2023, nuove sfide

 

Il 2022 verrà sicuramente ricordato come l'anno dello scoppio della guerra in Ucraina. Coloro che sono stati in grado di leggere ed interpretare l'evento pandemico in una prospettiva metapolitica di ampio respiro, che in esso vedeva i prodromi dell'instaurarsi di nuove forme di governo e di nuovi equilibri di potere, sono i medesimi che hanno saputo cogliere l'autentica portata del conflitto ucraino, che è sostanzialmente una nuova tappa del suddetto processo di ristrutturazione dell'ordine globale. Ricordiamo come il mainstream abbia osservato stupito il misterioso fenomeno per cui i cosiddetti “no-vax” si sarebbero riciclati, all'indomani dell'inizio delle ostilità, come “putiniani”, liquidando il tutto come l'ennesima espressione dell'ignoranza fascista dell'ambiente del dissenso. In realtà il tentativo del potere malcelava la volontà di screditare qualsiasi forma di comprensione unitaria dei fenomeni, cosa che avrebbe palesato la comune regia e la natura tutt'altro che fortuita, imprevedibile e indesiderata di guerra e pandemia.
Specularmente, come la pandemia ha accelerato il processo di digitalizzazione, o meglio, della posa dell'infrastruttura del futuro controllo digitale, allo stesso modo la guerra in Ucraina ha enormemente favorito la conversione dell'economia al modello green, il quale ha le proprie fondamenta nelle nuove politiche energetiche legittimate sulla base del presunto stato emergenziale dovuto al conflitto. Crisi economica, lockdown (stavolta energetici) e diffusione del senso di precarietà e pericolo, sono ancora una volta i metodi utilizzati per imporre ciò che altrimenti sarebbe stato rifiutato da tutti sulla base del più banale buon senso.
Il 2022 è stato anche l'anno delle elezioni politiche in Italia. Tale evento ha dimostrato innanzitutto come qualsiasi partito, per poter accedere alla possibilità di governare, debba necessariamente conformarsi a dettati sovranazionali e alla logica del più bieco compromesso. Nel caso di Fratelli d'Italia questo è stato ancor più palese, in quanto le garanzie e il patto di sudditanza sono stati richiesti sulla base di previsioni e meri sondaggi politici prima ancora che sul risultato elettorale. Il partito ha dovuto prima convertirsi ad atlantismo, europeismo e globalismo, per poi essere ammesso al governo sotto una costante minaccia di stigma ideologica ad ogni sospetto di sbandata o rigurgito d'orgoglio nazionale.
Queste elezioni, tuttavia, hanno avuto l'indubbio merito di mostrare la vera natura del fronte del dissenso, che si è dimostrato essere irriducibilmente disomogeneo e animato da lotte intestine e conflitti carsici, i quali alla prima occasione di confronto sono esplosi come un bubbone. Come da noi spesso ripetuto, l'unità di un movimento può essere costruita solo sulla base di principi: è oggi palese a tutti quanto le varie correnti che concorrono a dire no al Nuovo Ordine siano difformi e spesso inconciliabili. Facciamone tesoro per il futuro, tanto per evitarci adolescenziali delusioni, quanto per costruire future alleanze solide e reali.
Il 2023 si approssima sotto presagi non proprio positivi. Negli ultimi giorni lo spettro della pandemia è stato di nuovo evocato per stimolare improbabili nuove campagne di inoculazione; il conflitto ucraino pare vedrà nuove recrudescenze nelle prossime settimane, e l'impatto di inflazione e carovita sarà visibile solo a partire dai prossimi mesi. Prepariamoci a reggere l'urto di nuove sfide, con la consueta smaliziata serenità di chi non teme la sconfitta perché non cerca la vittoria, ma soltanto giustizia e verità.

Buon anno amici.



Rimpossessarsi del nostro tempo

Sovente lo specchio è impietoso. Una ruga più marcata, le occhiaie più profonde, un capello bianco laddove, appena ieri, non c'era. Ma non è questo, in realtà, ciò a cui dovremmo prestare più attenzione. Osservando a fondo la nostra immagine riflessa, infatti, i nostri occhi appaiono talvolta spenti. Scavati, vitrei, privi di slancio, affaticati oltremisura da ritmi forsennati, impegni gravosi, giornate che sembrano corte ed al contempo interminabili. Non osserviamo più quel che ci circonda. Tutto appare meccanico, preconfezionato, organizzato da altri, annegato in una coltre nebbiosa che tentiamo invano di afferrare, di far nostra, che ci disorienta mentre anneghiamo nella sua tragica tranquillità, che ci conduce, come banchi di pesci trainati dalla corrente, nella letargia più completa dell'anima. Nulla sembra farci più effetto, niente pare emozionarci o stupirci, eppure la vera bellezza, la più squarciante meraviglia è spesso lì, a portata di mano. Il sorriso ed i progressi dei nostri figli, la fulgida luce che emana la loro semplice presenza, la coesione e l'amore della famiglia, l'affetto sincero di un amico, sono beni preziosi, irrinunciabili, rari nella loro semplicità, uno spiraglio di verità nella menzogna imperante, un appiglio nelle sabbie mobili che ci circondano. È fondamentale perciò, tra i miasmi del mondo moderno, ritrovare noi stessi, ritornare agli affetti, viaggiando magari a velocità più ridotta, riscoprendo l'otium caro ai nostri avi, ricercando lo straordinario nel quotidiano, depurandoci, il più possibile, dalle tossine di un sistema che pretende tutto e restituisce pochissimo, che ci spinge ad essere monadi isolate, inchiodate ad un folle metaverso, che toglie aria pulita e mette sottovuoto la nostra esistenza. Rimpossessarsi del nostro tempo è, oggi, un atto rivoluzionario. Deve essere, a tutti i costi, un obiettivo essenziale, un imperativo categorico da mettere immediatamente in atto, una tappa obbligata per non smettere di crescere e mantenersi vivi tra i morti. Non c'è, realmente, lusso più grande che potremmo concederci.



Verba contra - La contronarrazione come atto politico

L'atto di contronarrare è una sintesi di pars destruens e construens, ossia un momento creativo che si attua mediante una decostruzione della narrazione egemonica. Non il semplice narrare, ma il narrare in opposizione. Verba contra: parola antagonista. Questa forma di opposizione attiva non è una corrente da cui farsi trascinare, ma uno spazio di libertà da conquistare. 

Verba contra è un testo dedicato a chi senza sosta s'interroga, si mantiene vigile, non accontentandosi di verità preconfezionate e facili slogan. A chi è ancora "vivo", a chi viaggia, imperterrito, in direzione ostinata e contraria.


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Non pensare

Sei contro la libertà e la democrazia? Stai strizzando, per caso, l'occhio all'invasore russo? Orsù, dunque, accetta di buon grado la narrazione, le sanzioni e le loro dirette conseguenze sulla nostra economia.

Non reputi sacrosanto che le minoranze vengano adeguatamente tutelate dal nostro ordinamento attraverso nuovi testi di legge? Non pensi che i nostri giovani debbano esprimere, senza riserva alcuna, i loro gusti sessuali e la loro reale personalità? Nutri delle perplessità sulla "questione gender"? Allora sei un omofobo che vive nel medioevo, contrario ed alle legittime aspirazioni del singolo ed al corretto e naturale sviluppo dell'umanità.

Non sei per l'accoglienza? Credi che i popoli tutti abbiano il diritto di prosperare nella propria terra senza essere costretti ad abbandonare tutto ed intraprendere perigliosi viaggi della speranza? Critichi l'operato controverso delle ONG? Non essere razzista, sii favorevole ai flussi migratori indiscriminati e non perderti in volgari elucubrazioni.

Non vuoi che la lotta all'evasione raggiunga un punto di svolta? Fai circolare il nero? Paghi regolarmente le tasse, vero? Basta dietrologie, cosa sono tutte queste reticenze all'abolizione del contante! Non perderti in astruse teorie del complotto, non credere possa essere un ulteriore costo a tuo carico, un favore ai soliti noti, una nuova forma di controllo da parte di un potere sempre più ingerente nella sfera privata e nella vita del singolo! Fidati, questo è il futuro!

Non pensare, non porti quesiti, spegni coscienza e spirito critico, cullati nella bambagia del progresso collettivo, lascia lavorare chi, da sempre, opera per il bene dell'umanità. 




