I buoni e i cattivi

Nella storia esistono i buoni e i cattivi, i buoni son quelli che vincono le guerre, comandano, dirigono l’informazione e scrivono la storia, gli altri sono dei folli e dei demoni il cui solo ricordo deve essere soppresso. Chi è contrario a questa logica si rassegni.

Esaminare con serenità il passato, approfondendo gli avvenimenti su più piani di lettura, non pare essere possibile. Da un lato abbiamo una minoranza di nostalgici idealizzatori di ideologie defunte, dall’altro una enorme massa votata alla sistematica e indiscriminata denigrazione, la loro è una vera e propria demonizzazione acritica che vede in tutti i sistemi del passato il male, mentre nel sistema attuale e nel progresso il bene. L ’isteria “meccanica” che sorge nelle persone quando si parla di regimi passati dovrebbe far riflettere poiché non si tratta di reazioni lucide bensì di automatizzazioni cristallizzate. C’è una mitologizzazione sull’argomento, non un atteggiamento critico e razionale, bensì passionale ed irrazionale. Queste vecchie ideologie, difatti, fungono da forme di controllo per le masse. Dividono in fazioni e creano spauracchi inesistenti. Se ne dovrebbe parlare in maniera analitica e distaccata, cercando di coglierne gli aspetti negativi, così come quelli positivi, senza per questo metter su movimenti “antifascisti” o “anticomunisti” che non hanno alcun senso. Ma mentre le persone inseguono tali diatribe, scontrandosi tra loro, il sistema continua ad avanzare, a perfezionarsi e ad avere nuove strutture di controllo.

La realtà è che l’unica ideologia rimasta oggi è quella liberale, dei cosiddetti “mercati” e i loro deus ex machina. Il liberalismo tenta di monopolizzare la politica calpestando popoli e culture. Demonizza in tutti i modi regimi del passato, utilizzandoli come metro negativo di paragone, proprio per dimostrare la sua bontà. Trattasi di un sistema che però è democratico solamente di facciata dal momento che, alla resa dei conti, un pool di banchieri e finanzieri, non eletti da nessuno, decide la solidità di un paese, il suo governo, le sue leggi e la sua economia, indicando cosa si deve o non si deve produrre. Non esiste alcun progetto politico che non sia al servizio di élites, sono loro che nominano direttamente i governi nazionali. Viviamo in una democrazia presunta, con personaggi a servizio di interessi oligarchici. Uomini governano le nostre vite pur non essendo legati a nessuna espressione di volontà popolare. Ogni governo nazionale è sottoposto a ricatti ed il parlamento è esautorato di ogni decisione e vincolato agli interessi del mercato.

La massa è convinta di avere potere decisionale, crede che attraverso una crocetta sulla scheda elettorale e seguendo un po’ di dibattiti nei talk show televisivi possa essere protagonista della vita del paese. Non coglie di trovarsi all’interno di un totalitarismo, e non vedendo armi continua a dormire sonni tanto profondi da credere di vivere in tempi normali.

E così, mentre il potere decisionale è legato ad élites ed a tecnocrati della finanza, col dito si indicano le figure defunte di Mussolini, di Stalin e di Hitler. Un’ ottima tattica, non c’è che dire.




