Ipermedicalizzazione, voci profetiche del Novecento

 "La salute non è un bene che si possiede, ma un modo di essere nel mondo" (Gadamer)

Il noto filosofo del XX secolo Hans-Georg Gadamer, fece grandi riflessioni sul concetto di salute in un mondo dominato dalla medicina tecno-scientifica. Egli criticò l'approccio puramente tecnico della medicina moderna, che tende a ridurre l'essere umano a un insieme di meccanismi, a focalizzarsi sulla malattia piuttosto che sulla persona ignorando la dimensione esistenziale. Per Gadamer il medico deve saper "ascoltare" non solo i sintomi, ma la storia, il vissuto, l'esperienza del paziente. Ogni sintomo va "interpretato" nel contesto della vita del paziente e la guarigione passa attraverso la comprensione poiché il corpo "parla" un linguaggio che richiede ascolto e interpretazione.

Le riflessioni di Gadamer trovano eco nel pensiero di Ivan Illich, che negli stessi anni sviluppa una critica ancora più radicale al sistema medico industriale. Nel suo "Nemesi medica" (1976), Illich denuncia la medicina moderna che, a suo dire, aveva sottratto alle persone la capacità di prendersi cura di sé, trasformando la salute da competenza personale e comunitaria a monopolio professionale.

Nel Novecento anche Michel Foucault fa notare come la medicina moderna eserciti un controllo disciplinare sui corpi, mentre Thomas Szasz denuncia la "medicalizzazione" dei problemi esistenziali. Georges Canguilhem riflette sul concetto di "normalità" in medicina, sostenendo che ogni individuo ha la propria norma vitale e Viktor Frankl, psichiatra e filosofo, sottolinea come la ricerca di senso sia fondamentale per la guarigione.

Tutti questi autori vanno ripresi, leggerli in epoca di ipermedicalizzazione e tecnologia avanzata, ci ricorda che la vera medicina deve essere olistica poiché coinvolge corpo, mente e spirito. Deve essere relazionale e legata al senso e al significato della vita.  Le loro analisi ci ricordano che la salute rimane, fondamentalmente, una questione profondamente umana.