Illusioni ottiche

Molti pensavano che il principale partito d'opposizione, una volta al governo avrebbe, senza indugio alcuno, ribaltato finalmente il tavolo da giuoco, sovvertendo le regole vigenti e mettendo una pietra tombale sul delirio normativo-sanitario, ma non è stato così. Taluni, d'altro canto, erano convinti che grazie ad avventurose azioni legali di solerti avvocati spuntati dal web, si potesse far giustizia e mettere alla sbarra influenti personaggi politici, grandi finanzieri e dirigenti delle multinazionali del farmaco, ripristinando lo status quo antecedente lo tsunami pandemico, ma non è stato così. Qualcuno, poi, ha creduto fermamente che invocando trattati internazionali e sventolando la costituzione, si potesse porre un freno a ricatti e soprusi, a lasciapassare e restrizioni di varia sorta, essendo per loro natura contrari ai principi ivi espressi, ma non è stato così. Infine, tanti hanno ritenuto verosimile che la corte costituzionale, suprema garante del testo fondamentale, potesse ritenere incompatibile con lo stesso le leggi ed i decreti approvati dall'esecutivo durante la notte della Repubblica a cui abbiamo nostro malgrado assistito, con un giudizio tranchant e senza appello, delegittimando de facto la condotta dell'autorità e le sue decisioni, ma non è accaduto.

La verità è che il percorso era stato già tracciato. Il silenzio della magistratura, la cristallizzazione dell'emergenza nel quadro normativo vigente, la sopravvivenza del green pass in talune circostanze, la non avvenuta cancellazione delle multe per la mancata vaccinazione agli over 50, erano tutti indici rilevatori dell'orientamento che si sarebbe poi intrapreso.

Tuonano come un monito, oggi, le parole di Junger: "Lunghi periodi di pace favoriscono l'insorgere di alcune illusioni ottiche. Tra queste la convinzione che l'inviolabilità del domicilio si fondi sulla Costituzione, che di essa si farebbe garante. In realtà l'inviolabilità del domicilio si fonda sul capofamiglia che, attorniato dai suoi figli, si presenta sulla porta di casa brandendo la scure."

Viste le ultime vicissitudini, è proprio il caso di ribadirlo a gran voce.




Informazione tossica

In una società globale ed iper-connessa, l’esistenza umana si svolge nella continua ricerca di equilibrio fra il bisogno di gregarietà e il bisogno di solitudine, fra la paura di non esserci in mezzo agli altri (fear of missing out) e la repulsione del rumore mondano che logora ogni spazio - interiore ed esteriore - di sacralità. Similmente alle abitudini associative dei Neandertal, anche Bauman stabilisce a 150 il limite massimo di persone che ognuno di noi potrà conoscere mediamente bene nel corso della propria vita, di cui solo pochi potranno essere definiti veri amici. Tutte le altre persone, incontrate in varie circostanze - per studio, divertimento, lavoro o altre occasioni, a prescindere se di impatto positivo o negativo, resteranno delle semplici comparse. Questo vale sia per il mondo reale che per quello virtuale, trattandosi di due dimensioni speculari e/o complementari, anche se sostanzialmente diverse. Ad ogni modo, il bisogno di equilibrio richiede che l’individuo valuti in ogni situazione la quantità giusta di interazioni affinché possa far convivere la propria unicità con l’esigenza di comunicare e di identificarsi con l’insieme, senza trasformarsi in un mero ripetitore automatico di contenuti altrui e comportamenti di gruppo.

Da cosa possiamo dedurre la necessità di applicare un limite alle nostre interazioni/relazioni? Anche non sapendo nulla di sistemi vitali e scale di grandezza, possiamo notare che la quantità porta sempre un peggioramento della qualità, e non viceversa. Si potrebbe obbiettare che essere contornati da una maggiore quantità di persone, e magari con una circolazione degli scambi più veloce, aumenterebbe matematicamente la probabilità di “pescare”, di trovare il raro e l’eccezionale. Si, ma questo non dovrebbe valere per la mera quantità numerica, che non necessariamente garantisce una buona varietà/diversità, e in ogni modo la quantità richiede al nostro cervello un maggiore sforzo di selettività, ma i casi fortunati non sono mai dovuti allo sforzo selettivo, bensì alla pura casualità. Per esempio, avere tanti contatti su una piattaforma come facebook non fa aumentare la percezione di originalità, ma al contrario - fa aumentare la probabilità che si veda lo stesso meme o la stessa citazione più volte, o la stessa fake news, magari prodotta appositamente dal mainstream per tenere occupati gli utenti, o la stessa dichiarazione idiotica di uno dei soliti personaggi pubblici, usata come argomento di confutazione da chi non si rende conto che, citando tali personaggi, non si ottiene la loro demolizione, ma la loro maggiore visibilità e promozione, amplificando in questo modo la stupidità come esempio e fattore di contagio. Con la virtualizzazione di quasi tutti gli aspetti della vita, e quindi con l’acquisizione di nuove abitudini e misure di grandezza, l’eccedenza dei contatti, nel virtuale come nel reale, non viene più percepita come qualcosa di minaccioso ed ostile, ma come un compulsivo e inconsapevole amplificatore del vero nemico, che è l’informazione tossica.

Le leggi della comunicazione non possono esimersi dalla logica del sistema economico che la sovrintende, e in un sistema aperto e bulimico l’informazione, e quindi la rispettiva discussione degli accadimenti, subisce la dinamica della osmosi e si satura di tutti gli stimoli esterni in pochissimo tempo, a volte il tempo di poche ore. Se noi riuscissimo a chiudere un po’ il nostro spazio personale alla comunicazione mediatica e ai fiumi d’informazione inutile che ci riversa addosso, riusciremmo a ricreare dentro di sé il senso dello straordinario e dell’artistico, a discapito del mondo esterno? Il senso di sacro della nostra interiorità dovrà essere molto potente per resistere alla pressione della realtà esterna, la quale, grazie al continuo emergenzialismo, è sempre più forte e fa sì che ogni cosa nuova e sconosciuta, che cerchiamo di coltivare, prima o dopo svanisca nella sua unicità. L’accelerazione del cambio di un prodotto di mercato, ossia l’obsolescenza, vale anche per i prodotti/ gli argomenti della comunicazione di massa, ma in qualche misura riflette anche nel mondo interiore di ognuno di noi, dove, a prescindere dal numero e la selezione dei nostri contatti e relazioni, un invadente e pressante esterno cattura e stimola in modo artificiale il nostro interesse, per far ricadere ogni evento e ogni argomento nel dimenticatoio e sostituirlo con il successivo, creando una reattività compulsiva e un continuum senza memoria, privo di vera condivisione e dell’intensità del vissuto.

Zory Petzova




Nel mondo libero

Nel mondo libero, un medico non può sconsigliare ad un suo paziente di assumere un farmaco, altrimenti la sua condotta è passibile di segnalazione all'ordine professionale.

Nel mondo libero, chiunque si discosta dalla narrazione dominante, pur adducendo motivazioni valide a sostegno delle sue tesi, si involve inevitabilmente in un " no qualcosa", da schernire pubblicamente e mettere alla gogna.

Nel mondo libero, i diritti un tempo intangibili si trasformano in concessioni, spesso a tempo determinato.

Nel mondo libero, è stato legittimato un lasciapassare per lavorare e vivere ed i bambini hanno vissuto mascherati come ladri per due anni, senza che nessuno facesse un fiato.

Nel mondo libero, è prassi porre in discussione il principio dell'habeas corpus. Nel mondo libero, regna incontrastato il dogma dei mercati e la nostra salute è sovente oggetto di vili speculazioni finanziarie.

Nel mondo libero si vive in perenne stato d' emergenza, in stabile decretazione d'urgenza e crisi d'ogni sorta si susseguono impetuose, senza soluzione di continuità.

Nel mondo libero si vive in democrazia senza che vi sia democrazia. Nel mondo libero, a sani ed onesti cittadini è stato impedito di portare il pane in tavola sulla base di un "presupposto scientifico" rivelatosi poi completamente falso.

Nel mondo libero, ogni nefandezza, ogni ingiustizia, ogni menzogna, qualsivoglia bestialità giuridica e morale, sono poste in essere esclusivamente per il nostro bene e guai a pensare il contrario.

Nel mondo libero non c'è spazio per dubbi, quesiti scomodi, confronti od opinioni divergenti da quelle "ufficiali".

Nel mondo libero, siamo schiavi della libertà.