La sensibilità estetica medioevale – J.Huizinga

La coscienza di un godimento estetico e la sua espressione in parole non si sono sviluppate che tardi. L’uomo del secolo quindicesimo disponeva, per esprimere la sua ammirazione davanti alle opere d’arte, di termini che ci attenderemmo da un borghese stupefatto. La nozione stessa della bellezza artistica gli è ancora sconosciuta. Se la bellezza dell’arte lo riempie di luce e di commozione, egli converte immediatamente tale sentimento in un senso di comunione con Dio o in gioia di vivere.
Dionigi il Certosino ha scritto un trattato “De venustate mundi et pulchritudine Dei”. Dunque già nel titolo la vera bellezza è attribuita soltanto a Dio; il mondo può esser soltanto venustus, grazioso, leggiadro. Tutte le bellezze del creato, dice egli, sono soltanto rivoletti della bellezza suprema; una creatura è chiamata bella in quanto partecipa della bellezza della natura divina e quindi le diventa in certa misura simile. Questa estetica larga e sublime, per la quale Dionigi poggiava sullo Pseudo-Areopagita, su S. Agostino, Ugo da San Vittore e Alessandro di Hales, avrebbe dovuto servire di base per l’analisi d’ogni bellezza. Ma mancavano ancora al secolo quindicesimo le forze necessarie a tale scopo. Dionigi prende dai suoi predecessori persino gli esempi di bellezza terrena, una foglia, il mare dal colore cangiante, il mare irrequieto, e segue specialmente i due acuti Vittorini del secolo dodicesimo: Riccardo ed Ugo. Se si propone di analizzare da sé la bellezza, rimane alla superficie. Le erbe son belle perché son verdi, le pietre preziose perché luccicano, il corpo umano, il dromedario ed il cammello perché son conformi allo scopo. La terra è bella perché è lunga e larga, i corpi celesti perché sono rotondi. e chiari. Delle montagne ammiriamo la grandezza, dei fiumi la lunghezza, dei campi e dei boschi l’estensione, della terra stessa la massa smisurata. Il pensiero medioevale riconduce sempre la nozione di bellezza a idee di perfezione, di proporzione e di splendore. Nam ad pulchritudinem, – dice S. Tommaso d’Aquino – tria requiruntur. Primo quidem integritas sive perfectio: quae enim diminuta sunt, hoc ipso turpia sunt. Et debita proportio sive consonantia. Et iterum claritas: unde quae habent colorem nitidum, pulchra esse dicuntur. Anche Dionigi cerca d’applicare unità di misura di tal fatta. Ma il risultato è sempre disgraziato: l’estetica applicata è sempre una cosa imbarazzante. Non è da stupirsi che, con una nozione di bellezza così intellettualistica, lo spirito non possa indugiare sulla bellezza terrena quando vuol descrivere il bello, Dionigi devia subito verso la bellezza invisibile: quella degli angeli e dell’empireo. Oppure la cerca nelle cose astratte: la bellezza della vita è lo stesso cammino della vita secondo i dettami della legge divina, scevro dalla bruttura del peccato. Della bellezza dell’arte non parla, e neppure di quella della musica, che più d’ogni altra avrebbe dovuto colpirlo come un valore estetico a sé . Questo stesso Dionigi, entrato un giorno nella chiesa di San Giovanni a Bosco Ducale, mentre suonava l’organo, fu a un tratto rapito dalla dolce melodia in un’estasi prolungata. L’emozione artistica si trasformò immediatamente in esperienza religiosa. Non gli sarà nemmeno passata per la mente l’idea che nella bellezza della musica o dell’arte figurativa egli potesse ammirare qualcosa di diverso dal divino.
Dionigi fu tra coloro che disapprovarono l’introduzione della musica moderna, polifonica, nella chiesa. La voce rotta (“fractio votis”), così scrive seguendo un autore più antico, sembra il sintomo di un’anima spezzata: la si può comparare ai capelli arricciati in un uomo o a un vestito pieghettato in una donna: non è altro che vanità. Alcuni che avevano partecipato a quel canto a più voci gli avevano confidato che vi erano in esso un certo orgoglio e una lascivia animi. Egli riconosce che vi sono dei devoti che dalle melodie vengono intensamente stimolati alla contemplazione e alla devozione, ed è per ciò che la Chiesa tollera gli organi. Ma quando la musica artistica serve a dilettare l’udito e a dar piacere ai presenti, soprattutto alle donne, essa va scartata senz’altro. Si vede come lo spirito medioevale, nel descrivere la natura dell’emozione musicale, non trovi ancora altri termini, che non siano quelli indicanti sentimenti peccaminosi: l’orgoglio e una certa lascivia dell’animo. Si scrisse continuamente sull’estetica musicale. E di regola si continuava a fondarsi sulle teorie musicali, da tempo non più comprese, dell’antichità classica. Ma sul modo in cui la bellezza musicale era realmente sentita, quei trattati non ci dicono in fondo molto. Quando si tratta d’esprimere che cosa si trova veramente di bello nella musica, ci si limita a termini generici, che sono affini a quelli adoperati per esprimere l’ammirazione destata dalla pittura. Ora vi si ammira la gioia celestiale, che si prova nella musica, ora l’eccellente imitazione. Tutto contribuiva a far apparire l’emozione musicale affine alla beatitudine celeste; non si trattava qui, come nella pittura, di una riproduzione di cose sacre, bensì di un’eco della stessa gioia del paradiso.
Quando il bravo Molinet, che evidentemente amava molto la musica, racconta come Carlo il Temerario, anche lui grande amatore di musica, passasse il tempo nel campo davanti a Neuss con la letteratura e specialmente con la musica, la sua anima di retorico esulta: car musique est la résonnance des cieux, la voix des anges, la joie de paradis, l’espoir de l’air, l’orgne de l’Eglise, le chant des oyselets, la récréacion de tous cueurs tristes et désolés, la persécution et enchassement des diables (t 135). Ci si rendeva, naturalmente, conto dell’elemento estatico che si nasconde nella sensazione musicale. La forza delle armonie, di Pierre d’Ailly, attira talmente l’anima umana a sé, da sottrarla non solo alle altre passioni e preoccupazioni, ma da sollevarla addirittura sopra se stessa. (…)

