Adolescenti e passioni

C'è un fenomeno silenzioso che attraversa molte case: adolescenti che non hanno interessi di alcun genere. Non parliamo dei classici momenti di ribellione o crisi tipici dell'età. Parliamo di ragazzi che galleggiano in una sorta di limbo emotivo, senza che nulla - proprio nulla - riesca ad accendere in loro una scintilla di curiosità o passione. Ai genitori sembra non interessare, si limitano a osservare i voti scolastici, essi pensano che in fondo vada tutto bene dal momento che a scuola avanzano senza difficoltà. E invece no, in realtà questi ragazzi trascinano i doveri scolastici come automi perfettamente programmati. Studiano, prendono voti decenti, ma dietro quella facciata di normalità c'è il vuoto. Nessuna curiosità autentica, nessuna domanda che va oltre il compito assegnato, nessuna passione che li tenga svegli la notte. 

Scenario tipico: 

- Cosa ti piace fare? "Non lo so." 

- Cosa ti emoziona? Silenzio. 

Non è pigrizia. È come se si fossero disconnessi dal proprio mondo interiore, dalla capacità di sentire bruciare qualcosa dentro. Genitori preoccupatevi. L'adolescenza dovrebbe essere l'età delle scoperte, delle ossessioni, delle passioni travolgenti. Un tredicenne dovrebbe essere completamente assorbito da qualche sport, dalla musica, dall'arte, dalla scrittura, dalla lettura o da qualsiasi altra cosa. Queste passioni sono il carburante dello sviluppo identitario. Un adolescente senza interessi è un adolescente che non sta costruendo se stesso.

Prendere bei voti ma non fare mai domande che vanno oltre il programma scolastico, non avere hobby, passioni o attività, rispondere sempre "non lo so" quando gli si chiede cosa gli piace, non entusiasmarsi per nulla, nemmeno per le cose tipiche della propria età, vivere in modalità “pilota automatico”, NON È NORMALE. E non basta dire "trova un hobby". Questi ragazzi vanno accompagnati nella riscoperta del proprio mondo interiore, per riaccendere curiosità e fuochi.

"L'andare bene a scuola" purtroppo inganna ancora troppe persone mentre il nulla esistenziale e l'apatia avanzano creando cinici automi che vivono d’inerzia.




Catturare la vita

"Non è da tutti catturare la vita, non disprezzare chi non ce la fa"- così cantava Branduardi in suo famoso brano.

Alcuni nascono con una naturale capacità di afferrare l'essenza delle cose, di trovare senso nel caos quotidiano, di trasformare il dolore in saggezza. Altri invece si dibattono nell'incomprensione, intrappolati in meccanismi mentali che rendono ogni giorno una fatica. La differenza non sta solo nella volontà, ma anche in qualcosa di più profondo e misterioso.

Quando si giudica chi "non ce la fa", si dimentica di stare osservando dall'esterno una battaglia interiore di cui non si conoscono le regole. Il fallimento apparente può nascondere lotte titaniche contro demoni invisibili. La mediocrità evidente può essere il risultato di una resa dopo battaglie che non si è mai dovuto combattere.

Il disprezzo per chi non riesce a "catturare la vita" rivela l’incapacità di riconoscere la complessità dell'esistenza altrui. È l'arroganza di chi, avendo ricevuto gli strumenti giusti al momento giusto, si convince di esserne l'unico artefice.

Ciascuno nasce in un territorio psichico diverso. Alcuni si ritrovano in pianure fertili dove ogni seme germoglia facilmente. Altri in terre aride dove ogni piccola crescita richiede sforzi enormi. Chi nasce nella pianura non ha meriti particolari, così come chi nasce nel deserto non ha colpe.

La "cattura della vita" non è una gara a chi arriva primo, ma un processo unico e irripetibile per ciascuno. Alcuni ci arrivano presto e con apparente facilità. Altri impiegano decenni. Altri ancora non ci arrivano mai.

Non disprezzare chi non ce la fa significa riconoscere che l'esistenza è un enigma che non tutti riescono a decifrare. Significa accettare che il fallimento esistenziale non è sempre una questione di carattere, ma spesso di circostanze, di strumenti, di misteriose alchimie interiori, di destini incomprensibili alle logiche umane.

L’atto di "cattura della vita" consiste nello smettere di misurare il valore umano sulla capacità di riuscita, e iniziare a riconoscere la dignità intrinseca di ogni tentativo, anche di quelli apparentemente falliti.

Chi ha davvero "catturato la vita" è colui che comprende che la vita non si cattura, ma si accoglie. E nell'accoglienza trova spazio anche per chi non riesce ad accogliere, per chi si perde, per chi si arrende. Perché anche il loro smarrimento fa parte del grande disegno dell'esistenza.