Governi occulti - S.Hutin

Esistono dei governanti sconosciuti? Un celebre statista inglese del secolo scorso, Benjamin Disraeli, scrisse questa frase significativa: « Il mondo è governato da personaggi ben diversi da quelli creduti da coloro i quali non sanno guardare dietro le quinte ». Notiamo già, da quanto traspare dalle informazioni accessibili al giornalismo di medio livello, come ogni genere di équipe poco appariscente e teoricamente subordinata ai governi ufficiali, goda in effetti di certe possibilità d'autonomia che sfuggono agli stessi governi: le équipes delle amministrazioni e dei ministeri sono potenti e durature (i ministri e i regimi passano, mentre gli alti funzionari restano). I servizi segreti e le polizie fanno volentieri ciascuno il proprio gioco, complesso e aggrovigliato; e quanto alle possibilità d'azione dell'alta finanza, esse operano, come ben sappiamo, a livello internazionale. Ma esistono realmente dei governanti occulti? Il romanziere André Hardellet così scrive nel suo libro Le seuil du jardin:

«Dietro al succedersi dei vari governi, dovete aver percepito la continuità di certe forze, di certi principii, e questa stabilità non può essere spiegata che con la presenza di forze occulte che in effetti dirigono il Paese. Il variare dei nomi o delle sigle dei partiti non significa nulla e le masse si accontentano della facciata. Naturalmente il mio pensiero è schematico mentre la realtà è ben più complessa; è avvenuta certamente una evoluzione, ma grosso modo le cose si svolgono così. I ministri riconosciuti sono affiancati da altri organismi i cui poteri talvolta oltrepassano i loro. Io non rappresento che una piccola rotella dell'ingranaggio. Non conosco tutti quelli che lavorano nel mio stesso campo e ignoro, oltretutto, a cosa faccia capo questa rete di forze. Si potrebbe anche supporre che l'autorità suprema non sia emanazione di un solo essere ma di una volontà comune».

Così si legge in un romanzo, ma il suo autore si è ispirato a degli avvenimenti reali di cui era al corrente. Dovremmo dunque immaginare gli organi dei governi occulti come una serie di elementi connessi e sovrapposti su scala nazionale alcuni, altri invece che operano a livello internazionale: ognuno di questi elementi avrebbe un potere assoluto di giudizio su tutto ciò che da esso dipende, mentre sarebbe totalmente subordinato a sua volta alle istanze superiori, che conosce solo attraverso gli individui preposti al collegamento. Nel caso in cui avvenissero delle defezioni o delle pericolose divulgazioni, con questo sistema di compartimenti stagni, gli strati superiori non potrebbero mai venire raggiunti. Inoltre, in casi simili, le sanzioni sarebbero senza pietà: da qui l'esiguo numero dei tradimenti.

Tratto da “governi occulti e società segrete”, di S.Hutin (ed.Mediteranee)



Viaggiare nel tempo

Analizzare determinati tipi di fenomeni storici, per loro natura complessi ed articolati, ragionando per slogan,  seguendo ciecamente mode e diktat culturali del momento, è il peccato originale di chi si appresta ad esaminare tali questioni ed a divulgare "studi" e conclusioni tratte. Si fa un gran parlare, spesso a sproposito, di "fascismo", da una parte con riferimento al neonato governo Meloni, reo di aver arruolato tra le sue fila pseudo nostalgici del regime, dall'altra etichettando con tale definizione i provvedimenti draconiani e repressivi delle libertà personali presi dall'autorità in questi anni di delirio giuridico/sanitario. Ma è giusto il percorso che si tende a seguire? L'errore che spesso viene in auge, commesso financo da molti "storici" che si cimentano in materia, è quello della mancata contestualizzazione, del non riportare i fatti rapportandoli al proprio tempo, di ragionare con schemi mentali improntati sulla modernità, imperniati sul nostro modus operandi, sui vincoli culturali odierni. Il lavoro svolto, così, risulta sempre carico di sovrastrutture, poco obiettivo, scarnificato, eccessivamente semplificato. Seguendo questa malsana prassi, ogni avvenimento politico, ogni personaggio rilevante del passato, piegati ed ingabbiati nella nostra rete di pensiero, diverrebbero disumani, bestiali, poiché non incarnanti quei "valori" imposti ( se si possono definir tali) che caratterizzano il nostro approccio alla vita. Così, di questo passo, i grandi condottieri dovrebbero essere etichettati come volgari assassini, tutti gli imperatori romani od i sovrani, persino i più illuminati, come beceri e violenti, i più importanti generali e strateghi militari come uomini senza scrupoli e macellai. Persino Giuseppe Ungaretti, di cui si incensano da sempre umanità ed immense doti di poeta, potrebbe esser definito un "sanguinario", in quanto sfidò a duello Massimo Bontempelli sotto lo sguardo vigile di Luigi Pirandello, per questioni che, senza mezzi termini, secondo i nostri canoni  definiremmo delle bagatelle Nella storia dunque, scritta peraltro dai vincitori, non esistono solamente i buoni od  i cattivi. Tutto questo è falsità e mera riduzione a puerili sillogismi.  Se non si parte dal punto fermo della contestualizzazione, se non si comprendono a fondo dinamiche, situazioni economiche e politiche, gli equilibri internazionali, i costumi di quel determinato spaccato, l' hic et nunc in cui certe decisioni maturano, si ragiona solo per "etichette".  Se si aziona il pilota automatico, dunque, senza" viaggiare nel tempo", rimanendo inchiodati alla nostra epoca, ci si perde, mestamente, in fumose elucubrazioni, in "parole d'ordine" preimpostate, in maldestri tentativi di propaganda, che si scontrano incontrovertibilmente  con la logica e la verità, rendendo tali discipline solamente funzionali alla narrazione dominante, schiave del sistema imposto, dirette a plasmare ex ante il nostro modo di pensare ed agire, a rendere superficiale, ozioso e fanciullesco ogni dibattito, mortificando miseramente  spirito critico e volontà di reale approfondimento.




La guerra dal divano

In Ucraina si apprestano a passare un durissimo inverno. Temperature proibitive, elettricità ad intermittenza e dissesti alla rete idrica rendono la situazione drammatica, in relazione soprattutto a bambini ed anziani, vere e proprie vittime innocenti di questa guerra annunciata. Le famose sanzioni però, al contrario di ciò che parte della controinformazione afferma, stanno assolvendo perfettamente alle loro funzioni, nonostante gli esiti drammatici a cui stiamo assistendo. La destabilizzazione economica dell'Europa, in primis dei paesi manifatturieri, crisi energetica, inflazione, rincaro folle delle materie prime, flussi migratori indotti che non accennano a placarsi, indeboliscono ancor di più il vecchio continente, relegato miseramente al ruolo di vassallo, che ha perduto oramai la sua identità, la sua forza, le sue tradizioni, il volksgeist che contraddistingue i suoi popoli.

Il mainstream nostrano, i popolari volti del giornalismo italico, gli pseudo intellettuali appiattiti sulla narrazione dominante, non fanno altro che soffiare sul fuoco del perenne stato di belligeranza, donandoci istantanee molto spesso alterate del conflitto in corso, soffermandosi in superficie, analizzando solo il "momento", non considerando volutamente pregressi storici, dinamiche geopolitiche, provocazioni, interessi delle parti occulte in causa, accordi prima sottoscritti e poi violati, riducendo il dibattito ad una volgare e fanciullesca semplificazione, riconducendo il tutto nell' alveo della dinamica aggressore/ aggredito. È a dir poco farsesco parlare di resistenza, invio di armi, tattiche militari e bombe atomiche comodamente seduti al caldo di uno studio televisivo, magari con uno sfavillante albero di natale alle spalle e con indosso un maglione con la renna, non analizzando in maniera critica ed approfondita i fatti, voltando le spalle alla verità ad alla reale sofferenza di chi vive drammi di tale portata sulla sua pelle. Pochi hanno il coraggio di dire che la tanto decantata pace, ora, non interessa a nessuno, tantomeno ai registi celati dietro le quinte di questo crudo ed evitabile bagno di sangue.

 

È stato ar fronte, sì, ma cór pensiero,
però te dà le spiegazzioni esatte
de le battaje che nun ha mai fatte,
come ce fusse stato per davero.  
Trilussa



Cavalcare la tigre di Julius Evola

“Cavalcare la tigre” uscì nel 1961 ma in realtà venne concepito e iniziato ad essere redatto circa dieci anni prima.

