna di combattere è perchè è dalla parte sbagliata e lo sa.

3. Le grandi nazioni moderne non combattono per ideali, ma per i propri interessi. Ad esempio, combattere per la sicurezza nazionale è il legittimo interesse di una nazione, mentre combattere per la libertà, la democrazia o i diritti di un altro paese è una favola. In altre parole in questo contesto non esistono ideali, ma eventualmente interessi inconfessabili.

4. La guerra comporta delle responsabilità. Per prima è che si assumano i rischi delle proprie scelte combattendo in prima persona. La seconda è che se ne paghino le conseguenze in caso di sconfitta. La terza è che si abbia rispetto del proprio nemico, combattendo in modo leale e riconoscendogli comunque dignità e diritto.

5. Dal momento che oggi si combatte per lo più per motivi che si ha vergogna di dichiarare, e lo si fa in modo sleale e irresponsabile, senza onore e senza rispetto non solo del nemico, ma spesso neppure degli alleati, la guerra è diventata una cosa sporca e odiosa, forse addirittura peggiore di tutti i torti che si vorrebbero raddrizzare.




Necessità dell'esempio - A.Carrel

Oggi, stranamente, i giovani che assistono passivamente al crollo della civiltà, sono prodotti dalla scuola attiva; si dimostrano poco istruiti, furbi, scaltri, imbroglioni e sprovvisti di carattere e di senso morale. Non si tratta forse di deficienze dipendenti da gravi lacune dell'insegnamento? Ad esempio, quanti pedagoghi si impegnano nel forgiare la volontà, nel coltivare il dominio di sé? Generalmente la famiglia è un ambiente educativo deplorevole, poiché i genitori moderni non sanno niente di psicologia dell'infanzia e della gioventù, e sono troppo ingenui, troppo nervosi, troppo deboli o troppo severi. Si direbbe che la maggior parte di essi coltivi l'arte di trasmettere difetti ai giovani e sia prima di tutto occupata dal lavoro, dagli affari e dai piaceri. Troppi bambini assistono spesso in famiglia allo spettacolo della volgarità, dei litigi, dell'egoismo, del vizio; e quelli che non vengono iniziati alla vita dai genitori, lo sono inevitabilmente dagli amici. Si può dire senza esagerazione che molti genitori moderni, a qualunque classe sociale appartengano, sono troppo ignoranti per allevare i figli. Le scuole non sono ancora qualificate per sostituirli, poiché spesso l'esempio dato dagli insegnanti agli allievi non è migliore di quello dei genitori. Come insegnava Montaigne, i bambini non hanno solo bisogno di precetti e di parole, ma specialmente di esempi e di fatti. Insomma, né la scuola né la famiglia sono attualmente in grado di insegnare alla gioventù come comportarsi; in questa gioventù si vede anche riflessa, come in uno specchio, la mediocrità degli educatori. L'educazione non mira alla formazione della mente, limitandosi praticamente alla preparazione di esami, semplice esercizio di memoria grazie al quale si producono solo "asini carichi di libri". Ma i giovani allevati in questo modo sono incapaci di comprendere la realtà e di svolgere la loro funzionale naturale nella società.

Tratto da “Riflessioni sulla condotta della vita” di A.Carrel (Ed.Cantagalli)




Tempo sacro

Il modus vivendi, oggigiorno, appare improntato esclusivamente sullo "svago". Il "divertimento" a tutti i costi, il "fare" ossessivo, il dinamismo esasperato, sembrano aver soppiantato definitivamente, in tutto e per tutto, cultura, riflessione, introspezione.

Il modello imposto dalla società moderna, de facto, è quello di un uomo in perenne attività, teso, affannato, alla costante ricerca, come un folle rabdomante, di una fonte d'intrattenimento che non lo faccia sentir solo, escluso, annoiato. Questi ritmi forsennati, sciorinati come modelli vincenti, tendono ad annullare, quasi nella totalità, il tempo sacro che ognuno di noi dovrebbe dedicare a pensare, a nutrire mente e spirito critico, a riordinare le idee, a leggere, a coltivare quella solitudine "buona" tanto criminalizzata nell'era digitale, dove l'apparenza e l'alimentazione esasperata del proprio ego virtuale appaiono indispensabili per vivere degnamente. Tutto ciò, erroneamente etichettato come misantropia, non è altro che riscoperta. Divertimento, svago, rapporti umani sono chiaramente essenziali, ma dovrebbero essere intrisi di realtà e sincerità, scrostati dalla superficialità tipica del nostro tempo, non degenerando, come sistematicamente accade, in una nevrosi tale che ne pregiudichi i benefici. Comprendere ciò, dunque, sarebbe oltremodo essenziale. Una scelta qualitativa imprescindibile per ritrovare sé stessi e cogliere quegli squarci di luce inaspettati che sovente albergano laddove meno ce lo aspettiamo.

" Vedi come ti stimo: oso affidarti a te stesso" ( Seneca) 




Poeti, artisti, eroi, santi pensatori, scienziati, navigatori

Eravamo santi, eroi, pensatori, poeti, navigatori. Creatori, eredi e custodi di una storia legislativa millenaria, madre di tutta la tradizione giuridica occidentale. Eravamo la culla della cultura europea, terra di bellezze architettoniche impareggiabili, capaci di slanci produttivi eccezionali. Eravamo inventori, patria d' uomini eroici che facevano dell'azione e dell'audacia il loro modus operandi, esempio per il mondo e punto di riferimento per secoli. D'un tratto, però, sembriamo dei buoni a nulla. Vendiamo i nostri gioielli industriali a fondi d'investimento stranieri, delocalizziamo, mortifichiamo e rendiamo precari a vita i nostri giovani, oramai carne da macello per il dio mercato. Siamo merce, specchio fedele di quello stereotipo d'italiano arruffone, servo scaltro, opportunista, buontempone, figlio dell'immagine propugnata dai nostri nuovi padroni nell'immediato secondo dopoguerra, rilanciata senza pudore da pennivendoli, pseudo artisti e intellettuali asserviti. Siamo diventati solo una meta turistica da prendere d'assalto, che deturpa il suo paesaggio mediante una urbanizzazione sfrenata, che non è abile ad essere artefice del suo destino, che deve essere accompagnata per mano, mentre sorride, verso il baratro. Siamo italiani, e non più fieri di esserlo. Tenuti in gabbia da un'Europa di burocrati e di squali dell'alta finanza, vittima sacrificale sull'altare del progresso scientifico, terra di conquista, avanguardia d'ogni più vile sperimentazione. Monitorati, in via d'estinzione, pronti ad essere sostituiti, siamo burattini senza fili nelle mani del mangiafuoco di turno. Controllati, minacciati, in costante degenza ed osservazione, abbiamo dimenticato il nostro passato, venduto il nostro presente, pregiudicato il nostro futuro, raso al suolo tradizioni ed identità. Eppure, un tempo non troppo lontano, con pregi e difetti, esistevamo. Eravamo un popolo di santi, poeti, pensatori, eroi e navigatori.



