La parodia postmoderna del viaggio

 Il viaggio come prova, come iniziazione, come conquista di autenticità nel sommo rischio dell'altrove, è sia un istituto tradizionale che un mito romantico, il quale sopravvive tutt'oggi nell'immaginario dell'uomo secolarizzato. Sue parodie post-moderne sono ad esempio il turismo organizzato, le vacanze studio/lavoro e quella curiosa rivisitazione di ciò che fu il pellegrinaggio dei clerici vagantes (nonchè autentica fucina di omologazione culturale giovanile) che è l'esperienza Erasmus.

Se il fondo e il senso del viaggio sono l'incontro/confronto con il diverso al fine di scoprire e definire la propria identità, nonchè provare la propria capacità di vincere il timore dell'ignoto e del rischio in vista della crescita e della conquista spirituali, allora ci chiediamo come questo plesso di esperienze possa essere vissuto ancora nell'attuale mondo globalizzato, dove ciò che si incontra in un altro continente è identico a ciò che ci attende dietro l'angolo.

Rischiare e incontrare l'altrove e il diverso, oggi, è soprattutto sfidare l'omologazione culturale, confrontarsi con i mostri e le anomalie del pensiero, osare interrogare coloro che più si sono spinti oltre, per accoglierli od abbatterli, e conquistare così la propria maturità ed autonomia intellettuali.

In un mondo che è tremendamente rimpicciolito, il pensiero ci invita ancora lontano, in sentieri che pochi hanno il coraggio di affrontare. 



L'élite degli "affermazionisti"

Ai sicuri, ai tronfi, agli sprezzanti. A quelli che mai hanno un sospetto, che mai discutono la volgata, che sempre scrollano il dubbio come forfora dalle proprie spalle.

All'élite degli "affermazionisti" insomma...

Davvero potete avere la certezza che:

1. Il governo desidera in primis la vostra salute, e la mette di fronte all'interesse economico, elettorale, politico?

2. Che la stampa abbia come scopo primario quello di informarvi in modo imparziale e obbiettivo, e non risponda a interessi di finanziatori e appoggi politici, quando non li persegua ella stessa direttamente?

3. Che il business farmaceutico venga dopo il proposito filantropico di salvare più vite possibili?

4. Che gli organismi sovranazionali preposti a salute, cultura e avanzamento sociale non abbiano regie individuali e obbiettivi specifici, ma siano mossi da un impersonale desiderio di migliorare il mondo?

5. Che gli stati nazionali decidano da sè le proprie politiche in maniera individuale, e non subiscano invece pressioni da parte dei sopracitati organismi, quando non li assecondino direttamente, essendo chi governa quelli diretta espressione di questi?

6. Che medici e scienziati siano sempre figure totalmente dedite a un ideale di pura conoscenza, e non possano invece essere anche individui con una propria visione politica, interessati e parziali, nonchè opportunisti, ambiziosi ed egocentrici?

7. Che chi si interroga su queste questioni ponendosi in maniera critica verso luoghi comuni e stereotipi lo faccia sempre in malafede, per ignoranza e stupidità, o per un irrisolto bisogno di distinguersi dalla massa?

Veramente non uno di questi dubbi vi è mai venuto? Vorremmo poter vivere nel vostro mondo.




Codardia postmoderna

Le masse rifiutano la propria responsabilità collettiva, e accettano lo scambio “gestiteci l’esistenza e dateci Netflix” per pura e semplice codardia.

Poi ciascuno trova le scusanti che gli sono più congeniali per giustificare questa codardia: gli individui meno raffinati si accontentano di un generico “son cose più grandi di me”, e dunque un professore insigne di economia certo potrà decidere meglio di me. Gli individui che posseggono strumenti più raffinati evocano a baluardo “la comunità scientifica”, che poi è ovviamente il coro del sistema, emarginando per definizione ogni voce dissidente e squalificandone le opinioni in quanto “fuori dal gregge”. Così chi propone di cambiare le regole del gioco viene considerato semplicemente come “uno che non sa giocare”.

Come è possibile? Semplice, è COMODO. Ci sono schiere di esperimenti psicosociali che lo mostrano: fai vedere un pannello azzurro a venti persone di cui diciannove affermino che è verde. Il ventesimo potrà avere qualche esitazione, poi dirà che è verde pure lui. Chi glielo fa fare di sembrare quello strano? Faglielo fare ogni giorno per tutta la vita, e a 45 anni sarà il primo a imbracciare un fucile contro chi si azzardi a dire che è azzurro: avrebbe troppo da perdere con se stesso a rimettersi in discussione a quel punto.