Per inquadrare il quadro storico di quegli anni, occorre fare velocemente un passo indietro. Evola, scampato all’incidente di Vienna nel gennaio del 1945, resta paralizzato agli arti inferiori e appena rientrato in Italia, non solo trova mutato il clima politico ma avverte immediatamente, dopo aver compreso gli scenari ormai imperanti, l’esigenza di rivolgersi, a chi chiedeva conforto o appoggio dottrinario, di realizzare un opuscolo dal titolo “Orientamenti” in cui, in modo succinto ma pienamente esaustivo, esponeva alcuni indirizzi per sopravvivere e mantenersi “in piedi in un mondo di rovine”. Rovine materiali, ereditate dalla fine della seconda guerra mondiale, ma anche e soprattutto spirituali. Uno scenario apocalittico che inaugurava l’avvento della Guerra Fredda ed il pericolo nucleare sullo sfondo. Per i pochi che non si riconoscevano nella modernità realizzò appunto “Orientamenti” che altro non era che il seme da cui avrebbe preso forma una sorta di aiuto per le giovani generazioni. Per esse, il tradizionalista, scrisse due libri. Rivolti a due categorie differenti di uomini o per meglio dire a due categorie di uomini che avevano, nei confronti della modernità, un approccio differente. Il primo libro era appunto “Gli uomini e le rovine” (1953), testo che era una esposizione di punti fermi a cui aderire, per una correzione della società, e rivolta a chi aveva voglia di intraprendere una causa politica attiva. Nonostante avesse ammonito che nulla poteva essere cambiato, Evola volle comunque dare queste indicazioni. Nello stesso periodo, vide la luce anche il testo gemello che però venne pubblicato solo 8 anni dopo. Appunto nel 1961. “Cavalcare la tigre”, il "libro per tutti o per nessuno", era pensato invece per chi voleva confrontarsi e tuffarsi nel mondo moderno. Prendendo spunto da un detto orientale, il filosofo romano realizzò un libro affascinante, che diede adito negli anni successivi a tante incomprensioni. Perché? Perché Evola, pienamente consapevole che gli eventi storici, il nichilismo del nostro mondo, la decadenza, non poteva essere “ribaltata” indicò una strada differente. Una strada irta di innumerevoli pericoli: superare il nichilismo usando lo stesso nichilismo. “Cavalcare la tigre” non era solo un libro di formazione ma un manuale pratico per il cosiddetto “uomo differenziato”. L’uomo che viveva in un’epoca non sua ma di cui non poteva distaccarsi o farne a meno. Era un libro che dava l’opportunità, all’uomo della Tradizione, di coltivare il distacco interno dal mondo usando il mondo stesso. Attraversando il nulla, restando sé stessi ed anche più fortificati. Come un’asceta che non si piega, uno stoico fuori tempo.

“Cavalcare la tigre” era, ed è ancora oggi, un manuale di sopravvivenza, un aiuto per l’uomo a-politico. Ma non a-politico perché sprovvisto di una visione politica ma a-politico perché la propria visione dell’esistenza tendeva al sacro in un mondo “dove Dio è morto”, dove il sacro è sepolto dalle scorie della secolarizzazione, del progresso e dell’utilitarismo. Una visione metapolitica, alta e nobile, improntata alla Tradizione perenne ed immutabile. Un manuale per chi non potrà modificare il contingente ma che userà il contingente, come il motto orientale suggerisce, per sopravvivere. Un manuale per colui il quale non crede più in nulla perché quello in cui crede appartiene ad un mondo differente. Se il mondo moderno è la tigre, la tigre non si può sconfiggere. Si può solo assecondare i suoi movimenti, assecondare la sua forza distruttiva e feroce restando in groppa. Tenendo duro cercando di non essere sbalzati via, disarcionati. E sperare, quando sarà stanca, quando avrà esaurito tutta la sua furia, di poter scendere e darle il colpo di grazia. Una resistenza eroica, aristocratica e solitaria per un nichilismo attivo.

Un libro che ebbe fin da subito e lo ha ancora tuttora, un fascino ineguagliabile. Un’opera scritta in piena decadenza che non si oppone ad essa ma che anzi caldeggia e asseconda i processi dissolutivi fino al raggiungimento del punto zero. Così da poter poi, per chi dovesse riuscire, risalire la china dell’epoca nichilista.

“Cavalcare la tigre” resta, allora come oggi, un testo difficile e disperato, che ha dato adito ad interpretazioni fuorvianti anche all’interno dello stesso ambiente a cui questa opera si rivolgeva. Ma resta in ogni caso un documento insuperabile per resistere ad una tigre che corre sempre più veloce verso il nulla. Una medicina amara ma indispensabile per preservarsi e superarsi. Un libro forse davvero per nessuno, di chiara impronta alchemica, che indica la dissoluzione ed il perdersi come strade necessarie per ricomporsi, fortificarsi e ritrovarsi.


Prince Rupert


Colpa dei medici "novax"

Era colpa dei medici “novax” se, durante i picchi influenzali degli anni passati, i posti letto negli ospedali e le terapie intensive furono tagliati per il sacro ed inviolabile principio del pareggio di bilancio. È altresì loro massima responsabilità se i pronto soccorso versano ancor oggi in condizioni disastrose, se un anziano rimane infreddolito e sofferente su una barella avvolto da una coperta raggrinzita per giorni, se le strutture ospedaliere sono decadenti e fatiscenti. È a causa dei camici bianchi “novax” se la medicina di base è praticamente paralizzata e protocollare, se dovete attendere mesi e mesi per una visita od un esame a carico del sistema sanitario nazionale ma intra moenia è subito disponibile, se il privato sta soverchiando il pubblico e può curarsi solo chi ha i soldi per farlo. È colpa dei medici non benedetti se l'autorità ha mentito senza pudore alcuno, se il lasciapassare è uno strumento di ricatto che nulla ha a che fare col bene comune, se le case farmaceutiche con una "pandemia" in essere sono quotate nel mercato del capitale di rischio e speculano sulla nostra salute, se vi siete "contagiati" nonostante 3 o 4 dosi di siero. D'altronde, come credere ad un uomo di scienza che non ha fede nella scienza stessa? Come fidarsi di un "dottore" che ritiene che un farmaco sperimentale non sia somministrabile erga omnes e magari ve ne sconsiglia l'utilizzo? Perché stare a sentire chi ha dei dubbi, chi preferisce un approccio diverso alla professione medica, chi non è dogmatico, chi ha pagato sulla propria pelle le conseguenze delle sue scelte, chi ha avuto coraggio, chi antepone l'etica al conflitto d'interessi, chi ha dato rilevanza e sacralità al principio dell'habeas corpus?

Accusare senza prove, incitare all'odio, etichettare, volgarizzare e semplificare il dibattito è oramai la specialità della casa di chi ha deciso di continuare a trascinare questa storia e questo delirio oltre le colonne d'Ercole del sopportabile. Sta a noi recuperare il contatto con la realtà, giorno dopo giorno, sino alla completa depurazione. Guardare alla loro miseria e povertà di spirito deve donarci orgoglio e forza per continuare a lottare nel quotidiano ed affrontare, con rinnovato vigore, le sfide infinite che la vita ci pone, con fermezza e coraggio.

Semper adamas.




Critica al progressismo - G.Sermonti

Se il secolo XX avrà un'insegna nella storia futura, essa sarà quella del “progresso” perché mai nessun secolo vide, e probabilmente vedrà, tante trasformazioni tecniche quante il nostro. Queste grandi trasformazioni avrebbero dovuto porre l'uomo in crisi di fronte al problema morale, politico ed estetico del significato e del valore dei cambiamenti in atto; sono state invece accolte con disarmato ottimismo e qualificate genericamente come avanzamento, come progresso, come crescita. Il più grande successo del progresso tecnico è stato per l'appunto quello di essere riuscito ad assorbire, o quanto meno ad attutire, tutte le crisi che esso ha generato, di essere riuscito a dimostrare che anche la parte nociva che produceva risultava a suo vantaggio, o perché era convertibile in applicazioni benefiche (vedi l'utilizzazione dell'energia atomica per la produzione di elettricità), o perché, rappresentando un pericolo, rendeva ancor più imperativo un ulteriore progresso che servisse a neutralizzarlo (vedi l'uso dei tranquillanti per superare gli effetti nocivi della vita moderna sul sistema nervoso) .

I danni del progresso sono serviti soprattutto a trasferire l'attenzione dell'uomo verso i correttivi e i palliativi, e ad allontanarla dal problema principale che il progresso avrebbe dovuto porre, cioè quello del suo senso, del suo “bene”. (...)

