Si parla spesso di aumento o diminuzione dell'età pensionabile ma questo argomento non viene mai esaminato come si dovrebbe.
La domanda cruciale è: perché lo Stato, in
una società che si proclama "libera", deve trattenere forzatamente una porzione
del nostro reddito per restituircela decenni dopo? Perché questa insistenza
paternalistica su un futuro che potremmo non vedere mai?
La domanda non è meramente economica, è esistenziale.
Il sistema pensionistico si fonda sul presupposto che vivremo abbastanza a lungo da godere di ciò che ci viene sottratto oggi. Ma la morte non rispetta i piani quinquennali dello Stato. Chi muore a cinquant'anni ha finanziato il riposo altrui, non il proprio. Il suo sacrificio obbligatorio diventa un tributo involontario a sconosciuti più fortunati nella lotteria della longevità.
Dietro la logica previdenziale vi é il paternalismo, i cittadini vengono considerati incapaci di pianificare il proprio futuro, devono essere protetti da se stessi attraverso la coercizione benevola. Lo Stato è il padre che mette da parte i soldi della paghetta, convinto che altrimenti li spenderemmo tutti in caramelle.
Una scelta che dovrebbe essere personale diventa un obbligo collettivo. Trasforma cittadini in dipendenti di un sistema che decide per loro quando, come e quanto del loro stesso denaro potranno utilizzare.
Lo Stato sequestra una porzione significativa del nostro lavoro presente per un futuro ipotetico. Ma il nostro tempo, il nostro lavoro, la nostra vita sono ora. Ogni euro che si guadagna rappresenta ore di esistenza convertite in valore. Perché qualcun altro dovrebbe decidere che una parte di queste ore appartiene non a me oggi, ma a un me stesso settantenne che potrebbe non esistere mai?
Nessuno di noi ha mai avallato questo patto generazionale. Siamo nati dentro un sistema che ci obbliga a finanziare i pensionati di oggi con la promessa che i lavoratori di domani faranno lo stesso per noi. Non c'è possibilità di rifiuto.
Immaginiamo un sistema diverso: lo Stato
restituisce ogni centesimo che attualmente trattiene per la pensione. Sta poi a
ciascuno decidere come investire quel denaro. Alcuni potrebbero risparmiare e
mettere da parte. Altri potrebbero investire in imprese, immobili, formazione.
Altri ancora potrebbero scegliere di vivere pienamente il presente, accettando
il rischio di una vecchiaia meno confortevole.
Non sarebbe questo più coerente con i principi di una società "libera"?
I difensori del sistema attuale invocano la solidarietà intergenerazionale, la protezione dei vulnerabili, il rischio che troppi arrivino alla vecchiaia senza risorse, gravando sulla collettività. Ma questa solidarietà imposta per legge è semplicemente redistribuzione coatta travestita da virtù civica.
La vera solidarietà è la scelta, non la
coercizione.
Chi dovrebbe avere il diritto di decidere
come viviamo la nostra vita? Noi stessi, o lo Stato?