"La filosofia nel Medioevo" di Étienne Gilson

Il libro di Étienne Gilson "La filosofia nel Medioevo" è uno strumento prezioso per chi vuole comprendere davvero un'epoca ridotta a stereotipi.

Non è un testo che si può leggere velocemente o distrattamente. Gilson presenta sistemi di pensiero complessi che si sono sviluppati nell'arco di secoli. Ogni capitolo merita una lettura attenta, possibilmente accompagnata da appunti sui collegamenti tra i diversi filosofi e le loro scuole.

L'autore non si limita alla pura esposizione dottrinale, ma situa ogni pensatore nel suo ambiente culturale e sociale. Questa dimensione storica è fondamentale per comprendere come le idee filosofiche medievali fossero tutt'altro che astratte elucubrazioni.

Il Medioevo non è stato un blocco monolitico. Gilson mostra come questioni filosofiche centrali - il rapporto tra fede e ragione, il problema degli universali, la natura della conoscenza - abbiano trovato soluzioni diverse e sofisticate attraverso i secoli.

Filosofi come Anselmo d'Aosta, Tommaso d'Aquino, Giovanni Duns Scoto e Guglielmo di Ockham hanno elaborato sistemi filosofici di notevole complessità e rigore.

L'approccio di Gilson dimostra come il Medioevo sia stato un periodo di intenso lavoro intellettuale, caratterizzato da dibattiti filosofici raffinati e da una continua ricerca di sintesi tra diverse tradizioni di pensiero.

Trattasi di una lettura limpida senza i filtri deformanti dei luoghi comuni sul Medioevo.

 Nel leggerlo ci va pazienza e calma, in modo tale da comprendere linguaggi e categorie concettuali diversi dai nostri. Solo così è possibile scoprire che dietro l'etichetta semplicistica di "oscurantismo" si nasconde una civiltà intellettuale di grande profondità.

Venditori di pseudo-trascendenza

Credevamo che il fenomeno dei "maestri spirituali" si fosse un po' affievolito, invece notiamo che i "corsi" di questi soggetti continuano a raccogliere parecchi adepti e ne saltano fuori sempre di nuovi.

Quando ci capita di ascoltare qualche minuto di questi fenomeni rimaniamo sempre allibiti. Proclamano certezze assolute su questioni che da millenni sfuggono alla comprensione umana, trasformando il mistero ontologico in merce di consumo.
Ieri ne abbiamo visto uno che, con grande sicumera, spiegava perché e in che cosa le persone si reincarnano, senza dubbio alcuno e la gente lo ascoltava estasiata.

Il principio apofatico del non sapere? E che cos'è? Questi "guru" spiegano la reincarnazione con la sicurezza di un manuale dell'Ikea.
Nessun rispetto per la complessità del reale, nessuna onestà intellettuale che ogni autentica ricerca spirituale dovrebbe comportare.

Vendono corsi di "risveglio spirituale" con la logica del profitto che penetra negli spazi più intimi dell'esistenza umana, trasformando la ricerca di senso in prodotto di consumo per masse secolarizzate e smarrite.

Tali cialtroni, perché solo così si possono chiamare, operano attraverso meccanismi psicologici e sociali studiati a tavolino per guadagnare. Ecco che i chakra diventano leve da azionare, la reincarnazione una certezza, la crescita spirituale un algoritmo da seguire.

"Guru" che promettono di rendere accessibile ciò che è per natura elitario non in senso sociale, ma in senso esistenziale poiché richiede dedizione, sacrificio, e soprattutto la capacità di stare nell'incertezza.

Venditori di una pseudo-trascendenza prefabbricata, che non chiede di attraversare la notte oscura dell'anima, non richiede anni di disciplina e dubbio, non pretende il sacrificio dell'ego. Offrono invece una spiritualità pronta per l'uso, compatibile con lo stile di vita consumistico.