Nell'idea di progresso è sempre presente l'aspirazione a rendere più semplici, più efficienti, insomma “più razionali gli strumenti per ottenere un risultato, che era già conseguito prima, ma in maniera involuta e inadeguata.  La razionalizzazione risulta in ultima analisi un affrancamento da qualcosa di molesto o quanto meno di superfluo che ci ha proibito sinora la via più semplice per giungere allo scopo, tenendoci in una condizione di “repressione” di fronte alle nostre aspirazioni. Ma come spiegare storicamente il fatto che davanti a una finalità elementare da raggiungere l'uomo si sia smarrito in tortuosi labirinti e inutili complicazioni? La spiegazione che viene fornita è in genere questa: che alla finalità elementare si sono sovrapposti interessi oscuri che hanno deviato a loro profitto la spinta dell'uomo semplice verso la sua meta. Questi falsi scopi, queste finalità riposte complicano il semplice itinerario che l'uomo altrimenti percorrerebbe verso il suo paradiso. Bisognerebbe poter dimostrare, per sostenere questa tesi, che l'irrazionalità sia stata una deviazione della razionalità, una sua produzione secondaria. Io non so se ciò possa essere dimostrato, ma a me sembra comunque legittimo avanzare un'ipotesi diversa: e cioè che nel comportamento non razionalizzato ciò che è complesso non è il procedimento per raggiungere lo scopo, ma lo scopo stesso.

Scrive H.D. Thoreau : “Le nostre invenzioni sono…solo dei mezzi progrediti diretti a un fine troppo facile da conseguirsi”. La “razionalizzazione” non farebbe che sfoltire un universo di motivazioni per ridurlo a uno scopo solo, che inizialmente poteva non avere nel complesso che un valore collaterale, sussidiario. Lo scopo residuo non è quello primario, ma semplicemente quello che tecnicamente riusciamo a realizzare meglio, e che appare primario proprio perché è quello più a portata di mano. Scrive al riguardo R.S. Morison: “Per i nostri fini la parola chiave è razionalizzare. In verità i nostri sistemi razionalizzati sembrano aver sviluppato la capacità di vivere di vita autonoma, così che gli uomini qualunque sono forzati, contro la loro volontà, a seguire gli sviluppi di un processo logico… La professione medica segue le orme del suo dinamico programma di ricerca e si accinge a compiere i trapianti cardiaci, con grande dispendio, soprattutto perché ha trovato come farli. 

Noi “razionalizziamo” quindi spesso le nostre pratiche escludendo dalle nostre finalità tutto ciò che in esse vi è di meno accessibile e indichiamo come unico scopo ciò che ci è possi- bile ottenere più direttamente. Questo ci dà la sensazione di essere sempre più efficienti, ma impoverisce progressivamente i nostri fini. Al limite rischia di far sorgere in noi una profonda ostilità per quei fini che non siano chiarissimi, per ogni alta finalità, per ogni finalismo.

Prendiamo ad esempio la storia della “casa”. Ad essa attribuiamo come unico fine razionale quello di fornirci rifugio e conforto, al minor costo possibile. Ma è questo lo scopo originario della casa? “Ogni nuova casa che si costruisce”, scrive Mircea Eliade, “imita ancora una volta, e in certo senso ripete, la Creazione del Mondo…Come la città è sempre una imago mundi, così la casa è un microcosmo. La soglia separa i due spazi, il focolare è assimilato al centro del mondo…Ogni abitazione, mediante il paradosso della consacrazione dello spazio e mediante il rito della costruzione, è trasformata in un centro, e quindi tutte le case – come tutti i templi, i palazzi, le città - sono situate in un solo e medesimo punto comune, il Centro dell'Universo”. Questa finalità cosmogonica della casa, questa necessità rituale nella sua costruzione non sono motivazioni aggiunte e sovrapposte a una finalità originaria pratica e razionale. Sono motivazioni genuine e primarie. Non sono sovrastrutture che nascondono interessi estranei, anche se, in una condizione di degradazione dei significati e dei riti, qualcuno può aver sfruttato questa esigenza primaria attribuendosi il diritto esclusivo di fabbricare e vendere Centri di Universo e Creazioni del Mondo.

L'architetto razionalista tende ad attribuire alla casa una funzione immediata e quindi, in definitiva, “animale”, di rifugio e protezione dalle avversità. Eppure, salvo rare eccezioni, gli animali, e particolarmente i mammiferi e i primati, non si costruiscono alcuna abitazione. La spiegazione “protettiva” della casa fornisce quindi verosimilmente una ragione secondaria e accessoria. Si può ipotizzare che l'uomo abbia dapprima inteso la fondazione della sua dimora come delimitazione di uno spazio, con significato rituale-religioso. Egli si è trovato poi di fronte all'esigenza di difendere quel territorio, più che se stesso, di proteggere un contorno che definiva il suo mondo, più che proteggere la propria persona. La protezione personale resta quindi come una motivazione forse necessaria, ma insufficiente, e storicamente secondaria e inadeguata a giustificare la casa in tutte le sue strutture e nelle sue dimensioni Le ragioni originarie della costruzione della casa sono realmente scomparse, o sono state solamente messe da parte dall'assolutismo razionalista che ha adottato motivazioni “animali” (o estetizzanti) come esclusivo criterio di valutazione e di progresso? In questa seconda ipotesi il costo del progresso sarebbe una costante perdita di significati, e la casa razionalizzata assolverebbe solo a una funzione accessoria, privandosi di quei valori che ne avevano motivata la fondazione.

Considerazioni analoghe possiamo fare riguardo alla trasformazione più importante che si è verificata nella preistoria umana, cioè al passaggio dalla vita nomade dei cacciatori e dei pastori all'insediamento stabile degli agricoltori. In termini di progresso quantitativo si può dire che la nascita dell'agricoltura ha permesso un aumento grandissimo di risorse alimentari e una conseguente crescita della popolazione. Ma sono questi gli apporti più rilevanti che l'origine dell'agricoltura ha portato alla civiltà umana?

“Il destino dell'umanità”, scrive Mircea Eliade, “non fu deciso né dall'aumento di popolazione né dalla sovralimentazione, bensì dalla teoria che l'uomo elaborò scoprendo l'agricoltura. Quel che egli ha veduto nei cereali, quel che ha imparato da questo contatto, quel che ha inteso dall'esempio dei semi che prendono la loro forma sottoterra, tutto questo rappresentò la lezione decisiva. L'agricoltura ha rivelato all'uomo l'unità fondamentale della vita organica. Tanto l'analogia donna-campo, atto generatore- semina, ecc., quanto le più importanti sintesi mentali uscirono da questa rivelazione: la vita ritmica, la morte intesa come regressione, ecc. Queste sintesi mentali sono state essenziali per l 'evoluzione dell'umanità e furono possibili soltanto dopo la scoperta dell'agricoltura… Per l'uomo primitivo, l'agricoltura, come ogni altra attività essenziale, non è una semplice tecnica profana. Essendo in relazione con la vita e ricercando l'accrescimento prodigioso della vita presente nei semi, nei solchi, nella pioggia e nei geni della vegetazione, l'agricoltura è soprattutto un rituale… L'agricoltore penetra e si integra in una zona ricca di sacro; i suoi gesti, il suo lavoro sono responsabili di conseguenze importantissime, perché si compiono entro un ciclo cosmico, e l'anno, le stagioni, l'estate e l'inverno, il periodo delle semine e quello del raccolto, fortificano le proprie strutture e prendono ciascuno un suo valore autonomo”.

La rappresentazione progressista della civiltà coglie nell'agricoltura solo il valore alimentare: la terra è concepita come fonte di produzione di sostanze nutritive e in definitiva di frutti economici. Il lavoro agricolo appare come rozza fatica e sfruttamento servile. La macchina entra nei campi e aumenta la produzione riducendo la fatica. Gli uomini abbandonano il luogo dello sfruttamento e si portano nella città, dove sono destinati i prodotti della terra che qui vengono consumati e goduti. Ridotta a tecnica profana, l'agricoltura non è che un'industria sporca di terra ed esposta alle intemperie e alle incertezze del tempo. Il progresso tecnologico dell'agricoltura e la nuova esplosione demografica hanno lasciato da parte come pregiudizi e superstizioni tutti i valori, le analogie, le teorie, i ritmi, che rappresentano – secondo Eliade - il contributo più fondamentale dell'agricoltura alla civiltà umana. Essi sono stati abbandonati semplicemente perché estranei a una visione economico-razionale della realtà. Si obietterà che le “lezioni” dell'agricoltura preistorica sono state acquisite dalla scienza, che ha rivelato analogie e leggi ben più precise e ampie di quelle della esperienza religiosa primitiva. Ma queste nozioni sono divenute un corpo astratto, un fatto di erudizione avulso dalla vita, e in particolare dalla vita dell'uomo semplice, che ha assimilato i ritmi, la logica, le teorie meccaniciste del mondo della produzione industriale. La trasformazione del mondo agricolo tradizionale nel mondo moderno è avvenuta ed è continuata sul filo di una giustificazione progressista che ha risolto l'intera realtà civile in termini di produzione e consumo.

