Il denaro come fine – M.Fini

 «Mai un oggetto il quale debba il suo valore esclusivamente alla propria qualità di mezzo, alla sua convertibilità in valori più definitivi, ha raggiunto così radicalmente e senza riserve una simile assolutezza psicologica di valore diventando un fine» (G. Simmel, Filosofie del denaro).


La capacità del denaro di crescere come un tumore sul corpo che gli ha dato vita sino a invaderlo completamente, soffocarlo e distruggerlo, deriva dalla sua natura squisitamente tautologica, dalla sua attitudine ad autoalimentarsi, diventando così un fine, un fine ultimo, un fine che non ha altri fini al di fuori di se stesso. E poiché il denaro è un sacco vuoto, un puro Nulla, il suo fine non ha mai fine, si pone in un futuro irraggiungibile, trascinando con sé, in questa corsa verso il niente, l'uomo.

La tautologia è particolarmente evidente nel meccanismo finanziario, nel denaro che compra denaro. «Il denaro finanziario» scrive Bazelon, «non è denaro da spendere. Con esso non si compra mai nulla; serve a guadagnare altro denaro. E quando poi si è in pieno movimento, non si compra nulla nemmeno col denaro guadagnato sul denaro adoperato per guadagnarlo, e così via».

Ma anche l'intero circuito creditizio sta assumendo questo andamento tautologico. Crediti enormi divenuti inesigibili vengono pagati sempre più spesso aprendo altre linee di credito al debitore. Cioè il creditore paga il debitore perché lo paghi. Soddisfa la promessa di pagamento di cui è detentore con un'altra. Questo sistema iniziò, forse, almeno ad alto livello, dopo la prima guerra mondiale: gli Stati Uniti per consentire agli europei di pagare gli interessi dei rilevanti debiti che avevano contratto con loro gli facevano dei prestiti, cioè aprivano altri crediti. Ma a quel tempo un tale circolo vizioso era ancora l'eccezione. Oggi è la regola. I circuiti deficitari internazionali, come li chiamano gli economisti, sono innumerevoli.

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Se dal punto di vista individuale è un credito, verso il sistema, considerato globalmente il denaro, metafora della modernità, è un colossale debito che abbiamo accumulato col futuro. È grazie a questo debito che abbiamo potuto anticipare, intensificare e allargare al massimo produzione e consumi dilapidando in tempi rapidissimi risorse naturali immense. Abbiamo vampirizzato e ipotecato il futuro come se fosse qualcosa di reale, di concreto, un bene immobile di nostra proprietà.

La rapina nei confronti del futuro ha via via assunto ritmi sempre più precipitosi perché la velocità è insita nel meccanismo del denaro e perché, essendo un'illusione, per continuare a esistere, il denaro ha bisogno, come nella catena di Sant'Antonio, di conquistare sempre nuovi entusiasti, di rafforzare la fede dei credenti e di convertire, con le buone o le cattive, i miscredenti.

La velocità di circolazione e la moltiplicazione del denaro, diventate parossistiche, sono state favorite dalla sua progressiva smaterializzazione e dalla fine dell'aggancio all'oro. È vero che anche l'oro, in quanto denaro, era una convenzione basata sulla fiducia, non diversamente dagli impulsi elettronici rimandati dal computer che oggi tengono luogo di moneta. Ma, a differenza di questi, la sua produzione fisica era limitata. Sganciandosi dall'oro «il sistema ha disattivato il proprio dispositivo di sicurezza». È come una mongolfiera che, liberata dell'intera zavorra, sale a velocità vertiginosa verso l'alto, ormai fuori da ogni controllo. Ma in questa stratosferica ascesa del denaro c'è anche il presupposto della sua fine.

Tratto da: “Il denaro sterco del demonio” di M.Fini (ed Marsilio)