Alla mezzanotte del diciottesimo compleanno un individuo si trasforma magicamente da minore bisognoso di tutela a adulto pienamente responsabile. La biologia e la neurologia ci dicono di no, ma il nostro sistema giuridico finge che accada proprio questo. Il limite dei 18 anni è, filosoficamente parlando, completamente arbitrario. Non esiste alcuna base scientifica che giustifichi questa soglia specifica. Il cervello umano, in particolare la corteccia prefrontale responsabile del controllo degli impulsi e del ragionamento complesso, continua a svilupparsi fino ai 25 anni circa.
Il 18 è una necessità pratica, la società ha bisogno di linee nette, di confini chiari, non potendo valutare caso per caso la maturità di ogni individuo. Ma questa necessità pratica non cancella l'assurdità filosofica del sistema.
Il paradosso penale di cui parlavamo ieri ne è un esempio. Un diciassettenne che pianifica e esegue un triplice omicidio e dimostra una capacità di premeditazione, controllo e consapevolezza delle conseguenze, viene trattato dalla legge come se fosse incapace di comprendere la gravità dei suoi atti.
Il concetto di "maggiore età" a 18 anni è relativamente recente. Per secoli, la maturità sociale coincideva con quella fisica: si diventava adulti con la pubertà, spesso intorno ai 12-14 anni. Il prolungamento dell'adolescenza è un lusso delle società moderne e benestanti. La scelta dei 18 anni deriva da considerazioni storiche contingenti, come l'età del servizio militare o del diritto di voto. Non da una reale riflessione sulla natura umana. Ma quando un essere umano diventa moralmente responsabile al 100%? Aristotele parlava di akrasia (debolezza della volontà) come condizione umana universale. Anche gli adulti agiscono spesso contro la propria ragione. Se un adulto di 40 anni può commettere un crimine "in un momento di follia", perché un diciassettenne non può essere ritenuto pienamente responsabile di un atto lucido e premeditato?
Il caso Paderno evidenzia l'assurdità: se quel ragazzo avesse compiuto il massacro tre mesi dopo, sarebbe stato ergastolo. La differenza non sta nella sua maturità, nella sua comprensione del male, nella sua pericolosità sociale. Sta solo nel calendario. È come dire che la gravità morale di un atto dipende dalla posizione della Terra nell'orbita solare al momento del crimine.
L'idea di soglie nette va combattuta. Serve valutare caso per caso la maturità
cognitiva ed emotiva del soggetto. Il limite dei 18 anni è una finzione
giuridica, magari necessaria, ma filosoficamente insostenibile. Quando un minore
dimostra attraverso i suoi atti una maturità criminale degna di un adulto,
trattarlo come un bambino non è giustizia: è complicità con l'ingiustizia.