Esiste ancora la borghesia?

Forse sarebbe il caso di comprendere che la borghesia come classe sociale non esiste più, e che certi modelli interpretativi della società tipici del secolo scorso non sono più adeguati a elaborare sintesi teoriche e strategie politiche efficaci. La forbice sociale si è fatta talmente ampia che, da un lato, vi si trova tutta la massa proletaria de-proletizzata, allargatasi fino a inglobare il ceto medio e i piccoli-medio proprietari, in una collettività caratterizzata dal condividere tutta la medesima cultura, stile di vita e aspirazioni, e che si differenzia al suo interno solo da diversi gradi di disponibilità economica individuale. Dall'altro lato, invece, vi sono le élite economiche e (quindi) politiche, che detengono potere e ricchezza reali, e che, nonostante siano un'esigua minoranza, determinano le linee guida e i destini del mondo, condividendo piena consapevolezza dei propri privilegi e del proprio status, in una forma di solidarietà radicale che rappresenta la versione del XXI secolo della coscienza di classe. In questo schema non trova più posto la borghesia come classe sociale e visione del mondo, improntata ai valori di un moderato conservatorismo, primato della morale e del benessere economico, stabilità sociale e senso comune. La borghesia sta alla modernità come il precariato sta al post-moderno, con il suo bagaglio di inquietudini, insoddisfazioni, irrequietezze e disagi, a malapena anestetizzati dai surrogati di benessere che il mondo dei consumi offre come briciole che cadono dalla tavola dei padroni. Brandelli e sopravvivenze di ideologia borghese si osservano solo in certi ambienti culturali di regime, che tuttavia sono agonizzanti e ormai ininfluenti, come quegli stessi ambienti che ne sono ossessionati fino alla patologia. Entrambi sono pensiero morto, anacronistico e miope. La condanna, l'irrisione, l'agitare lo spauracchio della borghesia sono un vilipendio di cadavere.