Fonte: Tratto da “Autunno Del Medioevo” di J.Huizinga (Ed. Newton Compton)




Intervista Hexperos

Gli Hexperos sono un duo musicale italiano fondato nel 2004 e composto da Alessandra Santovito (principalmente soprano, flauto traverso, percussioni) e Francesco Forgione (contrabbasso, violoncello, arpa bardica, viola da gamba, bouzouki, hammer dulcimer, percussioni e tastiere).

Grazie alle loro atmosfere ricercate, avvolte oscure, altre volte sognanti, i brani degli Hexperos sono stati spesso adoperati come colonne sonore per corto e lungo metraggi.
Più in generale gli Hexperos possono essere ascritti ai filoni heavenly voices, Neofolk, Ethereal wave, Darkwave e soprattutto Neoclassical.
Ciao Alessandra. Benvenuta.

Gli Hexperos sono ad oggi una piccola realtà nel panorama musicale. Nonostante ciò siete riusciti a crearvi un seguito non indifferente. Lo dimostrano i vostri recenti live e gli applausi ricevuti a Lipsia in Germania. Partiamo così, raccontami della vostra recente esibizione allo Schauspielhause theatre.


E’ stata un’esperienza unica! Lo Schauspielhause o Central Theatre di Lipsia è davvero un teatro bellissimo, molto raffinato e con un’enorme spazio dietro le quinte ed un insieme quasi labirintico di camerini e punti ristoro, siamo rimasti davvero colpiti dall’eccellente organizzazione. A ragion veduta il Wave Gotik Treffen è arrivato quest’anno alla ventitreesima edizione. E’ stato bellissimo poter conoscere dal vivo molti dei nostri ascoltatori esteri, con alcuni dei quali eravamo già in contatto da diversi anni, visto che quest’evento riesce a raccogliere pubblico da ogni parte del mondo. Sul palco abbiamo respirato una bellissima atmosfera, per cui il dialogo e le improvvisazioni fra gli strumenti e con il pubblico è stato continuo. I numerosi spettatori sono stati davvero generosi di applausi, fino alla standing ovation finale durata tantissimo. Siamo stati ripagati pienamente dei grandi sforzi che un ensemble come il nostro deve affrontare, suonando musica ricercata, poco commerciale e provenendo da un piccolo paese italiano. Al termine dello spettacolo, abbiamo firmato tanti autografi e venduto moltissime copie del nostro nuovo album, c’è stata una grande dimostrazione di affetto nei nostri confronti, che non dimenticheremo e che tutt’ora ci stimola quotidianamente.


