La demonia del denaro

Non si possono dare voti alla storia del post marxismo, liquefatto in deserti ombrosi fasciati e moltiplicati per mille fino a spezzare l'autismo di wall street, facendolo uscire tumefatto agonico pezzo di marmo-porpora in un altrove artaudiano: oltre la Parola c'è il cinismo del Suono, percezione sonora (Ligeti) che appartiene alla memoria bergsoniana: meta-linguaggi e amoralità robotica che fendono i nostri sorrisi: ricordi purulenti-verminosi che non ci appartengono più: sfocate esplosioni di violenza inconscia che impediscono la consequenzialità dell'azione. Luigi Nono, Stanley Kubrick e l'egresso terminale ballardiano sparato dritto in un 3000 tecnocratico ultracapitalista che è già odierno.

Poiché il denaro è il centro del nostro sistema, economico e sociale, noi abbiamo dovuto adattare il nostro passo al suo. Basta entrare nell'ufficetto di qualsiasi piccolo broker, accerchiato da monitor, altoparlanti, telefoni, fax, lo sguardo fisso sullo schermo gigante e multicolore della Reuter che, attraverso un megacalcolatore, lo tiene collegato in modo permanente con 20.000 case finanziarie con tutte le grandi Borse del mondo, per capire a quali stress, a quali fibrillazioni, a quali sollecitazioni da Formula Uno sia sottoposto un uomo che lavora con il denaro in fibra ottica. Solo un po' meno evidenti ed esasperati sono gli stress, le fibrillazioni, le sollecitazioni che ritmano l'esistenza di tutti coloro che vivono all'interno dell'odierna economia monetaria. 

Ciò spiega anche l'apparente paradosso, che è da anni l'esperienza comune e quotidiana, per cui l'uomo moderno, che proprio allo scopo di risparmiare tempo dispone di mezzi velocissimi per muoversi e comunicare (automobili, aerei, smartphone, fax, computer), non ha mai tempo, è in perpetuo affanno, con gli occhi costantemente fissi all'orologio.
Sono i ritmi cui ci obbliga la logica del denaro che è lo spirito del denaro (guadagno sistemico) a prenderci il tempo.

Gianni Agnelli una volta disse «Le generazioni perdono presto la memoria finanziaria, ogni tanto hanno bisogno di una doccia fredda, per guarire dall'euforia» .

Ma il mito della moltiplicazione del denaro, della crescita ad infinitum, non muore mai e, dopo un po', si è pronti a ricominciare.
Chi ha instaurato nella nostra civiltà questi principi "liberal-internazionalisti" sono gli stessi che hanno instaurato l'idea di villaggio globale, idee che sono alla radice della nostra decadenza.



Equilibrio del corpo e dell'anima nel Medioevo - P.Drieu La Rochelle

Nei più antichi testi che abbiamo potuto leggere finora, vediamo che l’antichità greca - come le altre dieci civiltà antiche che conosciamo - ha lodato il corpo; ma senza insistervi, perché allora la forza e la bellezza erano qualcosa di naturale. C’è un sorvolare dell’uomo sul suo corpo che esprime possessione, rigoglio, gioia. Nelle Pitiche e nelle Olimpiche di Pindaro l’elogio del corpo non è mai il fine principale; non vengono celebrati tanto gli effetti quanto le cause vere, cioè gli dei e le famiglie. La vita è tutta impregnata di religione e la forza degli atleti è parallela alla profondità e alla forza creativa dei miti e dei riti. Possiamo cogliere le stesse cose in Omero, nelle prime parti della Bibbia, nei poemi indiani, persiani, babilonesi, egiziani.

Poi l’antichità comincia a fare quelle distinzioni che conosciamo e che le saranno fatali. Isola il corpo sotto una falsa luce estetica. Una luce splendida per un attimo; ma la prima conseguenza é che il corpo e l’anima si dividono. E’ facile cogliere questo movimento centrifugo in Platone. Egli predica l’equilibrio nelle  “Leggi”, definisce con precisione tutti i diritti e i doveri dei corpi in vista però di una mera utilità pratica; infine separa l’anima dal corpo che ne diventa la prigione.

L’anima, lasciata a se stessa, incomincia a perdere consistenza. Infine arrivano i filosofi che, molto prima del cristianesimo negligente delle origini, condannano o negano il corpo e in tal modo preparano l’ indebolimento, lo smarrimento e la destituzione dell’anima.