L'opera di Jünger

"Soffro di un tempo che mi è estraneo ma non pretendo il diritto di essere escluso da questo soffrire. È la sofferenza degli spiriti superiori nel nostro tempo."

Se c’è un autore che ha attraversato con costrutto ed operosità viva tutto il Novecento, questo fu Ernst Jünger.
Un secolo denso di avvenimenti, esperienze, guerre, tensioni, mutamenti, conflitti, miglioramenti e peggioramenti. Jünger 
li visse tutti, fino in fondo. immergendosi in essi e traendone le vere essenze.
Attraversò, senza conciliarli, gli opposti della nostra epoca. Fu guerriero e fautore della pace, individualista ma anche sovraumanista, fu soldato ed aperto alle esperienze della trincea ma anche amante della Macchina e della Natura.
Percorse la modernità descrivendola come un sentiero stretto, compreso tra il precipizio della tecnica e l’altezza della divinità.
Jünger fu il più grande scrittore di guerra (“Tempeste d’acciaio”), ed ebbe, al pari di Evola e Pasolini quello sguardo profetico su quel futuro tanto descritto ed anticipato dai cosiddetti scrittori “della crisi”.

“L’operaio”, sua opera centrale è un’analisi sull’epoca mondiale dominata dalla tecnica. Tecnica intesa come quella sfida lanciata dalla modernità, che va riconosciuta, in modo tale da poter dominare ed indirizzare e non subire passivamente. Oltre il nichilismo del mondo moderno, Jünger, alla fine del tunnel della disgregazione, scorge una luce, o per meglio dire una nuova strada. Una strada che si apre, grazie al suo pensiero intuitivo, ad una specie di nuovo umanesimo.
Un superamento dell’umano in una dimensione totalmente nuova. Quasi mitologica. Che trasforma il lavoratore in un nuovo titano che unisce il meccanicismo in una struttura di pensiero integrale che piega i ritmi in una sorta di nuova spiritualità.
La sua pubblicistica è sterminata, tra saggi, racconti, romanzi, epistolari e diari ed è davvero difficile condensare in poche righe le sue analisi e i suoi pensieri.

“Oltre il muro del tempo” è un approfondimento sul tema del tempo secondo una grandiosa visione d’insieme: un’immagine metafisica che, in quanto tale, trova nel mondo fisico la sua controparte. Lo scrittore tedesco non si limita, così, a svilire le ormai sempre più screditate visioni ottimistiche e progressistiche di radice illuministica.
Non una visione lineare e progressista della storia ma al pari di Eliade, Jünger
 rivisita la concezione circolare del tempo. Non esiste un progresso rettilineo. Attraverso la storia della terra e la divisione in cicli metafisici e sovraumani, la lunga analisi del saggio porta ai tempi ultimi. I tempi in cui pochissimi uomini possiedono strumenti adatti all’adesione al nuovo ciclo, al disvelamento, alla frantumazione della crosta nella quale siamo avvolti dalla Tecnica (concetto che sarà spesso presente nelle sue analisi). Una possibilità a cui l’umana natura può giungere pagando un prezzo altissimo di sofferenza e dolore, così da poter accogliere la metamorfosi in vista di una nuova libertà.
L’uomo moderno “differenziato”, quindi è al centro di un’epoca spaventosa ed in balia di forze elementari e caotiche da cui può “ritirarsi”, agendo su se stesso ma soprattutto dandosi al bosco.
Quel bosco tratteggiato alla perfezione in quell’altra sua opera basilare (al pari di “Cavalcare la tigre” di Evola) che fu “Il trattato del ribelle”, la cui traduzione italiana del titolo non rende appieno il senso. Nell’edizione tedesca il titolo è “Der Waldgang”, cioè “colui che si dà al bosco”. Il ribelle (nel titolo italiano) quindi è colui il quale si ritira dal mondo, “passa al bosco”, avendo possibilità nulle di incidere su di esso, cercando di preservare la sua interiorità, i suoi valori e la sua libertà.
Ecco quindi l’anarca juengeriano, il nuovo ribelle che lotta contro il nulla e la decadenza, riscoprendo e rivalutando la propria consapevolezza, mantenendo intatto il suo nucleo inviolabile e la sua profondità. In uno stile severo ed asciutto, aderente nella sua interezza a principi dimenticati. In un cerchio ed in una cittadella inespugnabile. Da cui condurre una lotta di resistenza ma anche di testimonianza.

L’immensa portata dell’opera juengeriana è impossibile da ingabbiare in poche righe.
Restano disseminanti nel tempo, per chi ha voglia di approfondire, “scogliere di marmo”, “passaggi al bosco” e radure di luce.
Bagliori e sentori di un autore “titanico” di un secolo infame che, come ebbe modo di dire Alain De Benoist, non concesse il Nobel ad un autore complesso e profondo che, come una sentinella silenziosa, si stagliò sul confine del nulla.

Prince Rupert

"Antologia di Spoon River" di E.L. Masters

Perla d'inestimabile valore nel variopinto universo narrativo d'oltreoceano, l' "Antologia di Spoon River" di E.L. Masters è, senza dubbio, un caposaldo della letteratura del Novecento. Composto da una straordinaria e corposa raccolta di epitaffi, lo scrittore ed avvocato statunitense racconta, attraverso versi concisi e mordaci, le storie, prive di filtri e pulsanti d'esistenza pura, dei "dormienti" della collina, tralasciando volutamente giudizi e considerazioni morali sui comportamenti e sulle esperienze in terra dei protagonisti dell'opera. Attraverso l'intuizione geniale di dar voce a chi, per forza di cose, voce non ne ha più, l'autore, come una guida, ci accompagna per mano tra le lapidi "parlanti" di un piccolo cimitero del Midwest americano, donandoci un quadro unico, impietoso, crudo, talvolta intriso di meschinità, malinconico, doloroso, a tratti struggente, che rende uniche le vicende ivi narrate, scrostate meticolosamente da ogni alone d'idealizzazione letteraria, che punta dritto al cuore, allo stomaco, alle papille gustative esistenziali del lettore, senza lasciar volutamente spazio a facile retorica ed inutili lustrini. Affilato, reale, disincantato, odorante di "sangue" e di vita, il testo di Masters si traduce dunque in una cronaca dettagliata che squarcia il velo d'oblio che cala sui defunti, concedendo loro ancora un sussulto, un' ulteriore occasione di raccontare le proprie vicissitudini, di tramandare la propria versione dei fatti, donandoci quasi la sensazione di sfiorare il freddo marmo dei sepolcri, di passeggiare riconoscendo volti ed ascoltando storie trasudanti verità, in un affresco spietato, a tinte forti, specchio perfetto di un'umanità peccatrice, capace d'amare ed al contempo di odiare, eroica e vigliacca, incarnante una società ossimorica, ricca di contraddizioni, smantellata di valori, crudele, che, sovente, divora vorace ogni respiro, recidendo violentemente speranze e possibilità di redenzione.