Della genesi del gruppo, della vostra passione per la musica, della vostra line-up ne avete già parlato in altre interviste e pertanto è inutile ripeterci qui. Volevamo ad ogni modo farti i nostri più sinceri complimenti per la tua splendida voce e chiederti quali sono le tue sensazioni durante il canto. Lo ritieni un’ atto trascendente?


Grazie per i complimenti, sono sempre molto graditi e di grande supporto. In fase di registrazione e durante le performance live, il canto può divenire un atto trascendente, spesso ho provato emozioni particolarmente intense in questi momenti, sensazioni irripetibili e profonde di connubio spirituale con gli spettatori e soprattutto con le anime dei poeti dei quali ho cantato i versi. Per questa ragione adoro il canto e la musica. Mi è capitato di cantare anche in concerti tenutisi all’aperto e lì le sensazioni sono state ancora più forti, perché la natura avvicina al mistico ed ha poteri sovrumani.
Prima di presentarci il vostro ultimo disco, facciamo un salto indietro. Nel 2007 esordivate con The Garden Of The Hesperides, un debutto decisamente sopra le righe di cui ricordiamo con molto piacere l’Ave Maria di Caccini. Come nacque quel disco?
Francesco ed io abbiamo iniziato a comporre musica insieme nel 2004. The Garden of the Hesperides è il nostro primo esperimento musicale, vi abbiamo confluito parte del mio retaggio compositivo con i Gothica e soprattutto la passione per la musica barocca che accomuna entrambi. Durante quegli anni, inoltre, stavo conseguendo il II livello in canto lirico e discipline musicali e lavoravo assiduamente con concerti di musica classica ed anche ciò ha influito, tant’è vero che abbiamo inserito un brano del mio repertorio maturato in quel periodo: la Nana dalle Siete Canciones Populares Españolas di Manuel De Falla, citazione che avrà un seguito con l’Asturiana nell’album successivo,oltre all’Ave Maria attribuita a Caccini, uno dei brani preferiti ad entrambi, che ci lega per varie ragioni. Francesco è stato ispirato soprattutto dalla musica antica e dalle colonne sonore, moderno sviluppo della musica classica. Come sempre, un contributo importante è stato dato dai musicisti che hanno partecipato, vorrei ricordare i violinisti Domenico Mancini ed Alessandro Pensa presenti in ogni nostro album e l’arpista Francesca romana Di Nicola, presente nei primi due album. The Garden of the Hesperides é un vero e proprio giardino che raccoglie i frutti di molteplici suggestioni e si possono percepire le disparate melodiose voci delle ninfe del tramonto.
Nel 2010 fu la volta di The Veil Of Queen Mab, un disco più maturo e curato nei dettagli rispetto all’ottimo esordio. Un lavoro shakespeariano, costruito attorno alla figura della regina Mab. Raccontaci di quel viaggio ancestrale e delle sensazioni che vi portarono a comporlo..
Come ogni nostro album, anche The Veil Of Queen Mab è frutto di una lunga preparazione, un lungo cammino, possiamo trovarci dei frammenti delle nostre vite: il quotidiano, con le sue paure, incertezze, gioie, visioni, rivelazioni artistiche e umane, si trasforma in atto creativo, in musica e note. Nell’album vi sono varie citazioni ad artisti che hanno parlato della regina Mab oppure, come nel caso di Ruben Darìo, sono giunti a ravvisarla come musa ispiratrice. Abbiamo scelto questo mito per varie ragioni, ma soprattutto per il simbolismo plurimo che assume il velo di questa regina. Nel racconto breve intitolato Azul scritto da Ruben Darìo, il velo consola gli artisti dalle numerose sofferenze e delusioni che la vita gli offre. L’artista vero, per Darìo, non è di sicuro l’ideale moderno di persona di successo e può continuare a sopportare i fallimenti solo grazie alle illusioni, al velo dei sogni che ‘hacen ver la vida de color de rosa’ . Ma il velo può essere anche quello di Maya, di cui si parla nella filosofia indiana e nel pensiero di Schopenhauer, il velo che ci separa dalla realtà. Anche la Luna occupa un posto importante nell’album, anche essa è grande fonte di ispirazione per gli artisti di tutti i tempi, abbiamo colto in particolare l’aspetto magico del nostro satellite, grazie agli tenebrosi e suggestivi versi di Apuleio.