L'uomo moderno non ha trovato una differente soluzione per i problemi esistenziali e morali posti dalla vita agricola, bensì ha semplicemente cambiato i suoi problemi, interessandosi principalmente a quelli che egli era in grado di risolvere, misurando la propria capacità nella misura in cui era capace di risolverli. La logica dello sviluppo economico moderno non è quella di cercare prodotti per i bisogni dell'uomo, ma quella di cercare bisogni umani per i propri prodotti. “In verità, si può mostrare”, scrive Morison, “che il moderno opulento consumatore è, in certo senso, vittima di desideri sintetici che sono creati, piuttosto che soddisfatti, dall'incremento di produzione”. L'insieme di questi desideri provocati e alimentati dalla produzione compone la fisionomia dell'uomo moderno, un essere altamente “razionale” perché desideroso proprio di quelle cose cui può razionalmente accedere.

Ogni nuova civiltà finisce col creare o scegliere i desideri umani, conferendo ad alcuni di essi una dignità superiore. Nella civiltà industriale avanzata non si è coscienti che questa creazione porta alla fondazione dell'uomo, e non ci si preoccupa di che cosa quest'uomo si avvii ad essere. L'uomo è considerato come una realtà biologica già data, da esaminare e analizzare così come si compie un'analisi biologica o un'indagine di mercato.

La dinamica dei processi economici offre all'uomo non solo il modo di soddisfare i suoi bisogni, ma anche teorie sull'esistenza, analogie e sintesi mentali sostitutive di quelle della civiltà agricola: essa ci fornisce la logica del profitto e dello sfruttamento, della domanda e dell'offerta, l'analogia vita-macchina, l 'equiparazione tempo-denaro, l'ideologia del successo e tutto un insieme di modelli mentali, di cui il più significativo è quello del progresso.

La critica che in sintesi si può rivolgere al progressismo è quella di aver adottato per l'uomo e per la società delle finalità accessorie, per la sola ragione di avere a disposizione i mezzi tecnici per realizzarle, e di avere - più o meno consapevolmente - individuato la vera fisionomia dell'uomo nella propensione a perseguire queste finalità. In pochi decenni l'uomo si trova in crisi proprio di fronte alle motivazioni di fondo, alle ragioni della vita sociale e della sua personale esistenza.

Fonte: tratto da "Il crepuscolo dello scientismo" di G.Sermonti (Rusconi editore)

La magia della democrazia

Nel tempo delle "opposizioni" ambigue, dei piedi in due staffe, delle genuflessioni ai dogmi della " sacra scienza" prima di esprimere un pallido dubbio o formulare un timido quesito, del vorrei ma non posso e della fedeltà giurata a mamma Europa, il vero ed il falso si mescolano in un unicum inscindibile che consente di dire tutto ed il suo contrario con una facilità disarmante.

Il modus operandi, ben collaudato, consiste nella "moderazione" degli aspetti più estremi della politica di governo, senza proporre, de facto, nessuna alternativa reale ad essa. Tutto ciò comporta due vantaggi: il primo è quello di raccogliere i voti di protesta, fungendo così da gabbia per il dissenso, il secondo è quello di poter comodamente fare marcia indietro su ciò che si è in precedenza affermato, data la vaghezza delle argomentazioni proposte, riconducendo tutto nell'alveo di politiche già tracciate da precedenti esecutivi ed in agende internazionali, senza apparire incoerenti od essere etichettati come traditori. È questa la magia della "democrazia": un giuoco di prestigio atto a distrarre, mistificare, mascherare, convincere di partecipare, messo in atto per porre in essere un non cambiamento, una vera e propria continuità che si cristallizzi inevitabilmente nell'ordine vigente, senza possibilità materiale di ribaltare realmente il corso, già scritto, degli eventi. Tutto il resto, è pura illusione.

"Governare è far credere" ( N. Machiavelli )




Distruzione - G.Bernanos

Febbraio 1947, Georges Bernanos nell’aula magna della Sorbona tiene una conferenza chiamata “Lo spirito europeo e il mondo delle macchine”.

Un passaggio profetico:

“Accettare questo mondo significa accettare di essere oggetto passivo di una terribile, irreversibile esperienza, e io vi ho già detto abbastanza che cos’è questa esperienza, di cui niente, assolutamente niente può farci prevedere la fine, perché fino ad oggi ha portato a catastrofi sempre più terribili.

Alcuni tra voi vanno certamente ripetendo che, la macchina li libera. Li libera provvisoriamente, in una maniera, in una sola maniera, ma che colpisce l’immaginazione: li libera in certo modo dal tempo, fa «guadagnare tempo». Questo è tutto. Guadagnare tempo non è sempre un vantaggio. Quando si va al patibolo, per esempio, è preferibile andarci a piedi.

Il possesso individuale di alcune macchine il cui uso appartiene soltanto a voi, che servono soltanto a voi, può anch’esso farvi illudere, ma queste macchine dipendono già, dipenderanno sicuramente sempre più dalla macchina totalitaria e concentrazionaria, posta nelle mani dei tecnici dello Stato. Voi potete possedere in casa vostra mille apparecchi elettrici per l’illuminazione, uno più ingegnoso e anche più costoso dell’altro. Se la centrale vi rifiuta la corrente, restate al buio, e se la centrale ha anche proibito la vendita delle candele, perché ha bisogno di sego, non avete da far altro che andare a letto senza luce. Domani potrà anche rifiutarvi il calore..

Avete letto sui giornali che un po’ dappertutto si costruiscono impianti per la disintegrazione atomica sul modello delle prodigiose centrali americane, e nonostante questo, dormite tranquilli come se niente fosse. C’è da sbalordire, permettete che ve lo dica... Credete che coloro che controlleranno quelle colossali risorse d’energia non ne abuseranno mai contro nessuno? Tanto meglio per voi. D'altronde, nel caso di abuso di potere potrete sempre, in quel momento, rivolgervi al commissariato del vostro quartiere. Noi siamo già davanti a questo mondo, siamo sulla sua soglia; la porta non si è ancora chiusa dietro di noi. Voglio dire che esso farà facilmente a meno della nostra accettazione, però teme il nostro rifiuto. Non ci chiede di amarlo, non chiede l’amore, chiede solo di essere subito. Nella pretesa di asservire le forze della natura, attende che ci sottomettiamo a lui, al suo determinismo tecnico, come ci sottomettiamo alla natura stessa, al determinismo delle cose, al freddo, al caldo, alla pioggia, ai terremoti e agli uragani. Ha paura del nostro giudizio e della nostra ragione. Non vuole essere discusso. Sostiene di saper meglio di noi chi siamo, ci impone la sua concezione dell’uomo. Ci invita a produrre, a produrre ciecamente, a qualunque costo, proprio mentre ci ha dimostrato in una maniera spaventosa la sua capacità di distruggere. Ci ingiunge, ci comanda, ci incita a produrre, per non darci il tempo di riflettere. Vuole che teniamo lo sguardo fisso sul lavoro affinché non lo leviamo su di lui. Perché, come tutti i mostri, ha paura della fissità dello sguardo umano.”




Il ghigno dell'Europa

Dormienti nel dogmatico sonno dell'Europa a qualsiasi prezzo, in molti continuano, incuranti, a brancolare nel buio di una cecità assoluta e volontaria. Eppure, mai come oggi, sarebbe il caso di stropicciarsi gli occhi con vigore, scrostandosi dalle ciglia le secrezioni che li tengono incollati, aprendoli una volta per tutte dinnanzi ad una realtà che dovrebbe apparire ora nitida anche ai più fedeli al culto del "whatever it takes". 