"Tutti, tutti, dormono sulla collina"



Livellamento verso il basso

La banalizzazione mediatica del fenomeno dell'immigrazione di massa riduce il dibattito all'osso, creando due fazioni ben distinte: quella di chi predica accoglienza a tutti i costi, cieca dinnanzi ai reali scopi di tali " rivoluzioni", e quella di chi sbraita soltanto d'invasione, non argomentando la sua tesi in maniera esaustiva e fornendo perciò giustificazioni ed assist a chi invece lucra in maniera vergognosa da questa vera e propria tratta di nuovi schiavi. Oltre la coltre di fumo dolosamente costruita da chi fa il mistificatore di professione, perciò, il "piano" appare chiaro. Il peggioramento delle condizioni lavorative, soprattutto nei comparti manuali, l'esaltazione mainstream di fenomeni da baraccone grati, sfruttati e disposti ad ogni assurdo sacrificio per guadagnarsi da vivere, il proliferare di grotteschi nuovi indirizzi di studio, le tanto in voga università telematiche, la saturazione voluta di determinati settori per livellarne verso il basso le condizioni contrattuali, aprono la strada ad un cambiamento epocale, lasciando spazio ad una nuova classe d'individui disposti ad accettare l'umiliazione per sopravvivere. Sradicati, senza consapevolezza dei propri diritti, con carovane di figli al seguito, provenienti da terre sconvolte da continui tumulti e guerre, provocate anche con la collaborazione dalle potenze occidentali, gli individui in questione sono creta da modellare, i perfetti cittadini del futuro dell'"Europa unita". Il meccanismo, oramai ben oleato, sembra già produrre i suoi devastanti effetti sul nostro sistema economico. 

L'Italiano, in tutto ciò, che fa? Dormiente, abbandona ogni arte o mestiere, si specializza sino a 35 anni, attende con ansia il prossimo bonus o sussidio, mentre masse deportate cariche di vane speranze e false promesse, inquinano il mercato del lavoro, provocando un netto peggioramento dello status lavorativo della collettività. Purtroppo, come al solito, non si crede al santo finché non si vede il miracolo. 



Dialoghi tra le rovine

 " Ehi tu! "

" Chi io?"

- " Si proprio tu, con la bandiera arcobaleno...che ci fai oggi in piazza? "

" Manifesto per la libertà. Sono qui per condannare il fascismo, per sostenere la democrazia. Lotto senza tregua contro la discriminazione delle minoranze, degli ultimi, per difendere il sacrosanto diritto ad avere figli delle coppie dello stesso sesso!"

" Ah, bene, e dov'eri quando venivano tagliati i fondi pubblici a servizi essenziali quali scuola e sanità per i diktat imposti dall' Europa dell'alta finanza? Che facevi mentre veniva abolito l'art. 18 dello statuto dei lavoratori? E quando veniva modificato il sistema pensionistico italiano dalla legge Fornero? Ti sei dimenticato, forse, che ti hanno rinchiuso in casa per due anni con la scusa della salute pubblica ed istituito un lasciapassare per vivere? Ti rendi conto che ti stanno sfruttando per i loro sporchi interessi economici e di "ristrutturazione" della società?

" Ma sta zitto, sei uno squadrista, un complottista da quattro soldi! Vivi nel medioevo!! "

“Hai ragione. Continua pur dormire tranquillo. Come hanno pensato alla tua salute, penseranno in egual maniera ai tuoi diritti ed alla tua libertà." 

Il sonno della ragione genera mostri.

“Si lascino pure gli uomini del tempo nostro parlare, con maggiore o minore sufficienza e improntitudine, di anacronismo e di antistoria. […] Li si lascino alle loro "verità" e ad un'unica cosa si badi: a tenersi in piedi in un mondo di rovine"




Il tempio è sacro

Come astuti robivecchi, abili commercianti di articoli usati e polverosi, i propagandisti di regime, cenciaioli di lungo corso, tentano, con ogni trucco a loro disposizione, di rifilare ai nostri giovani ogni sorta di bestialità, qualsiasi tipo di amenità, nascondendo, sotto il falso vessillo del "progresso" e dei "diritti", meri disegni di plagio e riprogrammazione comportamentale, funzionali essenzialmente al conseguimento dei punti cardine di un'"agenda" ex ante concordata. Così, questi furbi rigattieri, spacciano la svolta green come unica salvezza del pianeta terra, non menzionando minimamente la rivoluzione produttiva in atto e gli interessi economici in ballo, l'antifascismo come battaglia contro i mulini a vento da combattere ad ogni costo, l'ideologia gender come conquista di civiltà, le sanzioni e l'invio di armi come difesa disperata della "democrazia" e della pace, il precariato come flessibilità, l'alfabetizzazione forsennata come condicio sine qua non per collocarsi nel mercato del lavoro, la "scienza" come unico credo, la famiglia come un intralcio, l'impoverimento culturale come divertimento, la spazzatura televisiva e social come unico intrattenimento valido. L'attenzione nei confronti delle nuove generazioni, dunque, dovrebbe essere portata ai massimi livelli. Sono loro l'obiettivo primario, la creta da modellare, l'archetipo di uomo del futuro da costruire. Nello squallido mercimonio che caratterizza il nostro tempo, dunque, dobbiamo ricordare ai nostri giovani che ci sono valori che non debbono essere oggetto, in alcun modo, di trattativa e che esistono delle colonne d'Ercole che non possono essere mai superate, pena l'oblio. Mollare sotto questo punto di vista sarebbe miope ed oltremodo dannoso, per il presente ed il futuro dei nostri ragazzi, oramai al centro di pietosi, goffi e continui tentativi di stupro intellettuale.

" Il tempio è sacro perché non è in vendita", ci insegnava a suo tempo Ezra Pound. Oggi è proprio il caso di ribadirlo a gran voce.



Dissenso concordato

Nei regimi del passato, il dissenso era contenuto in modo autoritario, tramite repressione fisica o colpendo lo status sociale ed economico del soggetto non allineato.

Si tratta di una modalità molto dispendiosa, in termini di risorse umane e materiali, che può essere veramente efficace solo a livello locale, ma che è poco adatta alla società di massa.

Attualmente invece la prassi è mantenere una certa rappresentanza del dissenso accogliendola in modo controllato all'interno del circuito mediatico, per dimostrare che il sistema è pluralista e tollera la diversità. Questo è funzionale alla preservazione dello status quo, è una finzione democratica.

