Che cos’è la libertà?

Il grande tema di quest'anno è stato la libertà. Nell'attuale situazione di spiccata polarizzazione ideologica, ciascun fronte ha invocato la legittimazione a partire da una particolare – e spesso paradossale - rivendicazione libertaria. Eppure dovrebbe essere chiaro a tutti che tale concetto è, nel suo utilizzo politico e non retorico, estremamente problematico. La libertà, pensata nella sua essenza, non è infatti affare da uomini. Il pensiero occidentale, ogni volta che si è spinto radicalmente a interrogarsi sul problema, si è trovato ai limiti delle proprie possibilità. L'ultimo Schelling ci insegna come l'autentica libertà, colta nel suo fondamento abissale, sia appannaggio esclusivo del Principio, realizzantesi in quella oscillazione inattingibile al logos che prelude al darsi dell'Essere, in cui ancora incombe il rischio del Nulla e nessuna possibilità è preclusa. Solo a quest'atto supremo di autodeterminazione converrebbe propriamente la definizione di libero, perché qualsiasi scelta, per essere autenticamente incondizionata, deve contenere in sé anche la possibilità impossibile della sua stessa negazione.

Risalendo da eventi immemoriali di tale portata, appare chiaro come nel dominio della finitezza, la libertà esista solo come un distante riflesso – sempre negoziato e compromesso – di una scelta originaria già consumata e non più attuale. Riferendosi alle tradizioni orientali, i termini che definiscono la realizzazione spirituale sono comunemente tradotti con liberazione, denotando come ciò che si definisce propriamente libertà sia attingibile solo con il superamento di tutti i condizionamenti costitutivi dello stato umano. In che modo, invece, l'uomo comune può dirsi sensatamente libero, sia individualmente che nella società? Come può egli divenire immagine, nella finitezza, della libertà originaria del Principio?

Quest'ultima non può essere realizzata attraverso la sottrazione di singoli condizionamenti. La rimozione di questi sono ciò che chiamiamo le libertà o la libertà da. Ogni individuo e ogni società mediano alla propria finitezza attraverso un realistico compromesso su ciò che è possibile e ciò che non lo è. E' evidente che l'utilizzo del termine libertà, in questo caso, è eufemistico; ogni singola libertà è infatti modulata all'interno di un ordine di limitazioni di cui diviene espressione. Essere liberi da significa non esserlo da altro, e denota che a monte vi è appunto un regime vincolante di cui ogni singola libertà è un'eccezione.

L'essere umano, come individuo e come membro di una società, diviene realmente specchio della libertà originaria solo quando ripete in sé, conscio della propria finitezza, la scelta originaria del Principio per l'Essere. Ossia quando assume responsabilmente la propria fatticità – null'altro che la propria porzione di esistenza – in vista di una vocazione che diviene missione. In altre parole, quando è libero per e non libero da. Essere liberi è allora scegliere di farsi carico della responsabilità di realizzare nel mondo l'immagine dell'uomo e della società che si desiderano, conformemente alla visione del bene e della giustizia che si riconosce di incarnare. Non si è liberi se non nell'assunzione di sé e nell'affermazione nel mondo di ciò che essa comporta. L'uomo libero è dunque l'uomo politico, nel senso più alto che tale aggettivo possiede. Ricordiamolo ogni volta che siamo tentati di abdicare all'impegno.