Melancholia: la fine di un mondo

 « L'arte ha il dovere sociale di dare sfogo alle angosce della propria epoca. Un'artista che non ha accolto nel fondo del suo cuore il cuore della propria epoca, l'artista che ignora d'essere un capro espiatorio, e che il suo dovere è di calamitare, di attirare, di far ricadere su di sé le collere erranti dell'epoca per scaricarla del suo malessere psicologico, non è un artista » (A. Artaud)

Un pianeta blu sta per entrare in collisione con la Terra, nel frattempo una donna sta per sposarsi.  Il corpo celeste si avvicinerà al cosmo di pari passo con lo sprofondare nella depressione e nella paranoia della protagonista..

Il prologo è di una bellezza estetica disarmante, grazie ad un uso magistrale del ralenti e ad una fotografia sublime e avvolgente, dai contrasti di luce forti e coerenti col tema decadente. Già dopo questo incipit si potrebbe esser soddisfatti e interrompere la visione: sequenze maestose con collisione allegorica finale assolutamente da brividi. L'uso della camera a mano è come sempre appropriata per trasmettere tensione, dinamismo e realismo a sostegno delle atmosfere apocalittiche.

La settima arte espressa da Von Trier combina una realtà caotica e senza speranza a momenti di illuminazione e superiore lucidità. Nel suo cinema si coglie quasi il balneare di certezze più elevate fra caos estremi e percezioni magiche di una realtà delle cose esistenti nella loro essenza e purità, creando così una sorta di trance allo spettatore.

In mezzo allo sconquasso e alle situazioni più assurde agisce una tendenza confusa verso una comprensione esistenziale dell' irrilevanza dei tempi. E non importa che questa irrilevanza sia percepita dalla protagonista con la banalissima affermazione "il mondo è cattivo", perché è l'essenza quella che conta e Justine si trascina dietro (splendida la metafora della lana) l'impotenza della fine di un' epoca.

Nel film ruotano vari personaggi, tutti ovviamente funzionali alla riuscita dell'opera, e la festa di matrimonio iniziale è l'occasione giusta per presentarceli uno ad uno nella loro imbarazzante miseria interiore.

Tra i principali ne citiamo tre.

- Claire (una Gainsbourg sempre splendida), la sorella di Justine che ne recepisce il malessere esistenziale ma preferisce starsene nel suo limbo di certezze provvisorie sino a quando non verrà messa di fronte alla realtà dei fatti che provocheranno in lei una situazione di inevitabile nevrosi e paura.

- Lo sposo di Justine, un uomo buono, semplice che non è in grado però di percepire l'inutilità di una vita preconfezionata e mascherata, preferendo costruirsi mentalmente un futuro idilliaco fatto di progetti familiari di ogni tipo.

- Il marito di Claire, un ricco borghese avido e codardo (la sua morte è la sua fotografia) che vive percependo solamente materia affidandosi ciecamente all'unico tipo di conoscenza che la triste società occidentale gli ha messo a disposizione: la scienza.

Oltre a questi da menzionare anche altre figure come l'ambigua antiborghese mamma di Justine, il suo buffo datore di lavoro, il dipendente di quest'ultimo e la società borghese in generale col suo gioco dei fagioli..

Quest'ultima rappresentazione par essere un sincero augurio di morte e dissolvenza all'umanità intera imborghesita e non più meritevole di vivere.

Il film scorre in maniera flemmatica e cadenzata, colmo di metafore di ogni tipo(splendida quella di Justine nuda sotto le irradiazioni di Melancholia), accompagnato dal Tristano di Wagner e si conclude con un apocalisse annunciata.

Lars Von Trier è una preziosa espressione dei nostri tempi.