Per esempio nei talk show per poter parlare bisogna sempre fare delle premesse per sottolineare i perimetri oltre i quali non puoi uscire (di recente bisognava premettere sempre di non essere contrari ai vaccini e condannare aprioristicamente la Russia).

Ma è sempre stato così nell’attuale “democrazia”, si pensi a termini quali fascismo, razzismo, omofobia. Se parli di gestione dei fenomeni migratori, se discuti il multiculturalismo, se critichi la teoria gender spiegata ai bambini, se leggi la storia senza pregiudizi, se affermi che ci sono élite che gestiscono la democrazia. Insomma, per qualsiasi argomento fuori dal tracciato imposto, c’è già il termine per criminalizzare il dissenso di cui devi discolparti in partenza.

Tale dissenso concordato non deve mai toccare le fondamenta dell'ordine, ma deve rimanere periferico e riguardare questioni di superficie.

Se casomai il dissenso diventasse ampio, non più contenibile e mettesse in discussione radicalmente le questioni fondanti, allora il potere reagirebbe in maniera scomposta e aggressiva, mostrando la sua vera natura intollerante e autoritaria. Ne abbiamo avuto ampia dimostrazione anche negli ultimi anni, si pensi a quanto accaduto a Trieste. 




La nascita del thriller all'italiana

Il 14 marzo 1964 usciva "Sei donne per l'assassino", il secondo giallo/thriller di Mario Bava.

"Sei donne per l'assassino" seguiva la prima prova di Bava in questo genere ("La ragazza che sapeva troppo") che, seppur piena di trovate interessanti, restava legata a stereotipi classici dai rimandi hitchcockiani.
Con "Sei donne per l'assassino" invece cominciava qualcosa di diverso. Ed iniziava non solo per la filmografia baviana ma per tutta la cinematografia italica. Perché il suddetto film è un vero e proprio capostipite di genere. È quell'inizio da cui hanno attinto tutti coloro i quali, nella decade successiva si sono cimentati con il cosiddetto “thriller all'italiana”, di cui Dario Argento è il più importante rappresentante.

Il film di Bava fu il primo. Fu quello che dettò le regole.
Inquadrature magnifiche, colori mozzafiato, strabiliante fotografia, una storia ingarbugliata e poco lineare che però punta su quei punti fermi che avranno maggiore risonanza successivamente. I protagonisti, poco rappresentati, tendono ad assomigliarsi come dei manichini (un atelier di moda è uno dei luoghi dove si svolge maggiormente l'azione) e vengono utilizzati quasi come dei semplici figuranti.
L'aspetto umano, in questa storia, viene messo in ombra. I protagonisti vengono disumanizzati così come disumano appare il killer che, per la prima volta viene mostrato come un essere senza volto. Un killer sadico e crudele, nero guantato, inesorabile e silenzioso come la morte. La maschera, da lui utilizzata, è stata precorritrice influenzando famose saghe come quelle di Halloween e Venerdì 13.

Il film mostra con estrema spudoratezza e morbosa attenzione i dettagli degli omicidi e introduce anche quel fenomeno horror che venne ribattezzato “body count” e che Bava andò a perfezionare in "Reazione a catena".

Con la maestria che lo ha sempre contraddistinto, Bava creò dunque un nuovo senso estetico di fare film thriller.
Un nuovo stile ed un nuovo metodo.
Una pellicola che si erge come un monolite all'interno di tutto un genere.



Prince Rupert

Sensazioni di libertà

Il vecchio sedeva solo, all'ombra di un pino marittimo, nel grande parco adiacente la scuola elementare. Intorno a lui i bambini festanti, impolverati e sorridenti, si inseguivano, arrossati in volto, a perdifiato, sino a tuffarsi, stremati ma felici, nel prato brullo, quasi fosse un soffice e lindo materasso. Il giovane, con passo dinoccolato, si avvicinò alla panchina. Aveva il capo coperto dal cappuccio, grossi occhiali scuri, lo smalto scrostato color nero sulle unghie e grandi cuffie argentate a coprirgli interamente le orecchie. Muoveva la testa, china sullo smartphone, ritmicamente, tenendo il tempo di una musica incomprensibile, di cui si udiva soltanto un metallico brusio. Il vecchio lo scrutò con sospetto, mentre la sigaretta bruciava tra le sue dita magre, aggrottando leggermente la fronte, con fare interrogativo. D'un tratto il giovane si voltò e, sentendosi osservato, abbassò le cuffie e chiese perentorio: “C'è qualcosa che non va? Cosa guardi”. “Nulla”, rispose il vecchio, “mi incuriosiva la tua maglia...sai cosa c'è scritto?”. “Certo che lo so...cosa credi sia ignorante? C'è scritto "Freedom" che vuol dire libertà!”. “E sai cosa significa libertà?” incalzò il vecchio, oramai entrato nel vivo del dibattito. “Certo che lo so...” riprese il giovane, stizzito dall'apparente banalità di quel quesito, posto da quello strano personaggio con la barba bianca, in quel pomeriggio assolato di metà marzo. “Libertà significa fare quel che si vuole, quando si vuole...significa rientrare all'ora che mi pare, divertirmi, fregarmene di tutto! Libertà è essere sciolti, pensare solo a sé stessi, non rendere conto a nessuno delle proprie azioni!”. Il vecchio, udita la risposta, volse lo sguardo verso il giovane e, abbozzando un timido sorriso, disse sommessamente, scuotendo leggermente il capo: “Lascia stare... ho capito...buona giornata”. “Perché cosa è la libertà?” chiese il giovane incuriosito, oramai interessato a proseguire la conversazione. “Beh”, iniziò il vecchio, “la libertà è in primis sofferenza. È consapevolezza, è guardare in faccia la realtà, anche se dolorosa. La libertà è il sorso d'acqua limpida e fresca di sorgente, dopo un lungo e tortuoso cammino alla scoperta di sé stessi. È lo sguardo stanco, ma soddisfatto di un padre che vede i progressi di suo figlio. È la carezza d'una madre ad una creatura appena nata. È avere dei valori per i quali combattere, difendendoli a spada tratta tra mille difficoltà, tra i giudizi della maggioranza, senza cedere a compromessi. La libertà è partecipare al grande giuoco, attraversare la vita, non girarci attorno. È il fuoco che arde nel cuore quando ci si sente parte attiva, artefici d'un progetto, che coinvolge, affatica, stimola corpo e mente. La libertà è esistenza pura e pulsante. È rompere la corteccia, abbattere la sovrastruttura, arrivare al midollo, per nutrirsene e trarne forza. La libertà è andare oltre il recinto ad hoc costruito, è molto di più di un semplice spazio libero. È il senso profondo per cui respiriamo, è lo schiaffo in faccia che rigenera, scuote, spalanca gli occhi. La libertà è lotta, azione, voglia. È la linfa che ti scorre tra le vene e ti fa sentire vivo tra i morti, sveglio tra i dormienti”.

