Il piacere di Gabriele D'annunzio

Estremamente raffinato, solenne, ricercato, "Il piacere" di Gabriele D'Annunzio, non è un semplice romanzo, ma un manifesto, vivo e pulsante, un reale inno alla vita, intesa come "opera d'arte".

Primo della trilogia dei così detti "romanzi della rosa" insieme a "L'innocente" ed a "Trionfo della morte", l'opera narra le vicende di Andrea Sperelli, nobile romano passionale, emotivo, figlio perfetto di una società aristocratica oziosa, che si divide tra teatri e duelli, concerti ed agi, avventure amorose e tradimenti. Il protagonista, che rappresenta in un certo qual modo l'alter ego del "vate", è un "Giano bifronte" tormentato, che ricerca la bellezza e la perfezione perdendosi talvolta in vizi e bassezze, incarnando senza dubbio alcuno, la vividezza della sua epoca, le pulsioni, gli istinti, gli amori, l'essenza più pura di un "dandy" della Roma decadente e corrotta di fine 800. Caratterizzato da una prosa indiscutibilmente affascinante, ricca e sontuosa, l'autore ci regala un vero e proprio dipinto, donandoci pennellate sapienti e corpose che descrivono, con dovizia di particolari, la città eterna con le sue piazze, le sue fontane ed i suoi sfarzosi palazzi, l'alternarsi delle stagioni, nonché i protagonisti, che sembrano quasi emergere, prepotenti, dall'inchiostro per materializzarsi in carne ed ossa dinnanzi al lettore, che può quasi udirne la voce, vederne le fattezze, percepirne la presenza.

" Il piacere", dunque, è un libro complesso, denso, elaborato, dal flusso narrativo impetuoso, che fa dell'estetica il suo vessillo, del contrasto interiore la sua forza, dell'estasi artistica ed amorosa un drappo sul quale ricamare un inno alla vita. Uno scritto da riscoprire, che tocca sapientemente le corde dell'anima di chi si cimenta nella sua non semplice lettura. Un "testamento" d'inestimabile valore, una perla di raro splendore, capace di travalicare, in groppa al destriero alato dell'eleganza, le sabbie mobili che caratterizzano la volgarità del nostro tempo.

"Bisogna conservare ad ogni costo intiera la libertà, fin nell'ebrezza. La regola dell'uomo d'intelletto, eccola: ― Habere, non haberi."