"Italia: negli ultimi dieci anni triplicate le prescrizioni di psicofarmaci ai ragazzi"
Secondo qualcuno triplicare le prescrizioni di
psicofarmaci ai minori in un decennio sarebbe un progresso diagnostico. Invece
è esattamente il contrario, è il sintomo di una società gravemente malata,
scientista, che ha smesso di interrogarsi.
Il bambino irrequieto, quello malinconico, quello
che non si adatta, per costoro sono solo soggetti da sedare.
Questi ormai sono fuori controllo, somministrano
serotonina a chi vive in una società che ha desertificato le relazioni.
Prescrivono stimolanti a chi cresce in ambienti
diseducativi, iperstimolanti e frantumati. Tranquillizzano l'angoscia senza mai
nominare ciò che la genera: la solitudine strutturale, la competizione feroce
fin dall'infanzia, l'assenza di futuro pensabile. Il farmaco è oggi il
linguaggio con cui si fugge, si evita di ascoltare. D'altronde è più semplice
"normalizzare" un bambino che mettere in discussione la scuola, la
famiglia e l'organizzazione sociale. La pillola non disturba nessuno: né i
genitori esausti, né gli insegnanti oberati, né un sistema economico che ha
bisogno di individui funzionali, non di persone intere.
Ma sappiate che l'infanzia è resistenza ontologica.
Il disagio del bambino è spesso l'unica protesta sana in un contesto malato.
Sedarlo significa eliminare il testimone.
È più comodo credere a uno squilibrio di
neurotrasmettitori che ammettere il fallimento antropologico. La psichiatria è
diventata l'alibi perfetto: medicalizza il sintomo, assolve la causa. Il
risultato? Una generazione cresciuta nell'idea che il proprio disagio sia un
difetto di fabbrica, non una risposta intelligente a un mondo deviato.
