Quando Martin Heidegger scriveva "La questione
della tecnica" nel 1954, non immaginava smartphone, intelligenza
artificiale o social media. Eppure, le sue riflessioni descrivono con
precisione questi tempi.
Heidegger introdusse il concetto di Gestell
(impianto, dispositivo) per descrivere l'essenza della tecnica moderna: non è
uno strumento neutro, ma un modo di rivelare il mondo che trasforma tutto in
"fondo disponibile" (Bestand).
Oggi, questa logica ci pervade. I social media
trasformano le relazioni in metriche (like, follower, condivisioni), le
piattaforme ottimizzano i desideri in algoritmi, e noi stessi diventiamo
"risorse umane" da massimizzare.
La realtà non esiste più come tale, ma solo come
informazione da estrarre e utilizzare.
Heidegger avvertì che l'uomo rischiava di diventare
il "funzionario" della tecnica anziché il suo padrone. Non è forse
quello che accade quando si controllano compulsivamente le notifiche o si
scorrono i reel? O quando i ritmi biologici si adattano agli schermi, quando le
decisioni vengono delegate agli algoritmi di raccomandazione?
La tecnica non ci sta servendo: siamo noi a servirla.
C’ è bisogno di prendere consapevolezza e riscoprire
momenti di "presenza" non mediata da dispositivi, coltivare il
pensiero critico oltre l'immediatezza digitale. Ma la domanda a questo punto è,
si è in grado di pensare la tecnologia senza essere pensati da essa?