Nel ciclo storico in cui viviamo il Medio Evo concepisce il corpo come la prima antichità, quand’era giovane e primitiva. Su questo argomento come su altri, la maggior parte delle persone si soddisfano di vecchi pregiudizi. Credono che il Medio Evo abbia, più di ogni altra epoca, dimenticato e odiato il corpo. Ma è nostro dovere esaminare quale fu realmente la vita degli europei  in quei secoli. Il Medio Evo è stata una magnifica epoca colma di giovinezza. Questa giovinezza ha trionfato non solo nei costumi, ma nelle arti, nella poesia, nella filosofia, nella religione. Essendo un’epoca giovane, è un’epoca colma di forza fisica. Fino al secolo XVI il corpo si espande spontaneamente. E’ un’epoca di splendore fisico, splendore che non ha nulla da invidiare all’antichità primitiva, né nelle azioni né nella loro rappresentazione.

Tuttavia l’uomo del Medio Evo ha già perduto molta vivacità e molta asprezza. Non é più un primitivo. Con i progressi della scienza storica e preistorica l’epoca primitiva dell’umanità viene spostata sempre più indietro. Tutte le volte che abbiamo testimonianze dell’uomo in rappresentazioni figurate, anche risalenti 3000 anni prima di Cristo, lo troviamo già immerso in una civiltà, già indebolito e stanco, educato e urbanizzato. Da questo punto di vista Omero e Pindaro sembrano poeti raffinati dell’epoca alessandrina.

Quando comincia la storia dell’Europa moderna, nel momento in cui appaiono i lineamenti della vita feudale, formati dall’incontro del mondo romano con quello germanico, il primitivismo rozzo scompare da tutta una parte dell’Europa. Rimane ancora al Nord e all’Est, ai confini del regno dei Franchi, che mescola insieme la Gallia e la Germania. In Francia l’uomo del secolo XI è tanto lontano dal disordine selvaggio postcarolingio quanto noi dai furori della Fronda.  Quest’uomo vive in quella che chiamiamo una civiltà, in una società sufficientemente organizzata. Dalla parte del Mediterraneo trova dietro di lui migliaia e migliaia di anni di vita elaborata. L’eredità di una cultura così ampia gli è presente più di quanto non creda. Vive nella vicinanza abbagliante di Bisanzio e dell’impero arabo. Dal Iato settentrionale e meno lontano, ma già abbastanza lontano dalle sue origini. Adesso noi sappiamo che nel Nord dell’Europa, sia presso i Celti che gli Slavi, sia presso i Germani che gli Scandinavi, si erano avuti numerosi stadi di creazione originale e anche contatti con le altre aree di civiltà.

Tuttavia quest’uomo ha ancora un corpo, e un corpo magnifico. Vive nel colmo della primavera. E’ abbastanza civilizzato per raffinare la sua forza, non ancora abbastanza per cominciare a distruggerla. Il XII e il XIII secolo corrispondono al periodo arcaico della Grecia.

Quest’uomo è in genere un contadino o un guerriero. Non c’è una grande differenza fra il contadino e il cittadino. Il monaco è una specie di pioniere che vive in campagna. Il mercante è un viaggiatore armato. L’artigiano e il borghese, chiusi nelle loro cittadine fortificate, sono bene o male in campagna. Per andare dalla loro casupola, dalla loro stradina puzzolente alla campagna, dov’è solitamente lavorano, devono fare solo quattro passi. In questo periodo probabilmente c’é un distacco minore fra il barone e il plebeo, ritornato contadino, che nei secoli precedenti, quando la nobiltà di origine germanica, incrociata con elementi gallo-romani, era, a causa dell’allenamento fisico, molto più robusta del popolo che non si era ancora rimesso dal lungo internamento nelle citta romane.

Allora tutti gli uomini dovevano resistere al freddo e al caldo, alla fame e alla sete, agli assedi, agli incendi, alle inondazioni, alle epidemie, ai massacri, alla tortura. Le condizioni di vita erano difficili sia per i poveri che per i ricchi. Ognuno era sottoposto a continue prove fisiche. Non sempre, logicamente, le malattie e le guerre selezionavano i più robusti. Quando esaminiamo i monumenti che ci restano di quell’epoca, scopriamo una stupenda espressione dl forza e di allegria nei corpi. La si può cogliere nell’architettura, nella scultura, nelle miniature, nella poesia e nella filosofia religiosa.

Quei castelli e quelle cattedrali non possono essere state costruite da gente debole e triste. Nell’armonia delle cattedrali c’é nello stesso tempo una ragione naturale e un’audacia, che non può essere attribuita solo a una fede soprannaturale, ma a una fiducia nella vita, a una gioia di vivere, a un’affermazione, esuberante dell’attimo, dell ’hic et nunc.

