Il malato asintomatico

Benché la narrazione pandemica abbia come temi centrali il racconto e l'esibizione della malattia, del dolore e della morte, la sua logica non può prescindere dal contagio degli asintomatici. Anzi, la logica pandemica è, fondamentalmente, tutta in questa espressione. Il contagio degli asintomatici è l'orizzonte di ogni discorso pandemico, la cornice in cui s'inserisce ogni altro commento, il principio che fonda ogni comunicazione ulteriore. A seconda dell'utilità o della convenienza, può essere fatto risaltare, o messo nell'ombra, ma resta il filo rosso della pandemia, il suo basso continuo, la sua vera forza. Il contagio degli asintomatici 'è' la pandemia, perché ne è la struttura portante, senza il quale tutto crollerebbe.

La figura del 'malato asintomatico' ricalca gli stilemi dell'horror classico e porta in primo piano il tema del doppio, della mente scissa, della doppia personalità. 

Figura ambigua, mutevole, rassicurante e spietata, capace di sorriderti ma anche di ucciderti, buono e malvagio, l'uomo asintomatico è un vero e proprio dottor Jekyll e Mister Hyde, che nasconde entrambi gli aspetti nella quotidianità del suo vivere respirare e camminare. L'uomo che ti parla nella rassicurante ordinarietà delle piccole cose, l'uomo che incroci al supermercato e ti chiede di prendergli un prodotto sullo scaffale in alto, è lo stesso che, l'indomani, potrebbe provocare il tuo ricovero in un reparto di terapia intensiva. Elegante curato e 'dai tratti fini e regolari', semplice e banale nel suo presentarsi, piccolo insignificante e anonimo, nasconde al suo interno la mostruosa deformità del killer psicopatico che non è neppure consapevole dei suoi atti di morte. Apparentemente sano, ma portatore di una carica virale distruttiva, inquietante e perturbante, l'uomo asintomatico è figura perfetta per la scenografia pandemica.



Cure senza diagnosi

"A parlare sono capaci tutti, voi cosa state facendo? Che soluzione proponete? Se non avete una soluzione da proporre non dovreste parlare".

Questo genere di obiezioni partono da una serie di presupposti sbagliati, ci si conceda la metafora medica.

In sintesi:

1. CHE SPETTI A CHI FA LA DIAGNOSI TROVARE LA CURA: un ortopedico può senza difficoltà individuare un'aritmia, ma non è un cardiologo. Allo stesso modo uno psicologo non prescrive psicofarmaci. Noi non siamo politici o statisti, né tantomeno medici, ma come cittadini dotati di buon senso, nonché esseri razionali (vi risparmiamo le nostre competenze specifiche) siamo assolutamente titolati a rilevare contraddizioni, interessi di parte o patenti assurdità, e a chiederne conto. Noi come chiunque altro. Allo stesso modo, chiunque può risponderci e contraddirci, ma non può impedirci di fare domande.

2. CHE PER OGNI MALATTIA ESISTA UN RIMEDIO: ci sono malattie incurabili, come certe direzioni prese dalla società. Sarebbe irrealistico proporre soluzioni utopiche o lusingarci di un futuro beato che non intravediamo. Se non si può curare il morbo non è tuttavia inutile la diagnosi, perché ci parla della malattia, del suo decorso, di cosa ci attende. Ci permette di elaborare un'idea di salute. Forse l'oppressione non è eliminabile, ma raccontarla è un dovere, civile e morale.

3. CHE LA DIAGNOSI NON SIA GIÀ PARTE DELLA CURA: non esiste cura senza diagnosi, non esiste diagnosi che non sia già parte della cura. Può darsi che noi non siamo in grado di trovare una soluzione alla direzione che il mondo ha imboccato, ma di una cosa siamo certi: senza un cambiamento di prospettive radicale, senza un accurato lavoro di eliminazione delle scorie ideologiche di cui siamo intossicati, non c'è speranza di cambiamento. Il cambiamento bisogna imparare prima di tutto a pensarlo: chi cerca di scuotere coscienze e offre punti di vista alternativi predispone una via verso la salute. Dare una forma a se stessi non solo è propedeutico a ogni genere di azione, ma è indispensabile.