E ora veniamo all’ultimissimo Lost in the Great Sea. Partiamo da Autumnus che se non andiamo errato è il vostro primo video ufficiale. Possiamo ritenerlo un tributo alle vostre radici, alle terre d’Abruzzo?

Assolutamente sì, ed infatti, nella dedica riportata in calce al video, rendiamo grazie ai quattro comuni abruzzesi e alla regione Abruzzo che hanno patrocinato il video, permettendoci di rendere omaggio alla nostra meravigliosa terra, dal sapore magico e misterioso, alle nostre radici ancestrali che ad essa ci legano. Abbiamo girato il video in luoghi magnifici, che in Autunno acquistano un aspetto ancora più seducente: il bosco di S. Antonio, il borgo medievale Santo Stefano di Sessanio, il castello e la rocca di Rocca Calascio, la valle del fiume Orfento. A questi luoghi sono fortemente legata perché vi ho trascorso momenti importanti della mia vita di bambina, adolescente ed adulta. Questi luoghi, inoltre, raccontano i topos presenti nella nostra musica: la natura, l’arte antica, medievale e richiamano paesaggi nordici, legandoci con un immaginario fil rouge all’Irlanda e al mondo celtico. Nel video indosso, inoltre, un gioiello tipico della nostra terra, dalle origini antichissime, si tratta della presentosa, in esso viene rappresentata una stella. La stella che, guardata dagli innamorati, li univa idealmente, anche se separati fisicamente; e il nome del nostro ensemble nasce proprio dal nome della stella Espero.

Nel disco troviamo anche un testo di William Blake sull’autunno…

Uno dei tanti omaggi, tributati in quest’album, è all’autunno, ed una delle poesie più belle, ad esso dedicata, è proprio questa di W. Blake tratta dai famosi Poetical Sketches (1783), la sua prima raccolta di poesia e prosa. L’ Autunno di William Blake è un sentiero dorato che collega l'estate radiosa all'inverno amaro. Blake viene considerato dai Pre-Raffaelliti come un precursore. Lost in the Great Sea è una album Pre Raffaellita, per cui ho colto questo duplice collegamento, per poter finalmente cantare uno dei poeti più visionari e più amati non solo da me, ma anche da molti dei nostri seguaci.

Abbiamo letto che l’ album è anche il frutto di un particolare periodo della vostra vita in cui avete sperimentato, per la prima volta, il dono di essere genitori. Ti faccio una domanda che sfora dall’ambito artistico. Tu hai usato la parola “dono” per descrivere la nascita di un figlio. Cosa ne pensi della pretesa moderna di considerare un figlio un diritto e non un dono? Mi riferisco ad esempio alle pratiche di uteri in affitto sempre più in voga in Occidente..

Ho iniziato ad essere mamma già durante la gestazione, durante i primi nove mese inizia il legame madre figlio. Invece di affittare un utero, a questo punto sarebbe meglio adottare uno dei tanti bambini privi di genitori e bisognosi di affetto. Credo fermamente nella libertà di scelta, ma in questa società dove i bambini senza famiglia e opportunità sono numerosissimi, mi sembra davvero un insulto ricorrere a pratiche del genere per avere un figlio e soprattutto sembra il capriccio privo di gusto di gente ricca e vanesia. Però bisognerebbe trovarsi ‘dall’altro lato della barricata’ per comprendere fino in fondo le dinamiche che possono spingere una coppia a tale scelta.