Il giovane rimase esterrefatto. Mai nessuno gli aveva pronunciato parole così perentorie, vigorose, intrise di vissuto. Il vecchio era senza fiato. Accese un'altra sigaretta e fissò il ragazzo che, con gli occhi quasi lucidi, si rimise gli occhiali da sole, per non far trasparire emozioni. Ora erano uno di fronte all'altro, silenziosi. Il giovane, preso coraggio, tese la mano al vecchio che, con veemenza fuori dal comune per la sua età, la strinse sinceramente, alla vecchia maniera, quasi volesse sigillare un patto tra gentiluomini.

Il ragazzo allora si alzò e, senza proferire verbo, si diresse verso l'uscita del parco, indossando di nuovo le grandi cuffie ed il cappuccio, procedendo, stavolta, con passo più deciso, come rinvigorito da quell' insolito incontro. Il vecchio rimase, solo a riflettere. Non sa se il giovane farà tesoro di quell'esperienza, delle sue parole, o se, il giorno dopo, dimenticherà l'accaduto. Sa solo che durante quel pomeriggio assolato di metà marzo, in quello che sembrava un giorno banale come tanti altri negli ultimi periodi, aveva avvertito una sensazione che non provava da tempo. Si era sentito nuovamente libero.



Vittorie di Pirro

Le pseudo indagini della procura di Bergamo, tanto decantate dal mainstream nostrano e spasmodicamente attese da gran parte della controinformazione, non fanno altro che aggiungere un'altra tessera al mosaico, un altro pilastro alla struttura sapientemente edificata in questi tre anni di delirio assoluto. Il lavoro degli inquirenti, sommato alla cristallizzazione dell'emergenza nella carta fondamentale, alla sentenza della corte costituzionale che, de facto, legittima ricatto ed estorsione come metodo di governo ritenendo l'operato dell'esecutivo compatibile col dettato di cui si farebbe garante, alle finestre di overton aperte sulla mancata attuazione del piano pandemico da parte di note trasmissioni delle reti di stato, completa adeguatamente la fitta trama tessuta finora. Esse agiscono, infatti, su due fronti, ben delineati: da un lato rendono lecito l'operato successivo allo scoppio della "pandemia", giustificando ogni nefandezza commessa sotto il falso vessillo della salute pubblica, financo la violenza inaudita del lasciapassare, donando scriminanti scellerate ai comportamenti delittuosi dell'autorità; dall'altro creano un pericoloso precedente, tracciando le linee guida da seguire per le prossime presunte emergenze, senza che nessuno possa batter ciglio. Ergo, come fu per il green pass, quando criticando la sua applicazione pratica e non le fondamenta si fornivano assist per ampliare la sua portata, così, fermandosi alle apparenze del lavoro della procura, si può cadere nello stesso tranello, considerandolo un buon punto di partenza verso il ripristino di una piena giustizia. Di questo passo, anche la tanto decantata commissione d'inchiesta sulla gestione pandemica, qualora venga istituita, potrebbe rivelarsi un boomerang, vista la piega che oramai hanno preso gli eventi. Sinceramente, di vittorie di Pirro ne abbiamo abbastanza. È giunto il momento di comprenderlo.



Che fine hanno fatto?

Che fine ha fatto Greta Thunberg? Si, lei, proprio lei... quella ragazzina bionda, che era ricevuta con tutti gli onori dai leader mondiali, dai filantropi e dai personaggi più influenti della scena economica e politica nazionale? Quella che li sensibilizzava sul clima, che li redarguiva di non fare abbastanza, mentre voi non riuscivate neanche ad avere un appuntamento col direttore della vostra banca? Che fine ha fatto il buco dell'ozono, vero spauracchio degli anni 90? Quello per cui vi sentivate dei criminali con un deodorante spray in mano o inadeguati per un po' di lacca sui capelli? Si è, per caso, richiuso e nessuno ce lo ha detto? Dove sono finiti i terroristi islamici, l'Isis, le armi di distruzione di massa in Siria ed in Iraq, la fialetta agitata da Colin Powell dinnanzi all'umanità intera? Sepolti, forse, nei meandri più bui e polverosi della storia. Dov'è andato a finire lo spread, l'incubo di milioni di italiani? Quello che se saliva erano guai e giù mazzate e rimproveri dall'Europa? Non esiste più, non conta più nulla? Eppure abbiamo fatto sacrifici enormi per tenerlo basso, financo tagli a scuola e sanità. Forse si è dissolto, come l'influenza stagionale tre anni fa? 

È chiaro che questi sono quesiti a cui non avremmo mai una risposta esaustiva, ma permetteteci almeno di dire che quelle sceneggiature, quegli interpreti, erano quantomeno decenti. Oggi, invece, lor signori non si sforzano più di tanto. Tra il vino che ti rimpicciolisce il cervello e gli insetti che fanno bene, tra pacifisti armati e false politiche green, tra le finte liti da destra e sinistra, si fa veramente fatica a credere alle loro stralunate affermazioni. 

Non ci resta che avere un po' di nostalgia per quei tempi. I copioni odierni sono veramente da stracciare, così come i pessimi attori ingaggiati farebbero bene a cambiare mestiere.



Ciarlatani in azione

Parlano, con lacrime di coccodrillo, di occupazione e precariato, non avendo lavorato un solo giorno in vita loro. Ciarlano di pace, firmando decreti su decreti per inviare armi. Disquisiscono, con il cuore a pezzi, di povertà, di "ultimi", di integrazione, dall'alto dei loro attici, davanti a ricchi buffet istituzionali, nei quartieri buoni del centro città. Istruiscono il popolo sul significato di libertà e democrazia, dopo aver compresso oltremisura i diritti fondamentali, istituito un lasciapassare per vivere, governato a colpi di DPCM e cristallizzato l'emergenza nel dettato costituzionale. Dicono di voler ridurre, con decisioni drastiche prese sulla nostra pelle, le emissioni di CO2, di riciclare, risparmiare, comperare auto elettriche, cuocere la pasta a fuoco spento, spegnere il termosifone in inverno od il condizionatore per combattere l'afa estiva, eppure viaggiano da una parte all'altra del mondo su aerei privati pagati dai contribuenti, partecipando ad eventi comportanti un altissimo spreco energetico, in cui a nessuno importa nulla dell' impatto ambientale. Cantano bella ciao, blaterano di antifascismo, difendono la causa LGBT, ma non battono ciglio se le imprese chiudono per i rincari folli e delocalizzano, se le multinazionali divorano le piccole realtà imprenditoriali, se la finanza fagocita la politica, se un operaio perde il posto ed una famiglia fatica ad arrivare a fine mese. Parlano della scuola, della sua importanza, della necessità di riforme programmatiche e strutturali, dopo aver trasformato la stessa in terreno di sperimentazione per ogni genere di nefandezza, in megafono della propaganda, mentre i loro figli frequentano prestigiosi istituti privati. Parlano di cure e salute, avendo tagliato per anni i fondi necessari alla sanità pubblica, sacrificando tutto per il dogma del pareggio di bilancio, per lo spread che saliva, mentre hanno a loro disposizione eleganti cliniche private con annesso ogni tipo di comfort.