In questi mesi di guerra "ufficiale" abbiamo prestato l'orecchio a bestialità d'ogni sorta. Parole come libertà, democrazia, valori occidentali, pace, sono oramai svuotate d'ogni significato e ronzano, come uno sciame d'api, nell'aria viziata di un clima che si fa sempre più rovente, nell' evolversi drammatico d'una situazione che appare oramai compromessa a causa delle scelte volutamente scellerate dei padroni del vapore. La fantomatica "unione", de facto, getta finalmente la maschera. Colato il cerone che mal celava loschi interessi e vili propositi, ora vediamo la verità nuda, cristallina, scevra da ogni sovrastruttura e mistificazione.

L'Europa capeggiata dagli squali dell'alta finanza, della moneta unica come metodo di schiavitù e governo, dei banchieri, della distruzione sistematica delle nazioni designate, dello spread, dell'immigrazione scellerata, delle sanzioni, della direttiva Bolkestein e della speculazione indiscriminata, serva delle multinazionali, dello Zio Sam e delle sue smaniose velleità di dominio economico e politico, mostra a tutti il suo ghigno, i suoi denti aguzzi macchiati del nostro sangue. Così, come avvenne per la "pandemia", quando soggetti senza scrupoli scommettevano senza remore nel mercato del capitale di rischio sulla nostra salute, anche oggi i medesimi riempiono le loro tasche cavalcando la crisi energetica, senza che venga messo un freno, mentre milioni di famiglie faticano ad arrivare a fine mese ed innumerevoli imprese rischiano di chiudere i battenti per sempre. Ma per carità, si continui pure a sbraitare, nel bel mezzo della tempesta perfetta, contro i sovranisti, i fascisti, e chiunque metta in dubbio la narrazione dominante, bellica o pandemica che sia. D'altronde ce lo avevano detto senza mezzi termini: il sistema va preservato, "ad ogni costo". Ora, senza dubbio alcuno, abbiamo la certezza di chi pagherà questo costo, a rimetterci l'osso del collo saranno sempre gli stessi.




Non avrai nulla e sarai felice

Il monopattino elettrico sbanda sulla strada deserta, innaffiata dalla pioggia, lasciando una scia profonda, che pare quasi un solco, sull'asfalto bagnato e scivoloso. I lampioni, quei pochi rimasti accesi, emanano una luce fioca, intermittente, quasi fossero grandi occhi che si aprono e richiudono in un ritmico ed isterico battito di ciglia. Tutto è irreale, spettrale, ovattato. Fa freddo, il silenzio è assordante. Sono le ventuno. Lasci il mezzo sotto casa, non vedi l'ora di rientrare fra le mura domestiche. Il lavoro in azienda è stato stressante, la giornata molto dura, i tuoi capi pretenziosi. Appena varchi l'uscio del tuo appartamento in affitto calmierato statale, tuo figlio ti corre incontro, sgranocchiando, con voracità, una barretta alla farina di grilli.

"Com'è andata la dad amore?", gli domandi premuroso, "e la lezione di storia nel metaverso?". " Tutto ok papà, come al solito benissimo! Ho anche preso 8 all'interrogazione a distanza!!". "Bravo tesoro, sei il mio orgoglio", gli rispondi felice, con il sorriso stampato sul volto stanco, arrossato, provato dalla fatica. Saluti tua moglie, entrando in cucina. La pasta, cotta a "fuoco spento", sta quasi per essere messa in tavola. " Tesoro, una doccia tiepida ed arrivo". Tua moglie ti guarda amorevolmente, " Va bene caro, stasera è il mio turno di farla fredda...certo con questo gelo..". "Perché, quanti gradi ci sono in casa?", "16 ovviamente, come prevede il decreto green austerity". Entri nel bagno, simile oramai ad una cella frigorifera. Il riscaldamento è spento dalle sette. Ti spogli, ti lavi in due minuti, ti radi con l'acqua fredda, ti asciughi, ti rivesti velocemente indossando un pesante maglione di lana. "Amore è pronto in tavola!", le parole della tua consorte risuonano, celestiali, dalla piccola cucina attigua. "Arrivo!", rispondi entusiasta, non vedi l'ora di sederti, rilassarti e goderti la cena. In fondo te lo sei meritato, hai lavorato duro, hai dato il massimo tutta la settimana. Gli spaghetti, incollati nel piatto, sono proprio come piacciono a te. Li divori, incensando la tua metà per l'ottima portata. In fondo non aveva torto quel premio Nobel, anni fa, agli albori della crisi energetica: anche cotta così è ottima, ed in più si risparmiano risorse fondamentali per il pianeta e l'economia. Finito di desinare assieme alla tua famiglia, finalmente puoi sederti sul divano. Affondi tra i cuscini infreddolito, ma beato, con la coscienza pulita per aver fatto il tuo dovere. Tua moglie e tuo figlio ti raggiungono. Vi stringete, tutti e tre, sotto il piumone, guardando sulla piattaforma a pagamento la vostra serie TV preferita. "Amore sai pensavo ad una cosa..", tua moglie ti mormora dolcemente nell' orecchio, " sono veramente felice, rispettiamo l'ambiente, viviamo in libertà, non ci manca proprio nulla!". "Sì, hai proprio ragione", rispondi assonnato. Mentre le tue palpebre diventano sempre più pesanti e la testa ti si sta reclinando lentamente all'indietro, incroci lo sguardo di tuo figlio. Le immagini della tele riflettono sui suoi occhiali spessi, formando quasi un caleidoscopio, che illumina il salottino buio. "Che generazione meravigliosa che siete", cogiti tra te e te, "verde, ubbidiente, colta, sorridente, che vive nell'epoca d'oro del progresso, della scienza, dei diritti, della democrazia". "Tesoro", la voce soave di tua moglie ti desta dal dormiveglia strappandoti, per un attimo, dalle braccia di Morfeo, "ricordati che la settimana prossima ti scade il pass vaccinale, devi effettuare il richiamo". "Certo", rispondi sbadigliando, "altrimenti non potrò entrare al lavoro". Mentre stai di nuovo per addormentarti, tra il brusio della TV e la coperta calda, un sorriso, appena accennato, affiora sulle tue labbra, oramai semi aperte e pronte al meritato riposo. "Avevano proprio ragione", pensi, "proprio ragione...non si sbagliavano di una virgola: non possederai nulla e sarai felice".



Et ventis adversis

Come fu per il green pass, a cui gran parte della controinformazione e dei partiti della finta opposizione contestavano l'inutilità nel contrastare la diffusione del "contagio" e l'illogicità nell'applicazione pratica, così, anche per le sanzioni, lo schema ricalcato appare il medesimo. Già, perché se il lasciapassare di Stato ha assolto perfettamente alla sua funzione cristallizzandosi nel nostro ordinamento ed evolvendosi, de facto, in strumento giuridico atipico, elastico, mai soppresso e sempre utilizzabile in caso di necessità, anche le "sanzioni" inflitte alla Russia hanno centrato in pieno l'obiettivo per cui sono state poste in essere. Creare una crisi che rimodelli il sistema vigente ed introduca nuovi paradigmi economici, seguendo il solco tracciato durante la "pandemia", riplasmare l'assetto geopolitico dell'Europa ripristinando una sorta di cortina di ferro nei confronti del blocco eurasiatico, scatenare una guerra quasi nel cuore del vecchio continente per fiaccarlo e terrorizzarne i popoli, (sacrificando il popolo ucraino), distruggere ciò che rimane della piccola e media impresa nei paesi manifatturieri (Italia in primis), con costi per l'energia volutamente drogati e conseguenti difficoltà di produzione, consolidare l'egemonia anglo americana sugli stati vassalli, sono obiettivi che possono dirsi in gran parte raggiunti. Analizzare la realtà in compartimenti stagni, non considerando la sincronia degli eventi, il loro rapido susseguirsi e le conseguenze potenzialmente devastanti prodotte, è, spesso, il peccato originale di chi si approccia ad analizzare il tempo in cui viviamo.

Green pass e sanzioni sono un Giano bifronte e di certo stanno centrando gli scopi per cui sono stati creati. L'unica certezza che oggi abbiamo rispetto al futuro che sembra attenderci, è che affronteremo tutto ciò che verrà a schiena dritta, con dignità, con lo sguardo fiero e lo spirito mai domo di chi si è temprato nelle difficoltà enormi di questi anni, consapevoli e non depressi come i padroni del vapore ed i menestrelli del terrore ci vorrebbero. 



