La quarta rivoluzione industriale

 La globalizzazione, processo necessario al pieno dispiegamento del capitale finanziario sovranazionale, per progredire ha bisogno di sostituire ogni produzione culturale e materiale tipica di un luogo e del popolo che lo abita con la medesima indistinta poltiglia.

Tutto ciò che esprime una identità e una storia rappresenta infatti una potenziale increspatura del piano liscio su cui devono scorrere liberamente merci e individui sempre più indistinguibili e intercambiabili sotto ogni punto di vista.

L’avanzamento del totalmente indifferenziato non risparmia nemmeno il cibo e le tradizioni alimentari perché, se la tesi feuerbachiana secondo la quale l’uomo è ciò che mangia ha almeno un fondo di verità, la via che porta all’omologazione totale, passa anche dalla tavola.

In questa levigatura dei tratti distintivi dei popoli e degli individui, la megamacchina burocratica chiamata Unione Europea è certamente all’avanguardia.

Non paga di aver privato le popolazioni che la compongono della loro sovranità territoriale e monetaria, ora, in nome di un approccio sempre più zootecnico al potere, propone il consumo alimentare di insetti, descritti come il cibo del futuro alternativo alla carne in quanto più compatibili con la radiosa transizione ecologica in arrivo.

D’altronde questi eremiti di massa, spaventati, asessuati, indifesi, distanziati, trattati farmacologicamente e mascherati, nell’attesa che la robotizzazione dei processi produttivi li renda in gran parte tanto antiquati quanto superflui, dovranno pur assumere delle proteine per continuare a produrre e consumare i beni che la quarta rivoluzione industriale metterà in mostra nelle vetrine virtuali dei negozi online.



Il caos postmoderno

In tempi di “crisi”, una fiumana di esseri umani si estende sempre di più, con l’inevitabile effetto di un acutizzarsi di disordini di ogni tipo.

Con l’incremento demografico si inasprisce il problema dell’occupazione e vengono intensificati i processi produttivi che a loro volta provocano un rafforzamento dell’economia sregolata così come concepita oggi.
Cresce l’asservimento del singolo, si riducono gli spazi liberi, ed i movimenti autonomi dell’individuo divengono geometrici nelle città moderne pullulanti di esseri narcotizzati, numerini di un immenso formicaio.

In un sistema come il nostro, l’eccesso delle nascite avviene paradossalmente nei paesi più poveri,  portando  la gente di alcune zone geografiche a mendicare uno spazio presso altri popoli, alimentando così il sistema emigratorio di manodopera lavorativa da sfruttare.
Essi sono destinati a snaturalizzarsi, a disperdersi fra altre genti nel segno del cosmopolitismo più fuorviante e sotto la bandiera del capitalismo demonico che mira a livellare le differenziazioni di popoli e culture creando omologazione.  
Persistendo su questa linea, si creano tensioni sociali tra proletari, vere e proprie guerre tra poveri spinte subdolamente da aizzatori di falsi slogan.

Nel frattempo,  il cittadino occidentale medio è inglobato in un sistema fuorviante che lo rende una buffa macchietta in giacca e cravatta.
Tartassato di tasse e incatenato tra una miriade di vincoli che si è creato nel tempo, si adatta usufruendo degli svaghi che il sistema gli fornisce.
E’ così mentre per l’occidentale appesantito e stanco, la procreazione diviene contenuta nei limiti del possibile, altri ceppi prendono il sopravvento riproducendosi a macchia d’olio.

Una situazione positiva per la mentalità dell’ imprenditore europeo, che può perlomeno puntare su una manodopera “conveniente”.
Inoltre in un regime democratico, dove è proprio il numero ad assicurare il potere, quanto descritto diviene un’ arma efficace per il potere. Difatti da un lato avremo i consunti figli dei consumatori occidentali, sotto propaganda mediatica "fashion" che li spinge all'individualismo, e dall’altro etnie differenti che mirano alla sopravvivenza quotidiana in un ambiente che,  per quanto possano adattarsi , non è la loro terra di origine.

Da considerare inoltre che nella bizzarra civiltà che si è configurata, i processi produttivi richiedono una sempre maggiore mole di esigenze.
Secondo la mentalità dei moderni esisterebbe difatti un progresso infinito, e l’uomo dovrebbe vivere a servizio dell’economia, preoccupandosi di creare continuamente nuovi bisogni.
Bisogni che per essere soddisfatti richiedono lavoro, attività per cui l’uomo deve perderci tre quarti della sua giornata, per poter poi nel poco tempo libero che gli rimane usufruire di diavolerie tecnologiche e perdersi attorno al superfluo.
Tutto questo caos viene chiamato prosperità, progresso, sviluppo, crescita.