Il destino politico dell'Occidente

La tecnocrazia appare sempre più nitidamente il destino politico predisposto per l'Occidente dalle élite globaliste sovranazionali. E' evidente come il concetto di tecnocrazia così come abitualmente è inteso, ossia come il governo dei tecnici e degli specialisti, sia un cavallo di Troia: chi detiene il mandato di effettuare scelte di natura politica è per definizione un politico, anche se tale potere gli è conferito per delle supposte competenze. Qualsiasi illusione di automatismo ed oggettività nei processi tecnocratici è smascherata dal fatto che conferire potere ai tecnici è una scelta possibile tra le altre, perciò arbitraria, e che la scienza non è un edificio compatto e omogeneo di certezze, ma un metodo che dà luogo a risultati che per loro stessa natura sono provvisori e rivedibili. In realtà dietro il governo delle competenze si cela la volontà del superamento della democrazia rappresentativa, la quale a sua volta null'altro è che la requisizione del potere del singolo, che l'idea originaria di democrazia tutelava, a favore di gruppi organizzati a cui egli stesso delega il governo privandosene. In altre parole, la tecnocrazia altro non è che una forma di tirannide che intende legittimarsi su base scientifica.

In questa prospettiva appare chiaro come lo scientismo sia un elemento indispensabile per la costruzione del consenso. L'idea militante che la scienza moderna sia l'orizzonte ultimo e definitivo di qualsiasi ambito dello scibile è condizione di possibilità affinché coloro che ne sono riconosciuti custodi e detentori siano investiti di uno status sui generis, chiuso ai più e non discutibile da coloro che non sono considerati farne parte.

Si comprendono così molte delle dinamiche a cui abbiamo assistito nell'ultimo anno. La lotta all'ultimo sangue che ha visto varie fazioni di tecnici e scienziati scontrarsi per affermare la propria eccellenza sull'avversario, rivendicando di essere espressione della vera “scienza” contro le forme false o spurie incarnate dall'altro, non è di fatto una competizione in nome della verità o del prestigio, bensì una lotta per il potere. Tecnici e scienziati, perlomeno i più smaliziati, hanno ben compreso che nell'ordine che viene avranno un posto riservato e stanno costruendo le basi per la propria fortuna.

Accade però, ironicamente, che i limiti della scienza moderna si riverberino anche in questo ambito. Lo specialismo, che è la grande piaga di un sapere ipertrofico ormai indominabile nel suo insieme, ha abituato l'uomo di scienza a considerare i fenomeni principalmente in modo analitico, sacrificando capacità di sintesi e approcci olistici. Non chiedete al medico o allo scienziato il senso e il fine di ciò che accade: la scienza non pensa e non deve pensare. L'uomo di scienza non è né il regista né il protagonista della svolta epocale a cui stiamo assistendo; ne è solo una vittima lusingata. Egli è infatti il perfetto supporto di un potere che si vorrebbe impersonale e oggettivo, rispondente a pure esigenze di nuda razionalità e perfetta amministrazione, quando in realtà dietro la tecnocrazia stanno volontà personalizzate e forze epocali assolutamente interessate, come dietro ad ogni altra forma governo. Accadrà forse anche al tecnico ciò che accadde all'operaio, quando nella certezza di essere protagonista del cambiamento in quanto soggetto della classe rivoluzionaria si accorse di essere null'altro che un utensile nelle mani del padrone?