Surrogati

La scuola, componente strutturale di una società, dovrebbe svolgere un ruolo fondamentale di inculturazione, acculturazione e, direbbe Talcott Parsons, di integrazione e mantenimento dei modelli latenti.  Eppure, questa labile istituzione, invece di ergersi a baluardo dei repentini e spesso irragionevoli mutamenti sociali spesso indotti da poteri sovrastrutturali che hanno il solo intento di modellare la società secondo i propri fini, si piega passivamente o peggio, di buon grado, alle imposizioni provenienti dall’alto. Al ritmo di incalzanti corsi di formazione finanziati dall’esiziale Pnrr, la scuola apre i boccaporti alla digitalizzazione e così si riempiono le stive di corsi destinati ai docenti per imparare a usare gli algoritmi di IA nella didattica: lezioni, verifiche e slide vengono realizzate usando ChatGPT di OpenAI, Gemini di Google o Llama di Meta.
Caricata di zavorra, la scuola si barcamena nelle torbide e insidiose acque delle aziende del digitale che si infiltrano nelle crepe del sistema scolastico. L’assoggettamento dei docenti è facile: per lo più si tratta di una mandria che a malapena sa usare gli indici per digitare goffamente sulla tastiera, guarda con occhi bovini lo schermo e propina agli adolescenti lezioncine piatte e banali intervallate da film e lavori di gruppo.
Negli anni la scuola ha accettato di tutto: dal progetto CLIL (lezioni su argomenti curricolari in lingua straniera: l’abominio di studiare Platone in inglese), all’educazione alla legalità (carabinieri in divisa che spiegano, portando ad esempio i propri figli, quanto sia illecito drogarsi o bullizzare i compagni di classe), o ancora le lezioncine sulla pericolosità delle fake news (meglio affidarsi ai ‘professionisti dell’informazione’ come Open).
Come una nave stracarica di cianfrusaglie, la scuola affonda trascinando con sé quei pochi docenti e alunni che vorrebbero una scuola diversa, tradizionale e autentica, capace di contrapporsi orgogliosamente ad un mondo esterno marcescente, che si conservi integra, rimanendo se stessa, un fortino dalle mura spesse e impenetrabili, dove la cultura, i libri, le lezioni frontali, socratiche e peripatetiche risuonino fiere nelle sue stanze.
Ma forse il suo destino, frutto di un accumulo di docenti che non supererebbe nemmeno il test di Turing, è proprio quello di trasformarsi in una macchina al servizio di surrogati dell’insegnante: chat bot che assistano emotivamente gli alunni, che si rivolgano a loro con una didattica personalizzata, che li supportino nel loro percorso di obbedienti subalterni. 



AM