Credere oggi di potersi opporre al sistema è il più
raffinato meccanismo attraverso cui il sistema stesso si riproduce.
Ogni forma di ribellione è prevista, calcolata, metabolizzata ancora prima che
prenda forma. Il sistema non è un nemico esterno che si può combattere. È un
organismo vivente che include ogni sua componente, perfino - e soprattutto -
coloro che si illudono di stargli contro. La rivolta non è una minaccia, ma un
ingranaggio necessario al suo funzionamento.
Quando un giovane urla contro il potere, quando un intellettuale critica le
strutture sociali, quando un movimento protesta nelle piazze, non stanno facendo
altro che svolgere una funzione precisa. Sono valvole di sfogo, meccanismi di
scarico che impediscono l'accumulo di tensione, che rendono il sistema più
flessibile e insieme più forte. Il sistema produce al suo interno gli anticorpi
contro sé stesso. Genera i propri critici, alimenta i propri oppositori, crea
gli spazi dove la protesta può manifestarsi senza mai minacciare realmente
l'equilibrio complessivo. È come un organismo che include e neutralizza
contemporaneamente ogni forma di conflitto.
Chi crede di essere fuori dal sistema, ne è dentro. Chi pensa di combatterlo,
ne è già parte integrante.
Ogni strategia di opposizione frontale è destinata al fallimento. Non perché il
sistema sia invincibile, ma perché la sua forza sta proprio nella capacità di
riassorbire ogni spinta critica, ogni tentativo di rottura.
Per combattere il sistema al punto in cui siamo bisogna comprenderne le
logiche. Non opporsi, ma disertare. Non gridare, ma sottrarsi. Non distruggere,
ma disegnare spazi di autonomia che sfuggano alla sua logica di cattura.
Di questi tempi la libertà è una strategia di sottrazione silenziosa.