E’ facile cogliere tutto ciò nelle figure dei contemporanei che le arti figurative ci hanno tramandato. Appena la scultura medioevale riesce a superare i primi tentativi ancora insicuri, influenzati dall’arte bizantina, crea un poema in onore del corpo umano che è pari ai capolavori dell’arte greca, egiziana o assira. Malgrado il nostro clima meno caldo e soleggiato, che corrode tutto, malgrado le successive distruzioni ugonotte o giacobine, possiamo ancora vedere qualche esempio di un’umanità nel pieno delle sue forze. Guardate le statue di Reims: valgono quanto le Korai di Atene. Guardate quei corpi slanciati, svelti ed elastici, quelle ossature forti ed eleganti, quel visi sottilmente espressivi; valgono quanto i visi greci dell’epoca arcaica, quelli che furono delineati prima della rigida formazione di canoni estetici troppo razionali e troppo esteriori. Cercate di avere un po’ di fantasia di fronte a queste forme, cercate di immaginarvi i colori. Pensate che i costumi e le decorazioni delle case e delle chiese che adesso ci appaiono ricoperte dalla grigia patina del tempo, erano allora ricche di colori sgargianti. Basterebbe aprire un messale dell’epoca per restare stupiti di fronte alla fantasia multicolore di questi secoli che furono creatori altrettanto, se non più di altre epoche feconde. Se andate in quella vecchia grotta annerita e polverosa che è oggi una cattedrale, pensate che era una fantasmagoria di colori come un tempio egiziano o greco. I vetri delle cattedrali, che non sono stati fracassati dagli iconoclasti dei secoli cosiddetti più civili, vi dicono che cosa è stato il Medio Evo; eppure non sono altro che l’ultimo riverbero di ciò che bruciava allora sulla pietra vivente, ora morta, e sulla carne in fiore che riempiva quelle arche. Guardate un vetro di una cattedrale, un messale, degli stemmi, e voi vedrete sorgere dinanzi ai vostri occhi un’epoca splendente, dove l’oro, l’argento, l’azzurro, i rossi e i verdi compongono una armonia stupenda. Tutto ciò fiammeggiava sui portali delle cattedrali e sulle pareti interne, nei saloni dei castelli, nelle case dei borghesi e dei fattori. Ancora oggi, malgrado la morte dei colori, ne possiamo cogliere i testi umiliati nei costumi dei contadini e dei soldati. Persino la sobrietà degli abiti religiosi ci offre macchie di colore più belle dei nostri vestiti moderni.

Tutto ciò non era forse un inno fisico, un inno alla gioia dei sensi? Non glorificava nello stesso tempo il corpo e l’anima?

Tutta quell’umanità, cantava, grondava di canti e di musiche. E il tempo era misurato da grandi feste collettive dove si mescolavano generosamente il tragico e il comico.

(…)

Questa gioia di avere un corpo, di avere un’anima nel corpo, di nutrire l’uno con l’altro vicendevolmente, questa gioia di esistere si manifestava apertamente e pienamente non contro il cristianesimo, ma attraverso e grazie al cristianesimo. Qualcuno ha scritto che la bellezza si era espressa nelle cattedrali malgrado la Chiesa! Che assurdità! Ma come è possibile dipingere una civiltà dove la forza dominante sarebbe in contraddizione completa con le altre forze? La verità è un’altra; esiste una contraddizione, ma si trova all' interno della stessa Chiesa che la sopporta tranquillamente. C'é una contraddizione in tutta l’epoca; ma un’epoca forte può sollevarla con le proprie braccia e spingerla in avanti. I primi giacobini risolsero nel loro slancio la contraddizione che c’era fra la felicità individuale e l’importanza della collettività, contraddizione che mette in crisi le democrazie contemporanee.

Nel Medio Evo il pensiero della Chiesa esalta la contraddizione fra la bellezza della vita e il suo orrore, esalta la creazione umana e la sua caducità, da cui può essere salvata solo con la grazia. Si erge fra il corpo e l’anima, il male e la grazia, Dio e il diavolo, la forza e la debolezza, come nel periodo aureo il pensiero greco si poneva fra Dioniso e Apollo e il pensiero ebraico fra il Dio della bontà e il Dio della collera.

Tutto ciò è rivelato dalle volte delle cattedrali dove si alternano la laidezza comica e la bellezza tragica.

