"Il libro dell'inquietudine" di Fernando Pessoa

 “Il libro dell’inquietudine” è un testo straordinario, ferisce come una lama di luce troppo abbagliante, accecandoti scaraventandoti improvvisamente nel buio più nero.

Bernardo Soares è uno dei molti eteronimi di Fernando Pessoa, personalità fittizie e personaggi letterari che solo in parte corrispondono alla personalità dello scrittore portoghese, sono solo possibilità di manifestazione, stati dell’essere multiforme che l’autore si diverte a mettere in scena, a prestare loro voce. Una finzione letteraria quindi, la quale si interroga incessantemente, consumata da un dolore insanabile, sul senso della vita, dell’essere, di Dio e del mondo circostante. Paralizzato in questa disperata abulia, abdica alla vita, come chi, avendo sollevato il velo dell’illusione e scorgendo la Verità ne viene devastato, spezzato e sconfitto. Una luce che non riesce a sostenere, che lo acceca e condanna ad un incurabile malinconia.

Nel disincanto dello svelamento tutto diventa inutile e privo di senso.

Quell’inquietudine è maledizione,angoscia e senso di vuoto, solitudine assoluta, distanza incolmabile tra gli esseri, inettitudine ad amare ciò che ormai ha rivelato la sua inconsistenza. La riflessione che penetra il fondo distrugge l’oggetto contemplato, lo uccide privandolo della sua attrattiva che è legata al mistero, a ciò che rimane sconosciuto.

Certe rivelazioni possono rovinare, condannare alla disperazione o al contrario condurre all’estasi, alla più piena autentica gioia. Il vuoto originario dell’esistenza è per il narratore un baratro oscuro, disprezzo per il mondo, divenuto adesso claustrofobica prigione, sterile landa priva di attrattiva, che nulla ha più da elargire. Nemmeno riesce ad entusiasmarlo ancora la conoscenza, perché nulla ha senso né scopo e ogni scoperta è un’illusione che cade, un passo avanti nel nulla, una sottrazione straziante.

In realtà i due esiti non sono per forza stati dell’essere antitetici, inconciliabili. Spesso costituiscono invece le successive fasi di un percorso spirituale.

La seconda è il contrario della “notte”, qui i germogli fioriscono, sbocciano le intuizioni nel loro senso superiore, si vede finalmente la luce, quel vuoto si tramuta in un fertile ricettacolo. Bisognava scavare prima, arrivare al fondo, nel più profondo e buio ventre della terra, piantare il seme dell’albero della vita, l’asse del mondo con cui connettersi al Cielo.

Dopo quell’immane dolore si verrà ripagati da un’incontenibile gioia. Si verrà al mondo per la seconda volta completamente mutati, e tutto sarà nuovo, autentico, ci si rispecchierà ovunque si posi lo sguardo.

È sorto il sole. Sono le nozze alchemiche, il compimento della Grande Opera, il metallo si è trasmutato in oro.

Amerai davvero il prossimo come te stesso, perché è una parte di te stesso, un riflesso più o meno nitido. E tu sei un riflesso di Lui, non altro, non più distinto, separato, lacerato dalle pulsioni egoiche.

L’inquietudine angosciosa di Bernardo Soares si può ricondurre a ciò che San Giovanni della Croce definisce “Notte oscura dell’anima”, una fase in cui sovente incappa il mistico nella sua progressione e che gli provoca non poco dolore, sofferenza e paura, poiché ci si ritrova in una condizione di profonda malinconia, “depressione” per dirla coi moderni, non riesce più a trovare gioia in nessun atto, e ogni cosa appare priva di senso e attrattiva. Sì pensa moltissimo e si giunge anche ad alcune fondamentali intuizioni, che in questa fase, però non sono ancora mature per essere pienamente comprese, anzi diciamo che vengono spesso del tutto fraintese. Nell’ermetismo qualcosa di molto simile si trova nella “Nigredo” o “Opera al nero”, prima fase alchemica delle tre che compongono la Grande Opera, la putrefazione come purificazione della materia, la morte iniziatica, il sacrificio che introduce ogni conoscenza spirituale e prepara il risveglio.

Il protagonista del libro dell’inquietudine si è fermato a questa fase e non è più avanzato, forse perché ha creduto di non avere più nulla da imparare, perché non ha perseverato, ma anche perché si sono cristallizzate in lui delle idee malsane che hanno reso la sua inquietudine una patologia psichiatrica, un assillo rivolto al proprio io e non verso un Principio sovraindividuale a cui anelare senza posa. Nell’io non c’è nulla di buono né reale, e l’analisi ossessiva delle proprie paranoie, paure, desideri bassi e istintivi, porta inevitabilmente ad esacerbarli fino a soccombervi, perché non c’è soluzione in essi ma fuori da essi, nel riconoscerli come privi di importanza ed esistenza propria.

È l’ansia dell’uomo moderno, dell’inetto di Svevo, del nevrotico della psicoanalisi freudiana, l’indifferente di Moravia, figlio del capitalismo, della rivoluzione industriale e del dominio della tecnica, la cui mente è stata stritolata tra gli ingranaggi della macchina, da un ritmo di vita innaturale, abbandonato in una ‘terra desolata’ senza più gerarchie, senza senso né ordine metafisico.

Esiste un tipo di inquietudine che va verso la sottrazione e giunge al vuoto, nichilista, è forza distruttiva, disgregatrice.

Quella stessa inquietudine condurrà però anche all’Unità, alla pienezza, sintesi degli opposti, diviene reintegrazione, forza creatrice, rigenerazione.

È il soggetto che ne determina la natura.

Entrambe sono essenziali poiché si sorreggono a vicenda, si compenetrano in apparente alternanza, è il respiro cosmico, il ritmo che scandisce il tempo, la struttura della materia.

Quello stesso “nulla” che dilania l’esistenza di uno, per un altro è il Graal che si riempie di virtù e conoscenza, luce spirituale che guida la ricerca e mai deve esaurirsi, anzi diventa sete impellente.

Libero dalle illusioni, dai falsi condizionamenti, può finalmente attingere ai significati più autentici, sottili, potrà interrogare il mondo sensibile che gli parlerà del mondo spirituale, scoprirà le connessioni che legano tutte le cose con grande stupore, decifrando gli enigmi che costituiscono la trama di cui è intessuto il cosmo.

Sono entrambi effetti frutto dell’ ‘illuminazione’, della realizzazione spirituale dell’iniziato, della santificazione del mistico; così come una droga allucinogena può aprire porte per accedere a stati di coscienza superiori oppure trascinare in un incubo terrificante, un viaggio all’inferno che conduce alla follia, spesso irreversibile.

“ I sentimenti più dolorosi e le emozioni più pungenti, sono quelli assurdi: l’ansia di cose impossibili, proprio perché sono impossibili, la nostalgia di ciò che non c’è mai stato, il desiderio di ciò che non c’è mai stato, il desiderio di ciò che potrebbe essere stato, la pena di non essere un altro, l’insoddisfazione per l’esistenza del mondo”.