"Chiedi alla polvere" di John Fante

Pubblicato nel 1939, " Chiedi alla polvere" di John Fante rappresenta, senza dubbio, il punto più alto della saga di Arturo Bandini, alter ego dell'autore, protagonista della maggior parte dei romanzi dello scrittore italo americano. L'opera, solenne ed al contempo dissacrante, ironica nella sua drammaticità, descrive attraverso una potenza narrativa fuori dal comune, l'umanità "sporca" ed affaticata della Los Angeles ai tempi della grande depressione, dove una marea umana romanticamente anonima si agita, sgomita, suda, fluttua rattoppata in uno strabiliante tripudio di volti, lacrime, delusioni, sogni infranti, vite spezzate, illusioni. Arturo Bandini non è un uomo ammirevole. Contraddittorio, in perenne conflitto interiore, arrogante ed insicuro, muove i suoi passi nella polvere californiana, che sembra penetrare nella sua carne, entrargli nelle meningi, fino ad incollarsi, inevitabilmente, all'anima. Logorroico, ateo "perseguitato" dal cattolicesimo, narcisista, in perenne stallo tra aspirazioni, desideri e paure, Bandini diventa il racconto stesso, saltando fuori dal testo, acquistando forma a sostanza tra le righe magistralmente scritte da Fante, prendendo quasi per mano il lettore,  trascinandolo tra i sobborghi, gli squallidi appartamenti, i locali, le strade malfamate descritte con crudezza e dovizia di particolari, in un acquarello che dipinge a perfezione una natura umana dicotomica, in perenne conflitto tra bene e male, sacro e profano, gioia e dolore. Più che un libro, Fante ci dona, quindi, uno spaccato di vita pulsante, dove il precario equilibrio in cui si muovono i personaggi diviene un universo perfetto nella sua imperfezione, un incastro complesso di sentimenti, dove amore, odio, passioni e tentativi di riscatto si mescolano, toccando le corde dell'anima di chi si avventura tra le sue affascinati pagine. Un testo che odora di vita, agrodolce, "sgangherato", aulico, profondo, sanguinante, che fotografa, impietoso, il lato debole e "miseramente" epico del grande "sogno".

“Questa sì che era vita: girare, fermarsi e poi proseguire, sempre seguendo il nastro bianco che si snodava lungo la costa sinuosa, liberandosi di ogni tensione, una sigaretta dopo l’altra, e cercando invano delle risposte nell’enigmatico cielo del deserto.”




La crisi dell'insegnamento - C.Peguy

La crisi dell’insegnamento non è una crisi dell’insegnamento; non c’è crisi dell’insegnamento; non c’è mai stata crisi dell’insegnamento; le crisi di insegnamento non sono crisi di insegnamento; sono crisi di vita; denunciano, rappresentano crisi di vita e sono crisi di vita esse stesse; sono crisi di vita parziali, eminenti, che annunciano e accusano crisi della vita generale; o, se si vuole, le crisi di vita generali, le crisi di vita sociali si aggravano, si radunano, culminano in crisi dell’insegnamento, che sembrano particolari o parziali, ma che in realtà sono totali, perché rappresentano il tutto della vita sociale; è infatti all’insegnamento che le prove eterne attendono, per così dire, la cambievole umanità; il resto di una società può passare, truccato, mascherato; l’insegnamento non passa; quando una società non può insegnare, non è che manca accidentalmente di un apparato o d’una industria; quando una società non può insegnare, è che questa società non può insegnarsi; è che ha vergogna, è che ha paura lei stessa d’insegnarsi; per ogni umanità, insegnare, in fondo, è insegnarsi; una società che non insegna è una società che non si ama; che non si stima; e questo è precisamente il caso della società moderna.

I parassiti politici parlamentari di ogni lavoro umano, i politici della politica e dell’insegnamento hanno un bel celebrare la scienza e il mondo moderno e la società contemporanea in gozzoviglie cerimoniali; [...]

Come insegnare quando tutto il mondo mente; io so che si mente molto nell’insegnamento; ma ugualmente l’insegnamento ripugna più alla menzogna che le altre operazioni sociali; l’infanzia e la giovinezza hanno, nelle società più danneggiate, una certa forza di innocenza propria che resiste alle invasioni della frode; è per questo che la pedagogia ha meno successo delle altre forme di demagogia; ed è per questo che le malattie sociali venute dalla menzogna appaiono anzitutto sotto forma di sintomi pedagogici.

Le stesse esagerazioni dei nuovi predicatori malcelano una sorda inquietudine; un autentico sapiente che lavora nel suo laboratorio, non scrive Scienza con la S maiuscola; un autentico artista, che lavora nel suo atélier, non scrive Arte con l’A maiuscola; e un vero filosofo, che lavora nella sua testa, non scrive Filosofia; il più delle volte non pronunciano e non scrivono queste parole: scienza, arte, filosofia; si può affermare che usano queste parole il meno possibile e per così dire a difesa del loro corpo; colui che dice Scienza, Arte, Filosofia e Società moderna ai barlumi di illuminazioni civiche è uno che non sa quel che è un laboratorio, un atélier, un pensiero personale, un’umanità; e quando un demagogo scientista pone una S maiuscola a Scienza, non lasciamoci ingannare; è che questa S maiuscola, nei rimorsi della sua tardiva coscienza, fa una sostituzione; sostituisce tutto quello che nello spirito del demagogo, o del pedagogo, è tutt’uno, viene meno alla scienza per esercitare la funzione sociale di mistica laica a essa attribuita dai politici; come se questa mancanza stessa non ci fosse, questa pretesa insufficienza che garantisce la scienza allo sguardo del vero sapiente, come se questa impotenza impolitica della scienza non fosse, agli occhi del sapiente vero, il suo marchio stesso, la causa della sua eminente grandezza, la condizione della sua dignità.

Quando un demagogo pone una S maiuscola a Scienza e quando tenta di costituire un culto rituale della Scienza ricalcato sugli antichi culti religiosi, è che anzitutto non comprende nulla della vera scienza, della sua vera grandezza, e secondariamente che, non comprendendo nulla di questa autentica grandezza, vi mette stupidamente una prolunga; prolunga di grandezza uguale a quella che, nello spirito di un demagogo, può separare una S maiuscola capitale da una s minuscola di cassa.

Trovano che la scienza non è dunque come è, per quel che ne vogliono fare, e poiché sono incapaci di ingrandirla nella realtà, fanno professione di ingrandirla nella tipografia.

Traggo argomento di questo sentimento che hanno di questa insufficienza; e mentre si vuole fare della Società moderna un nuovo Dio, come non riconoscere in questo idolo nuovo delle tare peggiori delle tare degli dèi antichi; come insegnare l’infanzia e la giovinezza quando tutto il mondo mente, quando tutti i grandi personaggi mentono, quando tutti gli Stati Maggiori, di tutti i partiti, mentono, quando tutto il mondo politico parlamentare mente, quando i maestri, che dovrebbero insegnare a non mentire, mentono, quando l’appiattimento delle coscienze appiattisce le coscienze universitarie stesse, quando il favoritismo, il nepotismo, quando l’arrivismo invade il personale universitario stesso, quando i figli, i nipoti, i generi e i cugini di secondo grado dei grandi maestri salgono i gradi della gerarchia a una velocità uniformemente accelerata, quando infine tutti i giovani professori provano simultaneamente lo stesso colpo di fulmine automatico per tutte le ragazze di tutti gli ispettori generali.

Come insegnare l’infanzia e la giovinezza quando tutto quel che non è più bambino e che non è più giovane mente; qualche anno fa, al tempo del mio apprendistato e delle esperienze inevitabili, avrei scritto, come tutti, che il mondo moderno si cerca; oggi, nel disordine delle coscienze, siamo malauguratamente in grado di scrivere che il mondo moderno si è trovato, e che si è trovato malvagio; le conseguenze delle menzogne politiche parlamentari ricadono per sempre sugli autori che sono contabili e responsabili di queste menzogne; ricadono sempre sulla stessa umanità; come insegnare quando tutta la società è marcia di menzogna [...];

Che la scienza, che l’arte, che la filosofia si sbarazzi dei politici, che il socialismo, che il mondo operaio si sbarazzi dei politici, che l’insegnamento si sbarazzi dei politici [...]: a questo punto forse degli uomini che non mentiranno avranno qualche diritto di parlare della giovinezza; e non avendo più questa crisi di vita, forse a questo punto non ci sarà più crisi dell’insegnamento.

Per il rientro a scuola (Pour la rentrée) è un articolo scritto da Péguy in occasione della riapertura delle scuole, l’11 ottobre 1904. Il testo è raccolto da Jean Bastaire nell’antologia Péguy tel qu’on l’ignore (1973).