A tali soggetti non va opposto uno scetticismo cinico. Basterebbe recuperare quella che Pierre Hadot chiamava la filosofia come esercizio spirituale. Una pratica di vita che integra rigore intellettuale e trasformazione esistenziale.
Coltivare l'incertezza come spazio di crescita autentica, preservare il senso del mistero contro ogni riduzionismo. Continuare a farsi domande invece di comprare risposte.

La crescita spirituale non è mai un prodotto da acquistare, ma un cammino di dubbio, meraviglia e umiltà.



"Dal mito al materialismo" di Attilio Mordini

Nell’opera “Dal mito al materialismo”, opera visionaria di Attilio Mordini, pubblicata nel 1966, viene affrontata la perdita progressiva della dimensione spirituale nella civiltà occidentale.

Mordini ci conduce in un viaggio attraverso la trasformazione culturale che ha portato l'umanità dal mondo del mito - colmo di simboli e significati trascendenti - alla mentalità materialista contemporanea, dove tutto è ridotto a materia e quantità.

Vi sono analisi delle fiabe tradizionali e del loro significato simbolico profondo, letture sul declino della civiltà occidentale attraverso l'abbandono dei valori spirituali e riflessioni lucide sul "progressismo" come forza distruttiva dell'ordine tradizionale.

Per Mordini il mito non è favola, ma veicolo di verità eterne. La sua opera è un monito contro una civiltà che, perdendo il contatto con il sacro, perde se stessa. Un libro che ancora oggi, a distanza di quasi sessant'anni, interroga sulla direzione della nostra cultura e sul prezzo pagato per il "progresso" materiale. 

Maghi

Il pensiero non è mero spettatore della realtà, ma un suo architetto silenzioso. Osserviamo.

Gli ermetisti lo chiamavano "Mentis vis creativa" – la forza creatrice della mente. I mistici orientali parlavano dell'illusione che diventa concreta attraverso la focalizzazione cosciente. La fisica quantistica, con il principio dell'osservatore che influenza l'osservato, conferma intuizioni millenarie. 

Tutte queste visioni, separate da secoli e continenti, convergono verso un dato: la realtà è malleabile, e la mente ne è lo strumento primario di modellazione.

Non stiamo ovviamente parlando del banale "pensiero positivo" della spiritualità commerciale New Age, né di facili promesse di manifestazione istantanea. Parliamo di qualcosa di più profondo e, per questo, più pericoloso – qualcosa che possiamo osservare nella trama sottile della nostra realtà quotidiana.

Quando fissiamo con intensità un'idea, un evento, una persona, creiamo una forma-pensiero che inizia a vivere di vita propria, nutrendosi della nostra energia psichica finché non trova il modo di manifestarsi nel mondo tangibile. È un processo lento, impercettibile, che opera attraverso meccanismi psicologici profondi: l'attenzione selettiva, la conferma cognitiva, l'attivazione reticolare che ci fa notare ciò che risuona con i nostri pensieri dominanti.

Ciò che chiamiamo "coincidenze" sono solo i primi vagiti di realtà che abbiamo inconsapevolmente partorito nelle camere segrete del nostro pensiero. Sincronicità che Jung definiva come "coincidenze significative" – eventi che non hanno connessione causale evidente eppure portano un messaggio, una direzione, una conferma di schemi interiori.

Bisogna essere consapevoli di essere potenziali maghi, pericolosi apprendisti stregoni della propria esistenza. 

Ogni pensiero è un seme gettato nel fertile buio dell'ignoto. 


L'Arte oltre l'Artista

Specialmente negli ultimi anni di coercizioni e lasciapassare, ci sono stati momenti di rottura quando si è scoperto che artisti apprezzati stavano sostenendo idee ripugnanti o compiendo azioni contraddittorie rispetto a quanto espresso nella propria arte. Gli esempi che potremmo fare sono davvero tanti, ma questo è un discorso generale, non rivolto ad un periodo specifico. Si può ancora apprezzare quell'artista che ci aveva esaltato e commosso? La questione non è meramente estetica, ma tocca il cuore stesso di cosa significhi creare e fruire arte.

