L'hipster contemporaneo è quel soggetto urbano,
generalmente di classe media, che costruisce la propria identità attraverso il
consumo di prodotti e culture "alternative". Il suo habitus si basa
sulla ricerca ossessiva dell'autenticità e dell'unicità: ascolta band "che
non conosce nessuno", pratica hobby di nicchia, ostenta competenze
culturali raffinate. Mentre si presenta come critico del consumismo di massa e del
mainstream, l'hipster ha in realtà dato vita a un mercato di nicchia
estremamente redditizio. Dietro le apparenze difatti si nasconde la più
raffinata delle operazioni di marketing: la commercializzazione della
ribellione. Mentre predicano il rifiuto del mainstream, gli hipster hanno
semplicemente creato un nuovo mercato di nicchia, altrettanto vorace e
manipolatorio. Quel caffè "artigianale" da 5 euro? Quella t-shirt
vintage da 80 euro? Quegli occhiali "unici" prodotti in serie da
brand che si spacciano per indipendenti? Non è altro che capitalismo mascherato
da controcultura. L'industria ha capito perfettamente il gioco: basta
appiccicare l'etichetta "artigianale", "indie" o
"vintage" su qualsiasi prodotto per moltiplicarne il prezzo. E gli
hipster, nella loro ricerca disperata di distinguersi, cadono nella trappola
ogni volta. Il risultato? Persone che credono di essere ribelli mentre
alimentano un sistema economico peggiore di quello che pretendono di
combattere. Almeno McDonald's non fa finta di essere filosofia. L'hipsterismo
non è ribellione, è privilegio economico travestito da sensibilità culturale. È
la classe media che si inventa un'identità di nicchia per sentirsi speciale,
mentre perpetua le stesse dinamiche di consumo che finge di rifiutare.