Nessuno riuscirà a convincermi che i preti ed i monaci non hanno mai amato e capito il Cristo scolpito dagli artisti sui portali e sulle lunette delle cattedrali, quel Cristo che esprime il senso medioevale della giovinezza e della forza, lo splendore dell’incarnazione di Dio nel mondo, lo sviluppo dello spirituale nel corporeo. Il Cristo che trionfa, seduto come un re nel timpano delle cattedrali, non é il “miserabile storpio” che denuncia il pagano Celso nel II secolo, ma un bell’uomo, fiero e atletico, dall’atteggiamento magnanimo, con al fianco una donna, una madre e intorno un corteo di evangelisti scolpiti come sansoni e come ercoli.

Questo Cristo esprime pienamente il cristianesimo virile e guerriero delle crociate e anche la grande filosofia cristiana del tempo, che è un’affermazione dell’essere, un continuo e potente atto di fiducia nell’accordo fra Dio e il mondo, fra la natura e l’uomo, fra la ragione e la fede.

Tutto ciò, s’intende, si esprimeva in un modo complesso e sottile, in una gerarchia di idee movimentata, combattuta, tormentata, continuamente rimessa in discussione e poi riaffermata. Nemmeno i Greci dell’epoca aurea erano molto semplici nei loro pensieri. Ma gli uni e gli altri possedevano qualcosa di molto semplice: lo slancio Vitale [...].

Voi sghignazzate, dite che e molto comico vedermi risalire fino al diluvio cavalcando il mio grande palafreno. Vi sentite annoiati e disturbati da queste storie.

 

“Ma che cosa ci racconta? Siamo tanto lontani dal Medio Evo quanto dall’era delle caverne. E’ evidente che oggi I ’uomo non è più come un tempo”.

 

Ma chi vi ha dato il diritto, giocatori di carte e pescatori della domenica, bevitori d’aperitivi e voi, intellettuali pallidi, larve di biblioteca, chi vi ha dato il diritto di creare un’immagine dell’uomo a vostra somiglianza? L’uomo si trova sia nel passato che nel presente, è sempre lo stesso. Il futuro può essere più legato al passato che al presente.

E il mito del Progresso che è in discussione. Durante questo vostro progresso non ha perso l’uomo la metà di se stesso? Ciò che ha guadagnato non è state profumatamente pagato da ciò che ha perduto? D’altra parte ciò che ha guadagnato sino ad oggi era probabilmente dovuto al nutrimento di ciò che stava perdendo lentamente, che gli dava, consumandosi, ancora un po’ di calore. Sviluppando il suo spirito l’uomo ha sacrificato a poco a poco il suo  corpo; ma lo spirito si è nutrito finora del corpo, o di quel poco che ne restava. Quando il corpo è entrato in agonia, lo spirito ha cominciato a dare segni di pericolo. Questi segni hanno pesato sul destino delle nostre generazioni.

(…)

L’Europa è legata al Medio Evo come l’uomo maturo lo é alla giovinezza. Tutta la forza che le rimane deriva da esso. L’Europa deve riannodare i legami con le sue vere origini e con le cause del suo genio più autentico. Sono stati i secoli razionalisti, seguiti al Medio Evo, a dimenticare il corpo e a distruggerlo, arrecando un grave danno allo spirito.

lo mi riferisco al passato…Ma non e solo il passato, è la giovinezza.

E perché non dovrei, spinto dall’approfondimento della storia, riferirmi anche al più profondo passato, alla primissima giovinezza, a quella dell’uomo primitivo?

Ma chi, fra i nostri contemporanei, può capire queste cose? Sono all’altezza di comprenderlo coloro che studiano l’uomo primitivo con una mancanza di sensibilità incredibile? lo provo una grande emozione quando testimonio per quella parte dell’uomo attuale che è eguale a quella dell’uomo primitivo o per quella che é diventata debole perché non le è restata fedele. Difendere una parte dell’uomo, sacrificata o dimenticata, significa difendere l’uomo nella sua integrità.

Vedo intorno a me coloro che si occupano della più lontana giovinezza, storici delle religioni, sociologi, etnologi; dopo aver finito il loro lavoro, ci allontanano da quel clima come se niente fosse. Non amano l’oggetto del loro lavoro, non ne sono legati intimamente; non cercano in quel passato che la strada meccanica e necessaria del futuro. lo invece vi cerco e vi trovo ciò che può salvare il futuro.

Io non sono un uomo del passato, sono un uomo della vita.

Fonte: "Idee per una rivoluzione degli europei" (Ed.AR). Tratto da Notes pour comprendre le siécle, 1940.