Quando un pittore dipinge, quando un musicista compone, quando un poeta scrive, stanno forse semplicemente trasferendo sulla tela o sulla carta le loro convinzioni personali? O accade qualcosa di più misterioso e complesso? Come se fossero "attraversati" da qualcos'altro? L'ispirazione opera secondo logiche diverse da quelle della razionalità quotidiana. È come se l'artista diventasse un medium attraverso cui qualcosa di più grande si manifesta - che sia l'inconscio collettivo, l'essenza umana universale, o semplicemente la capacità della mente di attingere a verità che trascendono le limitazioni della personalità cosciente. L'arte parla di qualcosa che va oltre le limitazioni personali, attingendo a quella dimensione dell'esperienza umana che è universale e atemporale. Il problema nasce quando confondiamo l'artista con la persona. L'artista non è l'individuo biografico con le sue opinioni e le sue debolezze, ma è quel canale attraverso cui si manifesta una visione che può essere molto più ampia e profonda delle sue convinzioni personali. Questo non significa ignorare tutto ciò che si compie sul piano personale, ma riconoscere che l'arte opera su un piano diverso e la sua capacità di rivelare verità profonde sull'esistenza umana può emergere anche dalle contraddizioni e dalle imperfezioni di chi la crea. Non passa giorno che non sentiamo frasi del tipo "quello lì ha sostenuto quella coercizione, quell'altro non si è schierato contro quella situazione geopolitica, l'altro ha idee pessime e mi sta antipatico" ecc.

Riusciamo semplicemente a cogliere quella scintilla di verità universale che l'opera d'arte può contenere, indipendentemente dalle limitazioni di chi l'ha creata? Perché se non riusciamo a fare questo, probabilmente è meglio non ascoltare, né guardare le opere di nessuno. Se ci aspettassimo che le idee di un artista coincidessero con le nostre, probabilmente gli artisti ‘degni’ si conterebbero sulle dita di una mano.

Pratici

Tutti sognano che i propri figli diventino ingegneri, medici, avvocati, professioni da "colletto bianco". Ma quando si rompe il rubinetto, quando salta la corrente, quando crolla un muro o quando l'auto non parte, chi si chiama disperatamente? L'idraulico. L'elettricista. Il muratore. Il meccanico. C'è poco rispetto per le mani che tengono in piedi tutto, per quei mestieri incredibilmente considerati "di serie B". Fino al momento del bisogno però, perché poi diventano improvvisamente le professioni più preziose del mondo. 

Il lavoro manuale non è solo una professione, è una forma di sapienza antica. È la capacità di trasformare la materia, di risolvere problemi concreti, di creare qualcosa di tangibile e duraturo. L'elettricista non si limita a "sistemare i fili", garantisce la sicurezza delle case, il muratore non "mette solo mattoni" ma costruisce le fondamenta dell'esistenza. L'idraulico non "ripara solo tubi" ma assicura igiene e benessere. Il meccanico non "aggiusta solo motori", ma mantiene in movimento la società. 

Si parla tanto di AI che sostituirà molti lavori umani, be' non saranno certo quelli manuali. Qui si continuano a spingere figli solo verso università e master, creando generazioni che non sanno piantare un chiodo. Una società di teorici che dipende completamente da una classe di pratici sempre più ristretta e straniera, perché i figli degli italiani han deciso di non sporcarsi più le mani. Va restituita dignità al lavoro manuale. Non è affatto un ripiego per chi "non ce l'ha fatta negli studi". È una scelta di vita, peraltro, se vogliamo metterla sul piano economico, a volte anche più sicura di molte professioni "intellettuali". 

C'è gente che guarda dall'alto in basso chi "lavora con le mani" finché non ne ha bisogno, poi quando serve si rende conto che la vita non è fatta solo di camici bianchi e cravatte ma anche di tute blu e mani sporche di lavoro onesto. Questa mentalità va affossata.