Pura codardia, d’altronde è più facile drogarsi di sport che capire il nostro desiderio di conflitto; è più facile stordirsi in discoteca e poi preoccuparsi delle rate della macchina che domandarsi perché abbiamo bisogno di ballare o di muoverci; è più facile considerare pazzo (alien-ato, alien-are) un serial killer che andare a vedere che cosa ha in comune con noi.

I pochi, ricchi e potenti cattivi che molti vogliono vedere dietro la miseria delle proprie esistenze non arrivano dalle stelle, e se anche arrivassero dalle stelle, siamo noi ad averli chiamati perché facessero esattamente questo: decidere delle nostre vite, della realtà e dell’identità che subiamo, semplicemente per evitare a noi di prenderne coscienza e possesso.

Ray Bradbury l’ha scritto in modo assolutamente chiaro: costoro non ci vengono imposti da nessuno, siamo noi che li vogliamo.

Viviamo un’epoca di codardia imperante.


Naqoyqatsi e la massificazione tecnologica

Godfrey Reggio è una delle figure di spicco del cinema d'avanguardia statunitense.

Convinto sostenitore dell'inadeguatezza del linguaggio come mezzo espressivo, dopo anni trascorsi in contemplazione e meditazione, cominciò a considerare la creazione di una forma cinematografica massimalista.

Risalgono agli anni '80 le sue prime sperimentazioni di cinema inenarrabile, basate su un massiccio connubio tra musica ed immagini.

Il concept di base, seguendo la lezione di Dziga Vertov, era quello di andare a selezionare alcune situazioni della vita reale e di riproporle poi su schermo, senza un filo logico, senza narrazione e creando una sorta di spettacolo visivo.

Divenne famoso per la trilogia “Qatsi”, che si aprì nel 1982 con il controverso “Koyaanisqatsi”(“vita in disequilibrio”), in cui la rappresentazione ipnotica di una società urbana nordamericana sopraffatta dalla tecnologia e totalmente slegata dall’ambiente naturale, si andava ad amalgamare eccellentemente con l'empirismo musicale di P.Glass.

Seguì “Powaqqatsi”( “vita in trasformazione), un lavoro molto più cadenzato, con un largo utilizzo dello slow motion, in cui Reggio scelse di andare in alcuni paesi in via di sviluppo quali Perù e Kenya, con il preciso intento di scorgere la collisione viscerale dei nuovi elementi tecnologici nelle relazioni tra le persone del posto.

Nel 2002 infine, presentato fuori concorso alla 59a Mostra del Cinema di Venezia , chiuse la trilogia con Naqoyqatsi ("una vita di reciproci omicidi"), prodotto dal noto Steven Soderbergh.

In quest' ultimo lavoro il regista americano decise di dedicarsi ad una silente osservazione del modus vivendi dei Paesi sviluppati.

Rispetto ai due precursori, la differenza principale di realizzazione fu nell' utilizzo della computer-grafica, scelta criticata da molti, in quanto "raffreddante e poco genuina".

Non si è compreso però, che volutamente si optò per l'utilizzo di immagini ad alta definizione tecnologica, plasmate attraverso la manipolazione digitale, proprio per mostrare il mondo in cui viviamo attraverso le lenti deformanti create dalla tecnologia stessa.

Effigie completamente rimodellate attraverso la fotografia termica e la solarizzazione, estese, compresse, velocizzate, stoppate, sgranate, insomma ritoccate in ogni maniera.

L'inizio è poderoso, un enorme edificio sorretto da ingenti colonne e sfavillanti finestre, con quadri che si trasformano in figure sempre iridescenti, si affaccia con supponenza su una grande città.

Ma la sua potente autorevolezza è illusoria, esso è in rovina. Al suo interno tutto è in frantumi, non vi è traccia di umanità.

Un vortice di figure, distinte e apparentemente slegate tra loro, si uniscono attraverso un montaggio circolare dove dettagli e colori ne generano altri espandendoli a loro volta, ed osserviamo così  anelli di fumo, piramidi che s'innalzano, primi piani di volti noti del millennio, loghi di multinazionali, simbologie religiose e politiche, notiziari , bombe, alimenti nocivi, sigarette, alcool, droga, McDonald’s, psicofarmaci, Tv, telefonini, formule scientifiche, atleti in tensione, maree, edifici neoclassici , grafismi elettronici e cronometri.