Questo Mondo Non Basta

Alla fine degli anni novanta uscì un film di fantascienza dal titolo enigmatico: Gattaca.
Recentemente ho scoperto che questa parola è stata inventata mettendo insieme le iniziali dei nomi delle basi chimiche del DNA. Una scelta non casuale. In Gattaca, infatti, tutto è genetica. La società è divisa in due caste separate, quella dei soggetti modificati geneticamente e quella degli individui concepiti con il vecchio metodo naturale. La società vuole un corredo genetico impeccabile. Una scelta economica: le aziende selezionano il personale in base al DNA, all’intelligenza programmata geneticamente, alla bellezza scelta geneticamente, alla salute garantita geneticamente. Gli imperfetti, i cosiddetti “non validi”, sono un intralcio, un peso, un evitabile costo per la collettività. Per questa ragione possono occupare solamente i ranghi inferiori della società e svolgere lavori umili. Ogni prospettiva sociale, professionale, umana è loro negata in partenza.
Vincent è un non valido. I suoi genitori Io hanno concepito seguendo il vecchio metodo naturale. Dalla nascita, a Vincent è stata diagnosticata una malattia cardiaca ereditaria e la sua aspettativa di vita è inferiore a trent’anni. Cosi, quando i suoi genitori decidono di avere un secondo figlio, scelgono di averne uno valido, uno con il corredo genetico perfetto, selezionato, modificato. Vincent, fin da piccolo, cresce con un sogno: diventare astronauta. In questa società, però, è un sogno irrealizzabile. Ma Vincent, crescendo, non si dà per vinto. Vuole sfidare l’impossibile. Vuole entrare a Gattaca, l’ente aerospaziale. Una follia. Si prepara alla perfezione per l’esame di ammissione, si allena fisicamente, trova il modo di ingannare i controlli sul DNA. In una società dominata dalla genetica, quello che corre Vincent é il rischio più grande. Ma un sogno vale tutto.
Ad un certo punto del film, Vincent sfida il fratello in una drammatica gara di nuoto in mare aperto. Come faceva da bambino. Questa volta, però, vuole affrontare una gara di resistenza. Fino alla fine, fino allo sfinimento. Il suo fisico non può sopportare uno sforzo di questo genere. Il suo cuore non può reggere. E’ una certezza: i computer, i modelli di calcolo, le analisi e i genetisti hanno già  emesso la loro sentenza. Vincent deve morire entro i trent’anni oppure può abbreviare ulteriormente la sua vita, suicidandosi con uno sforzo fisico così prolungato. Ma Vincent nuota. Nuota e nuota ancora. Una bracciata, un’altra e ancora un’altra. Non si ferma più. Supera il fratello perfetto e lo batte. Quasi lo uccide di fatica. Il cuore di Vincent, invece, quello malato, quello che non serve a niente, non si è fermato. E’ andato oltre. Gattaca non è solo un film sulla futura umanità, quella della genetica su ordinazione. Genetica da catalogo. Figli comprati al supermarket. E’ la storia di una forza che può superare ogni limite di comprensione. La vera forza dell’uomo.
Non può esistere medico o scienziato su questa terra in grado di spiegarla. Nessuno può negarla. Gattaca è un film sulla forza di volontà. Sul superamento di sé. Su quello che non possiamo capire. Su quello che delle previsioni e delle certezze fa carta straccia. Su quello che distingue gli uomini dagli incompiuti.
La forza di volontà. Una questione di testa e cuore. Lacrime e buon umore. E’ il Memento Audere Semper (Ricorda di osare sempre) di Gabriele D’Annunzio. Quello dei MAS. E’ fatica, ostacoli da superare, muri da abbattere, sacrificio, sangue e sudore. E’ il terrificante uppercut di Primo Carnera alla conquista del titolo del mondo o l’ultimo incontro della carriera di Paolo Vidoz. E’ il sorriso di mio nonno in sella a un sidecar nel deserto, in attesa di preparare le tavole di tiro nella stessa tenda di Rommel e di conquistare a colpi di artiglieria le bottiglie di Johnnie Walker. E’ l’ avanguardismo sedicenne dell’eroe fanciullo, di Sergio Bresciani. E’ il caricat delle Voloire a sciabola sguainata tra le sabbie infuocate del deserto o le infinite distese di ghiaccio del fronte dell’est. E’ il calcio in culo tirato all’invasore dai nostri ragazzi del Piave, quelli della grappa buona, del tabacco nostrano e dei baffoni all’insù. E’ lo slancio verso le baionette di chi il Risorgimento lo ha fatto pensando a Garibaldi e alla bandiera, non conoscendo il significato della parola “politica” e, forse, nemmeno la lingua del fratello che stava combattendo al suo fianco. E’ il ventre spaccato e la testa tagliata dalla Seki no Magoroku di Yukio Mishima. E’ il sorriso di Sergio Ramelli e la perseveranza, l’impegno e la continuità di chi lo ha seguito. E’ la rinuncia ai riflettori e alle feste di Brigitte Bardot e il suo modo, semplice, di invecchiare. E’ il gruppo di ragazzi di Ardito Desio, quelli che si sono aggrappati disperatamente alle pareti assassine del K2 per piantarci un tricolore. E l‘amore grande di Evita Peron. E’ il tuono dei cacerolazos. E’ lo sguardo chiaro e infinito del comandante Massud…
Dove sono gli altri? Quelli del sarcasmo, dell’ironia usata per nascondere le paure, dei fiumi di parole che misurano proporzionalmente la vigliaccheria. Quelli che non ci provano nemmeno e che nascondono la loro inadeguatezza, denigrando con sufficienza e aria di superiorità chi sa comportarsi da uomo… di là, dalla loro parte, si sente solo, chiaro e forte, il raglio di somaro!
Lo so, il mondo, questo mondo è roba loro. Ma proprio per questo, gli uomini che hanno deciso di vivere diversamente, quelli della volontà che spinge nel fuoco o tra il ferro delle baionette, quelli che conoscono solo una direzione, avanti, quelli che non si fanno spaventare dai raggi accecanti del sole, non conoscono confini, spazi e tempo. Sono già andati oltre. Come al loro solito, avanti.
E’ il ruggito della belva. L‘assalto del leone. La schiena sempre dritta… Per loro, grandezza, esempio e slancio, questo mondo non basta!

Federico G. Skoll