L'abbandono dello sguardo - H.Hesse

L' occhio della volontà è torbido e deformante. Solo quando è assente il desiderio, solo quando la nostra mira diviene osservazione pura si schiude l'anima della realtà, la bellezza. Se contemplo un bosco che intendo acquistare, affittare o ipotecare, in cui voglio far legna o andare a caccia, io non vedo il bosco, ma solo le sue relazioni col mio volere, con i miei piani, con le mie preoccupazioni e il mio portafoglio. Allora il bosco è fatto di legno, è giovane o vecchio, è intatto o degradato. Ma se non me ne aspetto l alcunché, se mi limito a guardare spensieratamente nella sua verde profondità, ecco che esso è il bosco, è natura, è creazione vegetale, è bello. Altrettanto accade con gli esseri umani e con le loro sembianze. L'uomo che guardo con paura, con speranza, con brama, con intenzioni e pretese non è un uomo, ma solo il torbido specchio del mio volere. Consapevole o no, io lo guardo con impliciti quesiti che possono solo immeschinirlo, falsificarlo: è affabile o superbo? Mi dimostra considerazione? Si potrà spillargli del denaro? Capirà qualcosa di arte? Noi guardiamo la maggior parte delle persone con cui entriamo in contatto con innumerevoli interrogativi del genere, e passiamo per antropologi e psicologi quando dalla loro apparenza, dal loro aspetto fisico ci riesce di interpretare quanto asseconda o contrasta le nostre intenzioni. Ma è un aggiustamento meschino, e in questo genere di psicologia il contadino, il venditore ambulante è superiore alla maggior parte dei politici e degli eruditi. Nel momento in cui la volontà si placa e subentra l'osservazione, il puro vedere, il puro abbandono, tutto cambia. L'uomo cessa di essere utile o pericoloso, interessante o noioso, gentile o ruvido, forte o debole. Egli diviene natura, diviene bello, singolare, come tutto ciò che è oggetto di osservazione pura. Poiché l'osservazione non è ricerca né critica, bensì nient’ altro che amore. La più alta e la più desiderabile condizione della nostra anima: amore senza desiderio. Raggiunta questa condizione, sia pure per alcuni minuti, ore o giorni (attenervisi per sempre sarebbe la perfetta felicità) gli uomini appaiono diversi dal consueto. Non più specchi o caricature del nostro volere, essi tornano a essere natura. Bello e brutto, vecchio e giovane, buono e cattivo, aperto e chiuso, duro e tenero non sono più opposti, non sono più stereotipi. Tutti sono belli, tutti degni d'attenzione, nessuno può essere più disprezzato, odiato, frainteso.

Tratto da "Il mio credo" di H.Hesse (ed.Bur)




Il vuoto della cultura trap

Riguardo alla trap, che oggi appare essere il genere musicale più popolare tra le generazioni più giovani, i pareri si dividono tra chi ne condanna la pochezza artistica e i contenuti banali se non pericolosi, e chi invece vi vede un fenomeno generazionale di rottura paragonabile a quelli beat, rock e punk del passato. 

Va fatto notare, innanzitutto, che se anche il genere ha posseduto in origine una qualche carica eversiva o di rottura - cosa che non dubitiamo visto che le culture underground nascono proprio come critica allo status quo del mainstream - di certo, divenuta prodotto di massa, la musica trap ha perso qualsiasi potenziale critico divenendo anzi funzionale, con il suo messaggio e i suoi codici, al modello sociale che l'industria culturale ha l'obbiettivo di promuovere. L'abbiamo già visto accadere con altre culture marginali e potenzialmente dirompenti che, predate e digerite dalla fabbrica delle idee di regime, sono state poi disinnescate e replicate in forme innocue ad uso e consumo del largo pubblico. 

La domanda che bisogna porsi è, dunque, per quale motivo il braccio armato culturale del potere favorisca la versione edulcoracata e inoffensiva della cultura trap per fini di controllo sociale. Perchè la nostra società apparentemente condanna il modello denaro/sesso/droga/violenza per poi darlo in pasto alle generazioni più giovani, fingendo di scandalizzarsene?

In realtà, il meccanismo è piuttosto semplice. Si offre, nella finzione artistica, l'illusione di qualcosa che non si può avere o realizzare proprio perchè nella vita reale l'insoddisfazione del non potersi approssimare a quel modello venga anestetizzata e non divenga pulsione al cambiamento. Se sono virtualmente ricco e potente, il fatto di non esserlo nella realtà non diventerà carica eversiva, ma semplicemente si appagherà nella finzione artistica in assenza di uno sbocco reale. Poco importa che pochi soggetti statisticamente irrilevanti finiscano per credere a quel modello e diventino criminali, stupratori o assassini: la maggioranza dei giovani che ascoltano trap (come coloro che la fanno, dopo una breve stagione di successo) è destinata a una vita di miseria e subordinazione, che la società tenterà di tener buona con i prodotti dell'industria dell'intrattenimento e poche altre gratificazioni di ripiego.

Tra queste forme di anestetici sociali, il consumo meccanico e puramente orizzontale di droga e sesso è tra i più efficaci, così come quel culto dell'individualità sfociante nel narcisismo patologico che serve a camuffare il vuoto di personalità tipico della società dei consumi, dove si è ciò che si ha, e ciò che si ha è ciò che si mostra. Notare come tutti questi siano temi e codici tipici della cultura trap di massa, che a ben vedere non genera (se non in rari casi gestibili come comune criminalità) dei mostri sociali, bensì dei futuri cittadini perfettamente omogenei al tessuto economico, privi di qualsiasi reale pulsione eversiva, convinti di aver già rotto con la società indossando catene d'oro e pippando cocaina.

La cultura "pericolosa" non passa in tv, alla radio o sui giornali nazionali. La cultura "pericolosa" rimane nel cono d'ombra dei circuiti che il gusto educato o il sentire comune rifiutano, siano essi l'underground musicale più estremo o l'opera temeraria di qualche ermeneuta solitario che capovolge i luoghi comuni del pensiero condiviso. Un fascista insomma.