Fateci caso, più la gente proclama sui social la propria "felicità", più questa gli sfugge nella vita vera. Quando si sente il bisogno di trasformare ogni momento intimo in spettacolo pubblico, è un segnale d'allarme. Condividere e ostentare sono due cose molto diverse. Condividere nasce dalla pienezza, ostentare dal vuoto. Chi è veramente felice nella propria condizione non ha bisogno di una sorta di certificato pubblico, perché quella felicità si nutre nel quotidiano silenzioso, nei gesti non fotografati, nelle parole sussurrate che non diventano didascalie da buttare sui social. L'ostentazione tradisce sempre un'insicurezza di fondo. Sappiamo che molti si sentiranno toccati da queste considerazioni ma il cercare il "mi piace" degli altri è una ricerca di conferma di una gioia che non si riesce a sentire pienamente da soli. Attenzione, perché poi c'è il boomerang inevitabile. A volte è proprio da coloro che hanno costruito con più enfasi l'altare della propria "felicità perfetta" che arrivano i crolli più fragorosi. Quante volte abbiamo assistito ad esempio a coppie che inondavano i social di dichiarazioni d'amore, di foto, di celebrazioni pubbliche della loro "perfezione", improvvisamente sfaldarsi? L'indissolubilità ostentata crolla come un castello di carte. Non a caso. È quasi una legge psicologica. Più si vive per l'immagine che per la sostanza, più si costruisce una narrazione pubblica invece di coltivare una realtà privata, più si crea una scissione pericolosa. Chi ostenta continuamente la propria condizione spesso lo fa perché sta cercando di convincere se stesso prima ancora che gli altri.
Cari amici,
l'ostentazione consuma ciò che ostenta. Qui c'è da riscoprire il valore del
silenzio, della riservatezza, dell'intimità come spazio protetto dal rumore dei
social. Al riparo dagli sguardi, senza dover dimostrare niente a nessuno. Gli
antichi stoici lo sapevano bene: la gioia è un fatto interiore, che non
necessita di testimoni.