Cognitivamente compromessi

Bambini di tre anni in spiaggia, seduti immobili sulla sabbia che invece di essere immersi tra castelli, palette e rastrelli, stanno con gli occhi incollati a uno schermo. 

Famiglie intere al ristorante, immerse in un silenzio innaturale, con sto smartphone acceso, appoggiato ad un bicchiere per tenere incollati i piccoli. 

Scene imbarazzanti.

Genitori incapaci di sostenere il peso della presenza, hanno trovato nel digitale il perfetto sostituto della propria responsabilità. Lo smartphone è il nuovo ciuccio, la nuova tata, il nuovo tutto.

Non servono neppure studi (che ci sono) per capire che questo modus operandi porta a modifiche in aree importanti per le funzioni cognitive di ordine superiore. Una sorta di riscrittura fisica del cervello in formazione. Chi lavora nelle scuole può confermare quanto siano in aumento il calo del livello di attenzione, la minore comprensione e la minore capacità di memoria. 

Abbiamo generazioni cognitivamente compromesse, incapaci di sostenere la fatica della concentrazione, dell'attesa, del silenzio fecondo.

Ogni minuto che un bambino trascorre davanti a uno schermo è un minuto sottratto alla costruzione di sé. È un minuto in meno di gioco libero, di noia creativa, di scoperta del mondo attraverso i sensi. È un minuto rubato alla formazione delle sinapsi.

Questi genitori che preferiscono la pace artificiale del loro bambino, ipnotizzandolo davanti allo schermo piuttosto che affrontare la fatica educativa di proporre alternative, di essere presenti, dovrebbero abdicare al loro ruolo. 

Non riproducetevi, l'umanità ve ne sarà grata.

Guru e paranoie

Avrete notato l'ormai dilagante presenza di reel di sedicenti esperti di psicologia che promettono di insegnare a riconoscere i manipolatori, i narcisisti. 

Ecco a voi "I 10 segnali del narcisista nascosto", "Come smascherare un manipolatore in 5 mosse" ecc

Un vero e proprio mercato della paranoia relazionale che genera milioni di visualizzazioni e giri di soldi.

L'attenzione è sempre rivolta verso l'esterno: il partner, il collega, l'amico, sono tutti potenziali minacce da decifrare attraverso liste di comportamenti preconfezionati che i guru ti spiegano, ovviamente a pagamento. 

Tali guru del riconoscimento manipolatorio utilizzano proprio le tecniche che dicono di combattere. Sfruttano le insicurezze delle persone, alimentano ansie relazionali, creano dipendenza dai loro contenuti attraverso la paura dell'inganno. Promettono sicurezza emotiva vendendo diffidenza sistematica.

Il meccanismo è perfetto: più si consumano questi contenuti, più si diventa sospettosi, più si cercano conferme delle proprie paure, più si torna a cercare nuovi "segnali da riconoscere". Un circolo vizioso che trasforma la ricerca di protezione in una prigione di paranoia.

Si creano così eserciti di grotteschi "detective" armati di liste nere psicologiche, convinti di possedere strumenti infallibili per smascherare le intenzioni altrui. Tali soggetti diventano man mano essi stessi manipolativi, applicando schemi interpretativi rigidi alle relazioni, etichettando comportamenti normali come pericolosi e trasformando ogni interazione in un campo di battaglia psicologico.

Che disastro. 

State lontani da questi ambienti.

Disertare

Credere oggi di potersi opporre al sistema è il più raffinato meccanismo attraverso cui il sistema stesso si riproduce.

Ogni forma di ribellione è prevista, calcolata, metabolizzata ancora prima che prenda forma. Il sistema non è un nemico esterno che si può combattere. È un organismo vivente che include ogni sua componente, perfino - e soprattutto - coloro che si illudono di stargli contro. La rivolta non è una minaccia, ma un ingranaggio necessario al suo funzionamento.

