L'invidia è un sentimento corrosivo che si annida spesso, non tanto negli sconosciuti ma dietro il sorriso dell'amico, di un familiare. É la gioia altrui che diventa veleno in corpo, che trasforma il successo del fratello in una sconfitta personale.
Attenzione non è un fenomeno raro, è onnipresente. Sant'Agostino scriveva che l'invidia nasce da una perversione dell'amore stesso, dove si dovrebbe gioire per il bene dell'altro, si prova amarezza; ci si ritrova a mormorare nell'ombra. Non vi è una capacità di sentire i suoi traguardi come felicità condivisa, egli diventa un rivale segreto.
Aristotele notava come l'invidioso soffra non tanto per ciò che gli manca, quanto per ciò che l'altro possiede. È una forma peculiare di cecità spirituale che impedisce di vedere l'unicità della propria esistenza, perché troppo impegnati a misurare la distanza che la separa da quella degli altri.
In pochi sono immuni da questo veleno, chi più chi meno. Anche chi dice di non esserlo, spesso cova tali sentimenti all'interno di sé e neppure se ne rende conto.
Chi ha creato i social network lo sa bene, difatti tutto questo sbandieramento di vite "felici" (che in realtà non lo sono) non è altro che materiale per l'ingranaggio dell'invidia. Questa fragilità umana va osservata, accettata e combattuta. Riconoscere che anche nei rapporti più cari può annidarsi l'ombra dell'invidia è onestà e saggezza. Non esiste l'assenza di tentazioni, ma vittoria quotidiana su di esse.
Si guarisce da tale sentimento con la consapevolezza della propria unicità, riconoscendo la propria vita come dono irripetibile e non come una gara da vincere.
Affermare di non essere invidiosi non basta, bisogna osservarsi attentamente. Contro l'invidia che divide, solo una presa di coscienza dei meccanismi umani può prevalere.