4. CHE QUALSIASI CURA, ANCHE IN PRESENZA DI UNA DIAGNOSI ERRATA, SIA PREFERIBILE COMUNQUE ALLA DIAGNOSI CORRETTA DI UNA MALATTIA INCURABILE, O DI CUI NON SI CONOSCE LA CURA: posizione tipica, questa, di chi ha smania di fare qualcosa a tutti i costi, anche quando non serve a nulla, o non si ha nessun riferimento per l'azione. Una azione sconclusionata non porta a nulla, anzi può essere dannosa. Un esempio? Manifestazioni bendate, o prese di posizione da new-ager totalmente fuori contesto: le prime confermano l'ordine contestandolo, le seconde offrono l'opportunità di etichettare tutto il dissenso come assurdo o grottesco. O si hanno riferimenti solidi, e si agisce di conseguenza valutando realisticamente mezzi e possibilità, oppure ci si ferma e si cerca di capire con serenità e distacco cosa succede prima di prendere qualsiasi iniziativa. L'attivismo per l'attivismo è ottimisticamente ininfluente, mentre con ogni probabilità fa il gioco di chi dal caos ha tutto da guadagnare, quindi è un danno.

Ultimo ma non ultimo:

5. CHE CHI CONTESTA LA DIAGNOSI DI UNA MALATTIA PERCHE' NON INCLUDE LA CURA, STIA FACENDO QUALCOSA DI PIÙ UTILE NEI CONFRONTI DEL PAZIENTE DI CHI TENTA DI ELABORARE UNA DIAGNOSI: serve spiegarlo? Il contributo di questi è inutile.




ll nuovo totalitarismo e la rivoluzione della coscienza


Per "coscienza" non si intende ciò che normalmente viene confuso o inteso per essa, ovvero la sensibilità o le varie norme etico-morali, che pure hanno la loro importanza.
Per "coscienza" intendiamo quell’insieme di livelli “sottili”, "invisibili", "interiori", che fungono essi stessi da direzione per l’attività umana nel mondo della materia, e che hanno leggi “oggettive”, basate sulla coniugazione dei saperi di tipo metafisico con le ultime scoperte della scienza (fisica quantistica, delle particelle e neuroscienze).
Livelli che vanno purificati dalle scorie della penetrante azione mondialista (manipolazione mediatica; stili di vita decadenti; abuso tecnologico; adorazione emulativa di idoli dello spettacolo; svilimento delle caratteristiche sessuali, etnico-nazionali, tradizionali; ecc.), e poi difesi e potenziati con l’attività spirituale.
Dunque: «L’unico principio che abbiamo è solo ed esclusivamente la “coscienza”; una norma interiore connessa a una dominante superiore. Invece, per l’azione nel mondo esterno, risulta una teorica possibilità di tutto, oggettivandosi, però, la legge karmica per cui “ogni azione paga il prezzo di sé stessa in maniera assolutamente deterministica”.»
«Le “nuove élite” saranno costituite da individui sottopostisi ad un fuoco interiore, "distruttore" e "rigeneratore", secondo un’autorealizzazione individuale, una via non ortodossa, “della mano sinistra”, della “trascendenza distruttiva”, personale e non irreggimentata, tipica delle fasi finali del Kali Yuga.»
Alla base di queste nuove élite e di questa rivoluzione della coscienza vi sarà un “nuovo tipo umano”: «Quest’individuo sarà un’“Anarca”, il quale, a detta di Ernst Jünger, “non si sottomette alle leggi della società ma è alla continua ricerca di una legge naturale o cosmica”». 

R.Siconolfi