Obsolescenza postmoderna

All’obsolescenza delle merci di oggi – così vantaggiosa per l’economia, incrementando il consumo e quindi la produzione – fa da riscontro l’obsolescenza dei valori spirituali del mondo attuale. In altri termini, si prediligono oggi le virtù “obsolescenti”, ovvero quelle qualità che servono per la propria vita, per rendere gradevole e “migliore” (in senso egoistico) la propria vita quali l’intelligenza, la capacità di piacere agli altri, la furbizia, l’ambizione, l’edonismo. Qualità che si esauriscono nell’arco di una vita, che non lasciano niente agli altri, né alla propria anima né alla comunità. Qualità obsolescenti, dunque.

Altre qualità, quelle che sono utili alla propria anima o alla propria comunità (qualità che portano ad esempio a fungere da modello, o che permettano di costruire qualcosa di duraturo – anche in senso materiale - per la comunità), ovvero qualità se non “eterne” almeno definibili “a lunga gittata” non vengono considerate, non vengono valorizzate, né applaudite.

Obsolescenza del mondo materiale e obsolescenza del mondo spirituale dunque: due fenomeni paralleli che nascono dalla stessa causa, ovvero dal fatto che non esiste più né anima né comunità. Anima e comunità sono le uniche due molle, gli unici due sproni (uno spirituale l’altro laico) che inducono l’uomo ad alzare lo sguardo da se e a lavorare per qualcosa che trascenda il proprio io. Senza di essi ci si ripiega sulla propria vita, per la quale servono, appunto, solo merci obsolescenti e valori obsolescenti.

Questi due fenomeni inoltre non possono che influenzarsi e potenziarsi vicendevolmente: comprare cose e buttarle continuamente diventa un atteggiamento che viene trasposto facilmente, direi quasi ineludibilmente anche se insensibilmente, al piano emotivo e poi a quello sentimentale e infine anche a quello spirituale, portando l’individuo ad optare per qualità e valori esclusivamente strumentali alla propria riuscita, al proprio successo o alla propria comodità di vita. E, come detto, per gli altri e per la sua anima non rimarrà nulla.

Questo atteggiamento nasce ovviamente molti secoli fa, probabilmente assieme all’umanesimo che ha messo l’uomo e la sua riuscita al centro di tutto, ma viene via via rinforzato dai lumi e dalla rivoluzione francese, dalla rivoluzione industriale e poi dal positivismo scientista dell’800. Ma solo adesso, dopo 60 anni di consumismo, è diventato moneta corrente e atteggiamento condiviso.

Al massimo si può assistere oggi ad una sorta di vacua nostalgia per i valori duraturi e veri ma non certo ad un’adesione che sia più che puramente emotiva e comunque strettamente personale ad essi: movimenti di massa (o almeno di un consistente numero di persone) in questo senso sono possibili solo ipotizzando che la struttura più profonda dell’uomo non sia cambiata nel corso di quest’ultimo secolo. Il che è tutto da dimostrare.