"Lo Squalo" di Spielberg e la noia

Ieri sera al cinema proiettavano la versione restaurata de "Lo Squalo" di Spielberg.

Scena a cui abbiamo assistito: un gruppo di adolescenti entra in sala pensando di vedere un film nuovo, dopo neppure metà film, realizzato che si trattava di un film del 1975, si sono alzati e se ne sono andati tra improperi. Il motivo? Il film era "troppo lento". Questi ragazzi, cresciuti nell'era degli squali volanti e degli effetti speciali ipercinetici, non riuscivano a reggere i ritmi di un capolavoro con i suoi dialoghi densi, la tensione costruita gradualmente, l'uso magistrale del non-detto e del non-mostrato, appariva loro noioso, privo di quella stimolazione continua a cui sono abituati.

Questo episodio è l'ennesima conferma di come le nuove generazioni abbiano sviluppato una soglia di attenzione sempre più bassa per tutto ciò che richiede riflessione, pausa, contemplazione. Tutto deve essere veloce, spettacolare, adrenalinico con effetti speciali continui, esplosioni visive, azione costante e zero tempi morti. Deve essere istantaneo con gratificazione immediata e nessuna attesa, stile TikTok. D'altronde sono anche molti genitori ad alimentare questa cultura dell'istantaneo. Invece di educare i figli alla pazienza e alla contemplazione, scelgono la strada più semplice: tablet per calmarli, contenuti veloci per intrattenerli, gratificazioni immediate per evitare capricci. Quanti genitori si siedono con i figli a guardare un film "lento" spiegando loro il valore della costruzione narrativa invece di cambiare canale al primo segno di noia del bambino?

La società va veloce e spinge in questa direzione tiktokiana ma se già tra le mura domestiche si cresce in tal maniera…

Tutto inizia in casa, con scelte quotidiane apparentemente piccole ma dal grande impatto. Un genitore che non ha mai educato il figlio ad aspettare, ad annoiarsi, difficilmente crescerà un ragazzo capace di apprezzare la complessità artistica.

Tabaccherie postmoderne

Quando entriamo nelle tabaccherie rimaniamo sempre perplessi. Quelle che un tempo erano semplici punti vendita di giornali e sigarette si sono trasformate in qualcosa che assomiglia a dei micro-casinò di quartiere. Entrare oggi in una tabaccheria significa essere accolti da un tripudio di stimoli sensoriali calibrati: luci led che lampeggiano incessantemente, suoni elettronici che promettono fortune immediate, schermi che mostrano estrazioni in tempo reale. L'architettura stessa dello spazio è stata ripensata secondo una logica che Michel Foucault avrebbe riconosciuto come disciplinare: ogni elemento è posizionato strategicamente per catturare l'attenzione e indurre comportamenti specifici. Il gratta e vinci, esposto come caramelle colorate alla cassa, normalizza l'idea che la fortuna sia democraticamente accessibile, bastano pochi euro. Le slot machine, un tempo confinate nei casinò, hanno colonizzato questi spazi quotidiani trasformandoli in avamposti della ludopatia legalizzata. Ambienti dunque, progettati per alimentare meccanismi neurobiologici e psicologici noti. Spazi che intercettano e monetizzano fragilità economiche ed emotive, spesso nelle periferie e nei quartieri popolari dove la diseguaglianza sociale è più acuta.

La tabaccheria è oggi un crocevia dove si incontrano diverse forme di dipendenza - nicotina, gioco, consumo compulsivo - con il patrocinio dello Stato che attraverso i monopoli ricava ingenti profitti da queste attività che alimentano dipendenze. Essa è lo specchio di una società che ha trasformato ogni fragilità umana in una nicchia commerciale da sfruttare.