L'isteria di Zulawski

"Oscenità", "Demenza" e “Follia" sono ingredienti che, se piazzati come si deve nel cinema, non possono che portare questa pseudo arte a raggiungere certe vette proprie delle vere arti (pittura, scultura, musica ecc).

Nessuno ha mai raggiunto l'isteria di Zulawski; nessuno ha mai pensato di eguagliarne o imitarne l'epilessia e l'irresponsabilità sconnessa. In questo senso Zulawski, con questa sua isteria introiettata nel corpo dei suoi attori, supera la rappresentazione, sabotandone così violentemente l'immagine data e la sua possibilità di ricezione. Ecco perché è stato uno degli unici ad andare oltre il cinema, come pochi hanno voluto fare, pensiamo a gente come Bene, Jancs, Tarr o Welles.

Prendiamo come esempio Diabel (Diavolo), il suo secondo lungometraggio, che è già un capolavoro. Un film che fu ultra censurato in patria con il regista  costretto all'esilio dalla sua Polonia dopo l'uscita del film. 

Una pellicola assolutamente isterica, ma non perché si urli in continuazione o perché gli interpreti si sbraccino, si dimenino costantemente e la mdp corra senza fermarsi un solo momento. No, l'isteria di Zulawski è una pratica di disubbidienza ontologica, segno di vita in un mare di morte, si tratta di un'isteria lucidissima e non paradossale: Zulawski guarda e sente con attenzione ferina, e dis-mette in scena con una capacità sensoriale inusitata, adoperando i movimenti epilettici e le urla dei suoi attori come un cannone, senza mirino, senza piani d'attacco mirato. Trattasi di un'opera "spiritata", posseduta, terroristica, voluttuosa, instancabile, fuori regola e fuori sincrono.

Il tema è quello di una Polonia (terra di origine del regista) che in tutta la sua storia è sempre stata soggiogata, irrisa e malmenata dallo straniero, una terra dove il caos ha regnato sovrano.
Il contesto storico è la Polonia invasa dall'esercito prussiano poi sottoposta alla spartizione (i territori finiranno nelle mani di Austria, Russia e Prussia).
Il protagonista Jakub è un contestatore sovversivo che si oppone alla monarchia polacca prima dell’invasione da parte dei prussiani( allora si chiamava confederazione polacco-lituana).
Jakub essendo un sovversivo, finisce in galera ma appena la monarchia crolla sotto i colpi dell’invasione dei prussiani ecco che un misterioso personaggio dostojevskiano, una palese allegoria del “diavolo”, nelle sequenze iniziali lo libera. Questo oscuro soggetto non è altro che una spia del nuovo governo che sta insediandosi nel territorio conquistato, un agente segreto che libera il giovane dissidente, nel tentativo di corromperlo viste le sue idee progressiste in nome del regime ex novo. La spia lo condurrà per tutto il film, come Virgilio guidava Dante attraverso i gironi bestiali dell’inferno, in un mondo in cui ormai non esistono più nè morali nè etica, dove la madre di Jakub è diventata una meretrice e la sorella fedifraga, il Diavolo dopo aver mostrato a Jakub lo stato di corruzione morale in cui versa ormai il suo paese, e soprattutto il suo mondo affettivo, gli intima di vendicarsi da sè e fare un po’ di pulizia uccidendo chiunque gli capiti a tiro. Jakub, giovane progressista pieno di speranza nel cambiamento, impazzirà nel constatare che il problema non era il pregresso regime, ma che il problema è il potere in assoluto, sia esso progressista o dittatoriale.
Ed è qui che troviamo la metafora storica tra il periodo analizzato nel film e quello a cui intendeva riferirsi presumibilmente Zulawski, cioè il periodo dei regimi del novecento, fino alla dittatura monetaria che persiste oggi. Quando la spia-diavolo si trasforma in lupo, egli non è altro che l'essenza malefica che lascia il corpo di Jakub a missione compiuta.

Al pubblico Zulawski non piace, deve non piacere perché i suoi film non possono piacere; un cinema respingente, che fa la bava, come appunto un epilettico.



Il dualismo in Antichrist di Lars Von Trier

Cupissima visione di Von Trier.

La situazione della razza umana non è che sia così incoraggiante, i cicli vichiani lasciano i tempi che perdono… “il caos regna", verità facilmente confutabile se pensiamo che perfino Spinoza disse che è impossibile che l'uomo non sia parte della natura e possa non subire altri mutamenti diversi da quelli che si possono conoscere mediante la sua sola natura e dei quali egli è causa adeguata.

La potenza, mediante la quale le cose singole, e quindi l'uomo, conservano il loro essere, è la potenza stessa di Dio / Satana e quindi della natura, non in quanto è infinita, ma in quanto è il tutto, quindi la potenza dell'uomo in quanto si esplica mediante la sua essenza attuale, è parte dell'infinita potenza, cioè dell'essenza di Dio, ossia della natura.

La protagonista dice:

"La natura è il tempio di satana"

Questo è il fulcro dell'opera, la natura vista come esito puramente malvagio e l'atto sessuale, che è uno dei momenti clou nel quale questa natura animale ed umana si esplica, è impura senza se e senza ma, il piacere sessuale stesso si origina da fantasie che sono violente, raccapriccianti, grottesche, oblique, direi folli per non dire fantasiose, la protagonista si taglia il clitoride per espiare (lascia di fatto cadere il figlio proprio al culmine dell'orgasmo).

Come diceva anche il primo Freud, ci sono forze pulsionali che sono al servizio della morte, non solo della vita. Queste pulsioni di morte, la cui meta è la soppressione di ogni tensione energetica e il ripristino di uno stato inorganico, il drammatico dualismo tra vita e morte, hanno un carattere regressivo, ovvero la tendenza a ripristinare uno stato anteriore.

La scoperta di questo carattere regressivo della pulsione, insieme all'individuazione delle pulsioni di morte spinse Freud a formulare una paradossale concezione monistica secondo la quale tutte le pulsioni che operano nella vita umana sono pulsioni di morte.
Queste pulsioni sono perciò destinate a dare la falsa impressione di essere forze che tendono al cambiamento ed al progresso, mentre, in realtà, esse cercano semplicemente di raggiungere un’ antica meta seguendo vie ora vecchie, ora nuove, ogni cosa che vive muore per cause interne, tornando allo stato inorganico. Allora bisogna anche avere il coraggio di dire come fecero sia Freud che Lacan che " la meta di ogni vita è la morte e nient'altro".

In questo quadro alle pulsioni di auto conservazione viene assegnato il compito di garantire all'organismo il suo cammino verso la morte, l'organismo desidera inconsciamente solo di morire a modo suo.

Oltre il dualismo vita / morte, Von Trier analizza il dualismo maschile/femminile; solamente facendo fuori la parte femminile il protagonista nelle battute finali torna in pace col mondo, in quanto ha superato il dualismo, l'apollineo si è disfatto del dionisiaco, ha imparato a provocare dolore, il dualismo si è risolto. Dafoe ora uomo libero le dà fuoco come si faceva con le fattucchiere.

Così quando l'esercito femminista di donne senza volto, streghe giustiziate al rogo colpevoli di tentare di sovvertire "l'ordine divino delle cose" (oggi più che mai in epoca di deregolamentazioni e di neoliberismo giacobino femminista massonico), viene giù dalla collina, Dafoe ci passa attraverso con lo sguardo e quasi non fa più caso a loro, quasi come un castrato, quasi come se si sia davvero liberato.

"A questo buio dentro noi femmineo e la luce del giorno disastro"