Tradizionalismo: un fenomeno moderno

Tra le forme di reazione alla modernità, il variegato ambito del tradizionalismo merita una considerazione particolare, tanto per importanza storica che per lo spessore delle figure che lo rappresentano. Nella molteplicità della sue espressioni, che vanno dal politico al religioso, fino al richiamo a forme di metafisica ed esoterismo aurorali, l'essenza del tradizionalismo – ci si permetta una definizione tanto universale quanto semplificatrice – è il contrapporre alle contraffazioni del moderno e del post-moderno, identificati come un'eccezione e un'anomalia della storia, l'orizzonte stabile e permanente della tradizione, considerata come ciò che informa e sorregge ogni manifestazione di civiltà e spiritualità propriamente tali.

Non ci interessa riassumere la storia del tradizionalismo, né fornirne valutazioni critiche o ermeneutiche. La riflessione che intendiamo fare riguarda piuttosto l'attualità del suo messaggio e i rischi connessi a una sua ricezione ingenua, e questo non tanto in merito ai singoli autori o correnti, quanto piuttosto riguardo all'attitudine e ai moventi che lo qualificano come fenomeno unitario ed omogeneo.

E' indispensabile tenere sempre presente che il tradizionalismo, in quanto reazione alla modernità, è un fenomeno genuinamente moderno. Non è un gioco di parole affermare che nel mondo della tradizione non possono esistere tradizionalisti. Questa principio, tanto apparentemente paradossale quanto evidente, si basa sul fatto che affinché vi sia reazione, è necessario si dia concretamente la realtà verso cui si reagisce. Non può esservi tradizionalismo senza che il mondo della tradizione sia già un orizzonte che dilegua.

Questo dovrebbe metterci in guardia da quelle posizioni ingenue che pretendono di aggirare il circolo ermeneutico, la situazionalità del tradizionalista, per proporre un salto impossibile verso un mondo che non è più, se non in forma residuale, come riserva di senso e alterità irriducibile. Se la tradizione è ciò che sempre permane, in contrapposizione all'effimero e al transuente, nel moderno, tuttavia, essa non può mai darsi nell'innocenza e nell'immediatezza dei primordi, ma sempre in maniera dialettica, nel baluginare dell'incorruttibile tra le ombre di ciò che trapassa. Teoreticamente, la tradizione è nella modernità quell'altrove a cui sempre si aspira, a cui ci si approssima, ma che mai se realizza, se non nel passaggio a una nuova epoca dorata.

Questa riflessione apre a un nuovo realismo, dai tratti che non esitiamo a definire eroici. A dispetto delle anime belle della tradizione, fuori dal nostro tempio personale in cui riteniamo di esserci riconnessi alla fonte originaria, c'è ancora il consueto mondo profano, solido e irredento. Quel mondo, di cui siamo pietra di scandalo e a cui siamo costretti a tornare, è la prova palese che la modernità non si aggira, ma si affronta. Se il ritiro nel tempio non è propedeutico allo scontro, allora è null'altro che una pia illusione. La tradizione, infatti, o si dà nella storia come orizzonte totalizzante, oppure sussiste come tensione, come programma, come ideale. L'adagio che afferma che non ci si salva da soli assume qui un peculiare significato, ossia che non si è nella tradizione se non lo è il mondo intero. Pertanto la tradizione, fino alla nuova alba, non può essere che ciò che ci impegna, che gustiamo nell'oggi come caparra del domani, che è ferrea speme, perché, come dice San Paolo, “se speriamo ciò che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza” (Rm 8, 25).