Quando un giovane urla contro il potere, quando un intellettuale critica le strutture sociali, quando un movimento protesta nelle piazze, non stanno facendo altro che svolgere una funzione precisa. Sono valvole di sfogo, meccanismi di scarico che impediscono l'accumulo di tensione, che rendono il sistema più flessibile e insieme più forte. Il sistema produce al suo interno gli anticorpi contro sé stesso. Genera i propri critici, alimenta i propri oppositori, crea gli spazi dove la protesta può manifestarsi senza mai minacciare realmente l'equilibrio complessivo. È come un organismo che include e neutralizza contemporaneamente ogni forma di conflitto.

Chi crede di essere fuori dal sistema, ne è dentro. Chi pensa di combatterlo, ne è già parte integrante.

Ogni strategia di opposizione frontale è destinata al fallimento. Non perché il sistema sia invincibile, ma perché la sua forza sta proprio nella capacità di riassorbire ogni spinta critica, ogni tentativo di rottura.

Per combattere il sistema al punto in cui siamo bisogna comprenderne le logiche. Non opporsi, ma disertare. Non gridare, ma sottrarsi. Non distruggere, ma disegnare spazi di autonomia che sfuggano alla sua logica di cattura.

Di questi tempi la libertà è una strategia di sottrazione silenziosa.



Complessità e complicazione

Essere complessi ed essere complicati sono due cose molto diverse. La complessità è nella realtà stessa: i sentimenti umani sono complessi, le relazioni sono complesse, il mondo è complesso. Ma questo non significa che dobbiamo renderli incomprensibili quando ne parliamo. Siamo stanchi di pensatori che trasformano intuizioni in labirinti di parole, filosofi che impiegano cento pagine per dire quello che si sarebbe potuto esprimere in dieci righe. La loro non è profondità, è nebbia. Quando qualcuno non riesce a farsi capire, il problema non è che il concetto è troppo elevato, è lui stesso a non avere chiarezza interiore. Chi ha davvero compreso qualcosa, sa anche come trasmetterlo. 

Non è questione di semplificare per farsi capire. Ci sono argomenti che per loro natura resistono alla semplificazione - la meccanica quantistica, aspetti filosofici, dinamiche psicologiche profonde - e pretendere di ridurli all'osso significherebbe tradirli. Ma anche di fronte alla complessità più irriducibile, l'intelligenza sta nel trovare ponti, analogie, esempi che permettano alle persone di avvicinarsi al cuore del problema. Essere intelligenti significa essere in grado di attraversare la complessità e restituirla in forma cristallina, o almeno il più trasparente possibile. 

"Strani"

Per tutti quelli che si sono sempre sentiti gli unici "strani" in una stanza piena di gente "normale". 

C'è una categoria di persone, e siamo sicuri che tanti che seguono questo canale sono così, che si sente invisibile. Sono quelli che in una serata di gruppo restano spesso in silenzio mentre tutti parlano del nulla, che preferiscono una conversazione profonda con un amico piuttosto che cento chiacchiere vuote, che vengono etichettati come "strani" o "asociali" solo perché cercano qualcosa di più autentico. Preferire il silenzio al caos, la qualità alla quantità, la profondità alla superficie, non significa essere "strani" e non ci si deve forzare di diventare qualcun altro per far sentire gli altri più a loro agio. È deleterio per l'anima. Mai adattarsi alla maggioranza, il mondo ha bisogno di chi sa ascoltare davvero, di chi pensa prima di parlare, di chi offre presenza autentica invece di esibizioni vuote. Ha bisogno di chi costruisce ponti invece di accumulare conoscenze superficiali. Mai sentirsi "diversi" o fuori posto. Questa "diversità" è fondamentale, serve a ricordare a tutti che esistono altri modi di essere, più lenti, più veri, più profondi. Essere una testimonianza viva.