E voi...davvero ancora gli credete?




Progresso regresso

Il "progresso" è cancellare l'identità. L' evoluzione è recidere violentemente le radici di un popolo, inquinare la sua anima, azzerare le diversità, annientando le peculiarità che lo rendono unico, forte, fiero della sua storia, saldo nei suoi principi. Il "progresso" è l'immigrazione scellerata. Uomini e donne costretti ad abbandonare il suolo natio, ingannati dai burattinai del mercato e dai grandi filantropi che, sotto il falso vessillo umanitario dell'accoglienza, prima hanno spremuto sino all'ultima goccia disponibile le loro risorse e poi li costringono ad essere nuovi schiavi in terra straniera, senza consapevolezza di sé stessi e dei propri diritti. Il progresso è la crisi perpetua, la guerra e lo sconvolgimento degli assetti politici ed economici mondiali. È svenare il proprio popolo attraverso rincari folli, seguendo a menadito diktat contrari agli interessi nazionali, ingozzando le masse di analisi banali, notizie false e propaganda da quattro soldi. Il progresso è trasformare, d'un tratto, diritti un tempo intangibili in concessioni a tempo determinato, sulla base di dati fasulli ed amenità scientifiche, giustificando il tutto con la tutela della salute pubblica e l'infallibilità della scienza. Il progresso è il precariato, la deindustrializzazione, la delocalizzazione, la svolta green, i bonus che legano a doppio filo allo stato, l'abolizione del contante spacciata come lotta all'evasione, la finanza che ingloba la politica, il WEF che detta le linee guida per il futuro, le multinazionali che divorano, come pescecani, le piccole e medie imprese, impossibilitate a tenergli testa, in un regime di assoluta concorrenza sleale. Il progresso è il cambio di sesso nei giovanissimi, è il plagio continuo subito dalle nuove generazioni, è la digitalizzazione forsennata atta a rendere l'uomo un atomo isolato, distante, fuori dal concetto stesso di comunità.

Oggi, più che mai, il progresso è regresso.

Ricoperto di lustrini e slogan accattivanti, profumato alla meglio per coprirne l'olezzo penetrante, venduto come bivio necessario, come unica via da intraprendere per sopravvivere, per essere migliori, solidali, poco inquinanti, competitivi, moderni.

Se tutto questo è il bene, dunque, saremo allora orgogliosi di essere il male.



Lacune e vie di fuga

Quante volte capita di seguire dibattiti dove nel momento in cui viene fatta notare l'irrealtà delle posizioni genderiste si risponde: “ma tu critichi e poi credi all’uomo dei cieli?".
Questo modo di rispondere, oggi molto in voga, è effimero da qualsiasi posizione lo si voglia osservare.

Trattasi sostanzialmente di una bella via di fuga; il fatto che chi cerchi un dibattito possa a sua volta credere anche a babbo natale, non dovrebbe confondere il giudizio di ciò che viene detto.

Su un primo livello dovremmo evidenziare la supposizione che il pensiero irrazionale di chi critica giustifichi quello del criticato. Tu credi in un uomo nelle nuvole quindi quello che dico (per es. che un uomo è una donna e viceversa) deve essere giustificato come plausibile, altrimenti la tua critica cade nel nulla, senza alcuna discussione o approfondimento sulla natura diversa dei due. Questo punto è particolarmente aggravato dall'origine scientifica che si voleva dare all'argomento citando cromosomi e biologia. In questi termini non si raggiunge alcuna verità. La discussione inizia senza intenzione di scomporre argomenti complessi in oggetti e rispettivi significati, ma parte con uno slogan che vuole comprimere un'infinità di punti, che sarebbero da discutere singolarmente, in un semplice fatto universalmente esperito.

Senza ricerca, il confronto è sostanzialmente inutile.

Questo tipo di scambi proibisce un confronto razionale al di fuori degli schemi fissi della scienza. Rimangono soltanto le opzioni di confronto a livello scientifico con dati e statistiche, ed abbiamo avuto un assaggio di cosa ciò significhi durante il periodo pandemico. Si viene completamente esclusi a priori dal dibattito perché se io credo in qualcosa di non scientifico (ma molto complesso e quindi necessitante di grandi approfondimenti) allora non ho il diritto di criticare affermazioni che negano il primo principio della logica, ossia che ciò che è non può allo stesso tempo essere il suo opposto.

Per concludere se un uomo può essere donna ed una donna può essere uomo, questo significa che c'è un errore terminologico e di identificazione che dimostra la nostra incomprensione del mondo. Dire che uomo e donna sono intercambiabili significa negare entrambi, ma negare entrambi rimuove ogni necessità di uno di diventare l'altro, essendo entrambi la stessa cosa. Al contrario cercare di definire uno e l'altro dimostra differenze e quindi l'esistenza di entrambi, così distruggendo l'idea che uno possa essere l'altro e viceversa. Non capire questo concetto dimostra lacune nei processi mentali che ci permettono di comprendere il mondo.




La Rus' di Kiev. Storia del più grande Stato dell'Europa medievale (secc. IX-XIII)

Due dottori magistrali in Storia, Antonio e Rocco Raimondi, hanno scritto un volume dedicato alla Rus' di Kiev, un tema davvero poco trattato in Italia.

Questo libro, spingendosi al di là delle barriere ideologiche, dei nazionalismi e dei pregiudizi storici, affronta difatti un argomento decisamente trascurato dalla storiografia europea, che risulta quanto mai rilevante alla luce delle vicende e degli avvenimenti presenti, poiché solo analizzando il passato si può comprendere il presente e guardare al futuro. 

 

La Rus’ di Kiev sorse nel IX secolo d.C. sul fiume Dnepr e divenne lo Stato più grande dell’Europa medievale, soprattutto dopo la conversione al Cristianesimo orientale, un passo che influenzò in maniera determinante i suoi orizzonti culturali e politici.

Dopo un interessante capitolo introduttivo sullo Stato, sull'economia e sulla società della Rus' di Kiev (dell'Antica Rus'), si ripercorrono, cronologicamente, i suoi eventi e le sue vicende, da Rjurik a Vladimir Monomach, alle lotte intestine che condussero alla sua disgregazione e poi alla conquista mongola nel XIII secolo.