“A Wish”, “Song” e “Proserpina” sono poesie di Christina Georgina Rossetti, la sorella di Dante Gabriel. Come mai questa scelta?

In questo album abbiamo voluto rendere omaggio all’ arte Pre-Raffaellita. Questa non è la prima volta che trasponiamo in musica una poesia di Christina Georgina Rossetti e Dante Gabriel Rossetti perché, oltre ad amare le loro opere d'arte, ci sentiamo parte di questo movimento , come attestato in uno dei nostri concerti (19 dicembre 2013) organizzato dal Centro Europeo di Studi Rossettiani e intitolato ‘Pre Raphaelite Inspiration’. Anche l’estetica dei nostri CD è un chiaro richiamo all’arte Pre-Raffaellita, la nostra fonte di ispirazione sono la luce, i colori e i temi di questo movimento artistico tradotti con un punto di vista personale e moderno, grazie anche alla collaborazione artistica con il fotografo italiano Riccardo Bruni (il quale ha realizzato la copertina e le foto di questo CD e collaborato al video) e la nota fotografa polacca residente a Londra Malgorzata Maj (autrice della copertina e di alcune foto del nostro precedente CD The Veil of Queen Mab). Christina Georgina Rossetti, sorella di Dante Gabriel, spesso sedeva come modella per lui ed era considerata parte della Confraternita dei Preraffaelliti, anche se non apertamente . Ci sentiamo vicini alla sua poesia, perché abbiamo in comune i richiami naturalistici, l'elemento fantastico e celtico, l'alternanza di luci ed ombre. Inoltre, Francesco ed io siamo nati nella stessa città che diede i natali a Gabriele Rossetti ( padre di Christina e Dante Gabriel ), quindi avvertiamo questo movimento come una parte di noi, un’ eredità da portare avanti.

Hexperos, L’Effet C’Est Moi, Argine, Corde Oblique, Ashram, Autunna Et Sa Rosae, solo per citare alcuni nomi, sono progetti italiani di grande qualità. Come mai secondo te nel nostro paese si rimane pressoché nell’oblio, mentre in altri paesi, come ad esempio la Germania, progetti di gran lunga più modesti si riescono valorizzare con facilità?

In paesi come la Germania, si da più credito alle nuove forme d’arte, mentre qui in Italia le uniche forme d’arte che sopravvivono sono quelle istituzionalizzate ed anche quest’ultime lottano continuamente per la sopravvivenza perché la figura dell’artista in Italia non è riconosciuta, è screditata. All’estero capita spesso che ci siano anche privati cittadini, magari economicamente predisposti, che organizzano eventi culturali. In Italia una cosa del genere è più rara, ma può capitare, sto pensando al Villa Festival e alle Slowfeste organizzate da Slowcult, oppure al nostro amico Bellachioma. Purtroppo in Italia mancano festival importanti e locali dove potersi esibire adeguatamente, non vi è nessun punto di incontro con i propri ascoltatori, per poter mostrare e vendere i propri lavori. L’arte ha bisogno di essere sostenuta e nutrita anche economicamente, servono gli spazi adatti per poter lavorare. Le case discografiche sono pigre, vogliono guadagnare su prodotti scontati e sicuri, senza offrire il nuovo. Eppure ogni volta che suoniamo in ambienti multiformi, mi viene in mente La Notte dei Musei a Roma nell’ottobre del 2012, ci rendiamo conto di come la nostra musica venga apprezzata dal pubblico più disparato. Questo vale sia per noi che per la musica dei nostri stimati colleghi.

Quanto possono avervi influenzato nella composizione autori come Calderón De La Barca e Miguel de Unamuno?

