L' idea che oggi porta a bollare come fascista
tutto ciò che si stacca dalla democrazia, è utilizzata tatticamente dal potere
per cercare di screditare e rendere inaccettabile qualsiasi visione più elevata.
Resosi conto che oramai la gente segue sempre meno tv e canali ufficiali, il
mainstream si è messo a far la guerra al web, alle cosiddette "fake
news" e continuamente tenta di inserire limiti e censure (vedasi i social
network, censori algoritmici).
Ora vorremo capire, ma fino ad oggi, in democrazia, i mass media cosa hanno
fatto? E i partiti politici? Non hanno usato forse i media tradizionali per
veicolare opinioni e coscienze e tirare acqua al proprio mulino? Non hanno
sempre usato i grandi mezzi di comunicazione per i loro scopi?
Oggi, se qualcuno si organizza e con pochi mezzi riesce ad utilizzare la rete
per creare un’ informazione alternativa (e ci sono tanti casi ben riusciti) non
va più bene. Di cosa hanno paura esattamente? La "democrazia del web"
è questa, le opinioni, se non lesive, hanno tutte diritto di cittadinanza, si
possono confutare ed ignorare ma questo è.
Ma come al solito la democrazia è tale solo se si rimane nel perimetro che essa
stessa ha stabilito.
C’è poi da dire che un tempo i "ribelli di sinistra", seppur
manovrati, avevano quello spirito critico che li portava a dubitare del
mainstream e della cultura dominante. Oggi invece tali personaggi difendono a
spada tratta qualsiasi narrazione ufficiale, sbraitano contro il "complottismo",
"le bufale", credono ai media di regime e si prendono gioco di chi
cerca di contronarrare e ragionare sui tempi che viviamo.
Ora se è vero che da un lato la rete ha creato davvero gente che vede complotti
ovunque, è altrettanto vero che come controparte abbiamo dei lacchè del
pensiero unico che vanno dietro al Cicap, a Repubblica, alla CNN, al PD, a
Piero Angela, a Saviano, a Fazio ecc ecc.
Si scandalizzano se parli di "complotti"; si gonfiano dietro a titoli
universitari statali che li hanno resi pedine di sistema e non conoscono più né
onestà intellettuale né discernimento.
La democrazia del web e il “sinistro” mainstream
L'esperimento di Milgram: autorità e responsabilità
Nel 1961 il professor Stanley Milgram diresse presso l'università di Yale uno dei più importanti esperimenti di psicologia sociale mai condotti. L'esperimento fu condotto sulla scorta dei quesiti sollevati dal processo di Norimberga in merito alla condotta degli imputati, i quali spesso invocarono l'obbedienza agli ordini come giustificazione agli atti attribuiti loro come crimini. Con il suo esperimento Milgram desiderava verificare se e fino a che punto l'obbedienza all'autorità può essere percepita come vincolante e vincere i principi morali condivisi, e pertanto costituire una spiegazione e un'attenuante al commettere atti che si ritengono aberranti. L'esperimento consisteva nel far credere al soggetto esaminato di essere stato convocato per un test in cui, nel ruolo di "insegnante", avrebbe rivolto a un complice, nel ruolo di "allievo", una sequenza di domande a cui quest'ultimo avrebbe dovuto rispondere in maniera corretta, pena la somministrazione di una scossa elettrica di intensità crescente. Il tutto avveniva sotto la supervisione di un terzo soggetto complice, lo "sperimentatore", il quale avrebbe incarnato il principio di autorità dirigendo l'esperimento. Ad ogni resistenza dell' "insegnante" al somministrare la punizione, lo "sperimentatore" intimava al soggetto testato, in modo fermo e perentorio, di proseguire l'esame; l'esperimento culminava nella simulazione da parte dell' "allievo", dopo un numero crescente di errori e punizioni, di problemi cardiaci e perdita di conoscenza.
L'esperimento dimostrò che su 40 soggetti testati un
numero considerevole obbedì allo "sperimentatore" fino all'esito
fatale: la maggior parte delle persone, infatti, sotto la guida di un'autorità,
tende a considerare la propria responsabilità individuale sospesa e interamente
delegata a chi comanda, purché quest'ultimo sia considerato espressione di un
potere legittimo e riconosciuto.