Un testo consigliato. LINK





 

 


Rieducazione

Il ragazzo, seduto solo all'ultimo banco della grande aula posta al quinto piano dell'imponente edificio scolastico, guardava assorto fuori dalla finestra. Nel cortile antistante il complesso, la fila appariva interminabile. Come ogni giorno, con le teste chine e gli sguardi rivolti verso lo smartphone, gli alunni del secondo turno attendevano che venissero verificate le loro credenziali d' ingresso. QR code, temperatura corporea, materiale per la lezione digitale, mascherina ffp2: tutto doveva essere a posto, perfetto, in linea con le rigide direttive del ministero, pena l'esclusione dalle attività. Il vento era gelido, ma nessuno sembrava batter ciglio. In coda, ordinati ed operosi come una colonia di formiche, i giovani, di varie etnie e dal variopinto abbigliamento, procedevano spediti, automatici, con ritmo serrato, quasi fossero prodotti in attesa sul rullo di una pantagruelica cassa di un supermercato di provincia, pronti per ricevere lo scanner sul codice a barre, per poi essere imbustati. Il ragazzo, durante le lezioni, si perdeva spesso nella miriade caleidoscopica di dettagli caratterizzanti quella scena, identica ogni maledetta mattina. C'è chi aveva la gonna e lo smalto nero, eppure era un maschio, chi la mascherina arcobaleno, chi indossava grossi occhiali scuri anche durante le giornate piovose, chi aveva stampato sulla felpa il simbolo della pace o scritte inneggianti alla lotta ai cambiamenti climatici. La fine dell'ora di educazione civica ed ambientale sembrava non giungere mai. In fondo alla classe, la voce stridula del docente, un uomo alto, calvo, smilzo, dall'aspetto austero e lo sguardo aquilino, arrivava lontana, ovattata, quasi provenisse da un'altra dimensione. Con il volto coperto da una spessa museruola, il ragazzo aveva quasi l'affanno. Il respiro, inibito oltremodo dall'ingombrante presidio sanitario, era rallentato, metallico, affannato. La lezione andava avanti, senza interruzioni. Fuori, un timido raggio di sole squarciava le nubi plumbee, penetrando, come una lama affilata e lucente, attraverso la piccola vetrata laterale, illuminando a malapena la grande e tetra aula, entrando in contrasto col grigiore dell'ambiente circostante. Tutt'attorno gli altri studenti, silenziosi e mascherati, seguivano intenti la lezione, consultando, di tanto in tanto, il tablet poggiato sui banchi. " Ripetete con me...", disse, con tono sommesso il professore, “riciclo, ecosostenibilità, rispetto delle regole e della scienza, questi sono i punti cardine". " Riciclo, ecosostenibilità, rispetto delle regole e della scienza", il coro degli alunni fu unanime. Il ragazzo dell'ultimo banco era l'unico in silenzio. Sotto la ffp2, ben piantata sulla faccia, l'aria si faceva, via via, sempre più pesante e viziata. D'un tratto, una forza indomabile, s'impossessò del giovane, oramai completamente destatosi dal torpore mattutino. "Bastaaaaa, adesso basta!!" L'urlo carico d' adrenalina, tagliò di netto le litanie dei suoi compagni, facendo calare, nella grande stanza, una quiete irreale. Tutti ora lo guardavano, ammutoliti, compreso il docente. Lo scolaro allora incalzò, sempre più deciso, "vi rendete conto cosa ci costringono a dire, cosa ci impongono di fare? Parlano di rispetto e ci trattano come animali da cortile, ciarlano di pace e democrazia e viviamo in uno stato di crisi perenne e belligeranza, farneticano di ambiente e salute per imporre regole insensate, con l'unico scopo di indottrinare e dominare, che senso ha tutto ciò? Ci siamo accorti chi siamo diventati? Automi, senza spirito critico e capacità d'agire, pronti solo ad ubbidire, a chinare il mento, a dire di sì". Il docente e gli altri componenti della classe erano imperturbabili, immobili, come statue di sale. "E poi cos'è questa educazione civica ed ambientale? Mio nonno mi raccontava di filosofi, poeti, letterati, pensatori, eroi, condottieri, noi non sappiamo nulla!! Impariamo solo quello che è funzionale ai loro scopi! Ci vogliono come morti che camminano!!!" Terminato lo sfogo, gli occhi degli studenti si girarono all'unisono verso il professore, che, senza batter ciglio, si avvicinò ad un piccolo interfono, posto ai lati dell'immensa lavagna. Pochi secondi dopo aver mormorato parole incomprensibili, due psichiatri del "reparto ascolto e rieducazione", mascherati e vestiti con dei lunghi camici bianchi, si palesarono nella sala, oramai spettrale e priva di qualsivoglia rumore. Si udivano, ora, soltanto i sospiri del ragazzo, adesso privo di forze, come fosse reduce da una corsa a perdifiato. L'uomo calvo e magro indicò il colpevole, puntando l'indice della mano destra contro il ribelle. I due uomini, senza indugio, afferrarono il ragazzo per le braccia, che non oppose alcuna resistenza. Conosceva bene, infatti, il suo destino. Era inutile lottare, era fiero di sé stesso, era stato d'esempio, aveva fatto ciò che andava fatto. Prelevato e portato fuori di peso dall'aula, egli lanciò uno sguardo ammonitore al resto classe, mentre un piccolo ghigno, intriso di felicità ed orgoglio, affiorò sulle sue labbra carnose, aggrottandogli leggermente la fronte sotto gli spessi capelli scuri. " Il vostro compagno, ragazzi, sarà presto dei nostri, rigenerato dopo la settimana di riabilitazione. Che sia da monito ciò che gli è accaduto, che nessuno di voi osi seguire le sue scellerate orme. Non vorrete fare la stessa fine, vero?". Dopo le perentorie parole proferite del docente, una strana calma calò, come un nero sudario, sull'aula ammutolita. Gli scolari, annuendo con gli occhi sgranati, attendevano istruzioni sul da farsi, come soldati disorientati, presi alla sprovvista da un'imboscata nemica. "Adesso ripetete con me..." riprese il professore, con tranquillità, come se nulla fosse accaduto, "riciclo, ecosostenibilità rispetto delle regole e della scienza, questi sono i punti cardine".



Impassibili

 

In un mondo ribaltato, in cui esser pacati e gentili è considerato un segno di evidente debolezza, dove chi starnazza ha più considerazione di chi esprime educatamente la propria opinione, ritagliarsi uno spazio per analizzare, scevri da isterismi e sovrastrutture, la multiforme e complessa realtà che ci circonda, è sempre più un'impresa ardua. I modelli proposti dai media e dai teatrini tv sono desolanti. Guitti prezzolati in cerca del quarto d'ora di gloria, si alternano a vip di cartapesta che sentenziano su ogni materia senza soluzione di continuità, sedicenti esperti, dall'alto dei loro troni posticci, che fanno a gara a chi la spara più grossa, mentre imbrattatori della verità di professione continuano la loro opera di mistificazione e di criminalizzazione del dissenso, colorando con tratti farseschi dibattiti e discussioni, che si riducono a puerili scambi d'insulti, a mere beghe da cortile.