Uno show visivo di novanta minuti , dal sapore sperimentale simile ad un dipinto di Bacon in movimento composto da frequenti sovrapposizioni, ci mostra così il nuovo mondo della massificazione tecnologica che pare risucchiare e deformare tutto: gli uomini perdono la loro identità e vagano smarriti , tra conflitti e false ambizioni, governati e manipolati anche nei loro istinti e temperamenti.

Divenuti oramai impermeabili a qualsiasi influenza diversa da quella che va aldilà dei loro sensi , le loro facoltà di comprensione diventano conseguentemente più limitate, oltre che nettamente ristrette nel campo percettivo.

In essi vi è un materialismo divenuto quasi una struttura, e questa predisposizione pare apportare delle notevoli modifiche in tutta la costituzione psicofisiologica dell'essere umano.

Senza che la coscienza esterna se ne accorga, essi strozzano ogni possibilità, deviano ogni intenzione, paralizzano ogni slancio e si dannano l'anima vanamente.

La violenza civilizzata spadroneggia in lungo e in largo nella società post industriale, l' incessante perfezionamento dei mezzi di distruzione avanza e la felicità propagata della corrente scientista è illusoria.

La credenza di un progresso indefinito, che mira a moltiplicare bisogni artificiali più di quanti se ne possano soddisfare, pare esser divenuta una specie di dogma intangibile e indiscutibile, ed è così che mentre il logoro e obsoleto Dio viene detronizzato, appare un nuovo tempio di erudizione , ed è la scienza la nuova divinità del ventunesimo secolo.

E la sua verità diviene indubitabilmente "La Verità".

“Azzerare la differenza ontologica fra l'uomo e il suo creatore, scacciare quest'ultimo dal trono, farne sparire anche il ricordo, come quello di un oppressivo tiranno, e sostituire al tempo dei "miti" quello della "scienza", ove non c'è alcun bisogno di Dio, perché l'uomo sa già tutto quanto gli occorre per sentirsi il signore dell'universo. Sa perfino, come voleva Sigmund Freud, che l'idea di Dio è un'idea patologica, una forma di nevrosi ossessiva, della quale ci dobbiamo sbarazzare al più presto per recuperare, con la "salute", il nostro equilibrio psichico così a lungo minacciato. E’ ormai vicino il tempo in cui ogni uomo, grazie alle scoperte dei fisici, sarà in grado di leggere nella mente di Dio, ossia di farsi dio egli stesso? Sarà un superuomo formato tascabile, in sedicesimo; un superuomo poco nietzschiano e molto in sintonia con il consumismo usa-e-getta, con il pragmatismo utilitarista secondo il quale ogni problema esistenziale è una questione meramente tecnica e le domande metafisiche, semplicemente, non hanno un senso.”


Positivismo postmoderno

Oggi avere la mente riempita da nozioni scientifiche "positive", implica di conseguenza uno sguardo disanimato di tutto ciò che ci circonda.
Tanti scienziati del passato, come ad esempio Tesla, Schrodinger, Einstein, Heisenberg o i più recenti Bohm, Capra, Satinover si discostano, perlomeno in parte, da questa visione.

La scienza moderna non riesce a rappresentare nulla, essa ha una presa pratica sul mondo, sempre più esterna, ma il fondo ultimo rimane assolutamente sconosciuto all'uomo.
 
L'attuale quantistica poi, non ci rivela nulla sull'essenza dell'universo, essa è impersonale, oggettiva, rigorosa, fatta di ipotesi, di assoggettamento a fini pratici e di formule approssimative di fenomeni da ricondurre ad una certa unità.
Inoltre la forza motrice che la muove deriva chiaramente da esigenze pratiche, una specie di volontà di potenza nietzschiana rivolta alle cose.
Oggi il suo prestigio è dato dall' evidente validità oggettiva delle applicazioni tecniche.

"Si tratta di un sapere formale chiuso in se stesso, massimamente esatto nelle sue conseguenze pratiche, nel quale però non può parlarsi di una conoscenza del "reale", per la scienza moderna l'oggetto della ricerca non è più l'oggetto in sè, bensì la natura in funzione dei problemi che l'uomo si pone" (W.Heisenberg)

"La mente intuitiva è un dono sacro, e la mente razionale è un fedele servo. Noi abbiamo creato una società che onora il servo e ha dimenticato il dono."(A.Einstein)

"Il dono della forza della ragione ci viene dall’Essere Divino, e se concentriamo le nostre menti su questa verità, stabiliamo un’armonia con questa grande forza.”(N.Tesla)

Specialmente di questi tempi di ottusa presunzione da parte della scienza, dei comitati tecnici scientifici onnipotenti, si sente la grande mancanza di scienziati umili, dalla visione ampia e non limitata al loro campo di osservazione.