Calderón De La Barca e Miguel de Unamuno sono poeti che ho studiato e amato molto, al punto da dedicargli due canzoni con il mio precedente progetto Gothica. Il pensiero di De La Barca, in particolare, è sempre presente nella mia vita quotidiana, un monito alla luce del quale cerco di ponderare le mie scelte e priorità:

¿Qué es la vida? Una ilusión,
una sombra, una ficción,
y el mayor bien es pequeño;
que toda la vida es sueño,

y los sueños, sueños son.

Ci sono in circolazione progetti che hanno delle affinità con la vostra proposta musicale. Penso in primis ai Dead Can Dance, ma anche a Rajna, ai Daemonia Nymphe, a Qntal, ai Moon and the Night Spirit o ai Moon far Away. Conosci i progetti citati? Cosa ne pensi? Al di là dei grandi compositori classici ti capita di ascoltare progetti contemporanei?

Conosco bene tutti questi progetti e con la maggior parte di questi gruppi abbiamo avuto anche la fortuna di condividere il palco oppure l’etichetta o collaborare musicalmente, sono presente ad esempio nel brano Csillag-Ő dei the Moon and the Night Spirit come guest musician; ed ho collaborato anche con l’amico Riccardo in due album dei Corde Oblique: The Stones of Naples e Respiri; sempre insieme a Corde Oblique e Daemonia Nymphe ho condiviso il palco per un bellissimo concerto presso il teatro di Caivano (Na) dove purtroppo non ci sono stati moltissimi spettatori.

Naturalmente provo grande stima per tutti i colleghi, alcuni dei loro brani mi piacciono molto, penso ad esempio all’ album Krataia Asterope dei Daemonia Nymphe o ad Offering dei Rajna. Riguardo i Qntal, suonando noi stessi musica medievale con il progetto Stella Nova, non possiamo non amare le loro melodie e la loro formazione, però non condividiamo pienamente la commistione con ritmi e sonorità moderne, che per i nostri gusti è davvero eccessiva, ma comprendiamo il loro intento. Dulcis in fundo i Dead Can Dance, è scontato ma vero dire che siano una pietra miliare ed un esempio per tutti noi, sono stati tra i primi a prendere varie sonorità, medievali, celtiche, etniche, dark wave e a combinarle fra di loro, creando suggestioni uniche. Francesco ed io ascoltiamo un po’ di tutto, siamo piuttosto onnivori, ci sono anche gruppi metal o blues che ci piacciono, ma quando si tratta di ispirazione e punti di riferimento, questi sono certamente radicati nel ramo più classico della musica, ma non stimiamo solo compositori del passato, anzi amiamo moltissimo e ci ispirano tantissimo anche grandi compositori di colonne sonore del presente come Hans Zimmer, Philip Glass, James Newton Howard, Arvo Part e musicisti come Jordi Savall (adoravo la voce di sua moglie, Montserrat Figueras) e dalla ricerca musicale di Savall anche i Dead can Dance hanno molto beneficiato, basti pensare a El Cant de la Sibilla (The song of the Sibyl).

Progetti futuri?

Per la prima volta, quest’anno, il nostro singolo Autumnus è stato inserito in una compilation di una major italiana, si tratta di Progressivamente Story pubblicata dalla la Sony Italia, contemporaneamente ci è arrivata una buona proposta sempre da un’etichetta italiana. Chissà quindi che tra un po’ di d’anni (la nostra media di solito è un album ogni 3 anni) non riusciamo a pubblicare un nuovo album per una casa discografica autoctona. Di sicuro ci stiamo preparando per alcuni concerti in programma fra estate e primavera, uno si dovrebbe tenere a Bristol in Inghilterra ed, inoltre, a settembre eseguiremo ben quattro performance per ELFIA (Elf Fantasy Fair) il festival di Arcen in Olanda.

Ringraziamo tutta la redazione di Weltanschauung Italia per quest’intervista e tutti coloro che, con il loro lavoro, supportano la musica, specialmente quella di nicchia. Saluto calorosamente tutti i lettori e li invito a seguirci sul nostro sito o sulla nostra pagina facebook.