Districarsi tra le mangrovie ed il fango del nostro tempo, restando il più possibile vivi, analitici e puri di spirito, è sicuramente un percorso difficile, ma al contempo stimolante. Mantenersi in piedi tra le rovine richiede passione, coraggio, cuore, testa, visione a lungo raggio. Il sentiero che stiamo percorrendo, per quanto impervio e ricco di ostacoli, è quello retto. Alle grida forsennate, al raglio di somaro, opporremo perciò calma e valide motivazioni. Faremo fronte al fanatismo, alla propaganda, al letargo della ragione e del buonsenso con audacia e ostinazione nel tutelare le nostre posizioni.

Una porta si è chiusa alle nostre spalle, proiettandoci in una nuova, incerta realtà che dobbiamo affrontare a schiena dritta. Dure prove ci attendono, questo è certo, ma noi saremo pronti. Restare sani tra i folli, svegli tra i dormienti, impassibili agli scherni e all'ilarità di chi è imboccato e pensa di detenere ogni risposta in tasca, non temendo la solitudine od il giudizio altrui: è questa, al momento, la vera sfida da onorare e vincere, contro tutto e tutti.

"Dalla scuola di guerra della vita, ciò che non mi uccide, mi rende più forte”. " (F. Nietzsche)



Sconfitti ma "felici"

 

Diciamogli che è per il loro bene. Per la salute pubblica, gli anziani, i fragili, i bambini, l'economia, il lavoro, i mercati. Per l'Europa, la democrazia, la libertà, la pace, l'occidente. Per combattere l'inquinamento, il riscaldamento globale, le emissioni di CO2. Per la natura, l'ecosistema, per contrastare i cambiamenti climatici. Per la tutela delle minoranze, per l'uguaglianza, per arginare il ritorno del fascismo. Nel frattempo, toglieremo loro tutto.

Trasformeremo i diritti un tempo intangibili in concessioni a tempo determinato. Impianteremo un sistema di crisi perpetua, tra guerre e pandemie, cristallizzando l'emergenza nel dettato costituzionale. Incrementeremo, coi soldi pubblici, gli armamenti per un conflitto voluto dai nostri padroni, perpetuando il sistema delle sanzioni, alla faccia degli interessi nazionali, ai danni di un partner economico sino a ieri gradito ed imprescindibile. Annienteremo ciò che resta della sanità pubblica, distruggeremo gli ultimi brandelli della scuola e dell'università, con programmi demenziali e regole grottesche,  puntando sull'obbedienza cieca di docenti e dirigenti. Rivoluzioneremo il sistema produttivo, attraverso la deindustrializzazione del paese e la delocalizzazione delle grandi imprese. Renderemo il lavoro ancor più flessibile e malpagato, impoverendo le masse per costringerle a vivere di bonus e sussidi, per farle ancor più mansuete e legarle a doppio filo allo "Stato". Confonderemo i giovani, minando le loro certezze, la famiglia, la loro identità sessuale, rendendoli sempre più insicuri, turbati e timorosi. Sguinzaglieremo, infine, i segugi di regime: esperti guitti, giornalisti, influencer, conduttori, saranno megafono martellante della propaganda, senza soluzione di continuità, senza tregua, senza pudore alcuno. Essi ridicolizzeranno il dissenso, rendendolo macchiettistico, con squallide trasmissioni e volgari dibattiti.  

Infine, quando saranno senza denaro, senza terra, senza figli, senza radici, senza identità, saranno sconfitti, ma "felici", perché non avranno nulla. Se, malauguratamente, un giorno qualcuno dovesse chiedere come abbiamo fatto ad arrivare alla vittoria, senza che vi sia stato un lamento od uno scoppio d'archibugio, gli risponderemo che tutto sommato è stato semplice, è bastato solo dirgli che era per il loro bene.



"Walden" di H.D.Thoreau

Luglio 1845. Henry David Thoreau, all'epoca ventottenne, lascia la sua città natale, Concorde, per trasferirsi sulle rive del lago Walden, nel Massachusetts, ove rimane per circa due anni. È qui, a nudo contatto con la natura incontaminata, in una capanna da lui stesso costruita, ch'egli dà alla luce una delle sue opere più importanti e significative. Manifesto vivido e pulsante di un ritorno ad una dimensione più autentica, " Walden- vita nel bosco" traduce nelle sue straordinarie pagine, il lungo percorso spirituale dell'autore, che ha portato lo stesso ad allontanarsi dalla società, dai suoi schemi precostituiti, dalle comodità, attraverso una fuga consapevole verso una "solitudine buona", che consenta all'uomo di ritrovare sé stesso, di elevarsi, ritornando alle origini, al tangibile, all' essenziale. Il testo, caratterizzato da una prosa colta e raffinata, fonde, in un unicum straordinario, filosofia e pratica, concretezza e poesia, trasmettendo al lettore vibrazioni uniche, irripetibili, rare, che scuotono, con dolcezza e veemenza, anima e coscienza. In aperto contrasto con il mercantilismo, l'utilitarismo e l'accumulazione ossessiva di ricchezze, il testo rappresenta un ode alla libertà, alla bellezza, alla natura, ai suoi sincronismi, donandoci una prospettiva alternativa, impegnativa, rivoluzionaria, riavvolgendo il filo d'Arianna per aiutare l'uomo a trovare una via d'uscita dal labirinto del Minotauro che lo circonda, proponendo uno sforzo intimo che spazzi via la fuliggine del quotidiano, che tagli il cordone ombelicale che lo lega indissolubilmente ad un'esistenza che non gli appartiene più, che corrompe la sua essenza, eterodiretta, soggetta al giogo di meccanismi che tritano violentemente verità e purezza. Emotivo, concreto, creativo, conoscitivo, oltremodo attuale, "Walden" è molto di più di un semplice "libro". Esso rappresenta, infatti, un vero e proprio "periglioso" viaggio interiore, una cronaca, un vademecum, adatto a chi vuole "marciare al suono di un tamburo diverso", non accontentandosi di analisi scontate e facili soluzioni. Un capolavoro immortale, coraggioso, capace di sconvolgere, di squarciare la rete che ci tiene prigionieri, scavando in profondità nelle pieghe più profonde dell'animo umano, attraverso un atto "formale" che sancisca la definitiva indipendenza dalla pochezza morale di un sistema soverchiante dedito soltanto all'apparenza ed al consumo più sfrenato. 

"Essere un filosofo non è solamente avere pensieri sottili, e neppure fondare una scuola, ma amare la sapienza al punto da vivere secondo i suoi dettami, con una vita semplice, indipendente, magnifica e fiduciosa. E risolvere alcuni dei problemi della vita, non solo nella teoria ma nella pratica”