The Addiction: una catarsi nera

 Sotto le (finte) spoglie di un horror urbano The Addiction cela una riflessione sul Male e sulla dipendenza.

Qui si va oltre l'horror, anzi l'orrore come genere per seguire delle strade tortuose, filosofiche e "vampirizzate".

Questo film maledetto dello stra-maledetto Ferrara è denso di contenuti: la follia della guerra, la critica sociale, la critica all'uomo: la malvagità è insita in esso, i problemi esistenziali, gli aforismi filosofici, la decadenza che preme su tutto il film.

Una fotografia malata, un bianco e nero sporco, la colonna sonora "ghettissima": i Cypress Hill dei tempi d'oro.
Più si va avanti con la visione più ci rendiamo conto che quella che Ferrara racconta non è niente di più che la Storia dell’umanità, delle sue nefandezze, dei suoi vizi, delle sue brutalità.
Ecco che allora il film allarga la sua prospettiva; la pellicola diventa infatti anche una sorta di strumento di autoredenzione, nella speranza (manifesta) di ottenere una catarsi. Catarsi che non è altro che il raggiungimento di una pace eterna, tappa finale di quella “via crucis” che è la vita.
“Addiction” non è un film facile. E’ una pellicola complessa, tortuosa, con più piani di lettura che spesso si sovrappongono. E’ un film di carne (tutto il film è infatti attraversato da un istinto quasi “animalesco e primitivo”) ma anche di mente (per la complessità dei temi trattati).

Il vampirismo visto come tossicodipendenza, dal sangue? Dalla droga? O da qualcosa di più profondo? Tipo le patetiche ambizioni e i desideri umani?
Perché il male inizia a manifestarsi quando in un essere umano nascono le ideologie, le dottrine, le farse cruente, la storia non è che una sfilata di falsi assoluti, una successione di templi innalzati a dei pretesti, l'uomo si affanna a creare simulacri di Dei, la sua capacità di adorazione è responsabile di tutti i suoi crimini, chi ama indebitamente un Dio costringe gli altri ad amarlo, pronto a sterminare gli altri che lo rifiutano. In ogni uomo sonnecchia un profeta, e quando si risveglia, c'è un po’ più di male nel mondo, ognuno attende il suo momento per proporre qualcosa, qualsiasi cosa, ha una voce e tanto basta. Paghiamo caro il fatto di non essere né sordi né ciechi. Quando parlo di Dei, intendo anche i filosofi, soprattutto alla luce del film.

Guardatelo, magari la vostra vita non cambierà, ma di certo inizierete a vedere con occhi diversi cosa è stata la storia, la filosofia, ed a cosa porta in definitiva il pensiero dell'uomo ed il suo indottrinamento (pensiamo un po’ al folle "illuminato" Hegel, così rovinoso per l'umanità intera e la sua salute mentale).



Pitagora e il numero primordiale – B.Hamvas

Si dice che Pitagora fosse un filosofo, il quale insegnava che il numero è l’essenza e il principio di ogni cosa. Ma questa non è che una delle idiozie universalmente diffuse dallo scientismo. Secondo le fonti, non è impossibile che sia stato lui a coniare il termine “filosofo”. Allorché in una certa occasione gli fu chiesto: “Chi sei tu o Pitagora?” si trovò imbarazzato anche lui, come la maggior parte di coloro ai quali viene rivolta questa domanda, e sul momento non seppe cosa rispondere. Chi sei? Che domanda da nulla! Uno sussulta e arrossisce.  A questa domanda tutte le risposte sono  ugualmente inadeguate. Ci sono quelli che si sono comportati in maniera intelligente come lo stesso Pitagora. Sei saggio? – gli chiesero. No, rispose il maestro. Sono soltanto uno che ama la saggezza (filo-sofos).
Questa parola fu pronunciata allora per la prima volta? Per quanto riguarda i numeri, la cosa non è poi cosi semplice. Sappiamo che la tradizione primordiale, custodita dall’India, dall’Iran, dall’antico ebraismo, dall’Egitto e dall’orfismo, aveva uno stretto rapporto con le proporzioni geometriche, con le leggi dell’armonia musicale, con l’armonia dei colori, con le misure etiche e coi numeri. Le manifestazioni di questa proporzione e di questa misura erano, presso ogni popolo del mondo, le danze, gli inni, le poesie, l’astronomia, le leggi politiche. Ciò si esprime nello Yi-king cinese cosi come nel Samkhya indù, nella Kabala giudaica, nel Thot egizio e nell’Orfeo greco.
Pitagora dice che il numero rappresenta il limite tra il mondo visibile e quello invisibile. E’ il fondamento delle cose nell’ordine materiale, l’elemento non riconducibile ad un altro, esprimente la forma e la qualità del nostro essere (systasis  te kai genesis ton panton). Ma questo fondamento e questo elemento si rapportano e rinviano al mondo soprasensibile, al mondo delle idee pure. Il numero è la chiave con cui lo spirito tocca e comprende la natura materiale e con cui la natura tocca e comprende lo spirito. Il numero è la cosa di ogni cosa esistente (arithmoi de te pant’epoiken).
E’ indubitabile che i numeri,  come regolano l’orbita dei pianeti nel cielo, cosi regolano il cielo degli uomini sulla terra. Ad ogni corpo, forma, figura corrisponde, in ultima istanza, un qualche rapporto numerico.
Pitagora indagò i rapporti numerici che appaiono nel mondo visibile. Fece diverse scoperte che stanno sul confine immediato della matematica e della geometria.
I colori, dice Goethe, sono azioni e tribolazioni della luce (Leiden und Taten des Lichts).  La tradizione ebraica insegna che il mondo è stato creato secondo numero, peso e misura. In tal senso, tutto quanto il mondo visibile non esiste se non nelle tribolazioni e nelle azioni dei numeri. Ogni cosa ha un valore numerico definibile mediante un certo peso, misura, proporzione, colore, forma. Ma anche ogni essere ha un tale valore numerico. Bisogna trovare la legge universale dell’ordine dei numeri. Chi ha decifrato questo segreto, ha decifrato il segreto del dominio cosmico. Ha in mano l’eterno principio dell’ordine perfetto.
Da quel poco che si è detto, risulta ormai chiaro che per Pitagora il numero ha un significato diverso da quello che ha nella scienza naturale. Non solo è diverso il comportamento dell’uomo nel riguardi del numero, ma è diverso il numero stesso. Diversamente dal numero astratto di oggi, quello di Pitagora è il numero ieratico e  la più stretta analogia del numero è la divinità. L’archetipo dell’Uno è la totalità (eidos panton), Zeus; secondo altre formule è Apollo (Iperone), il figlio dell’altezza, Helios, il sole, la causa prima, l’intelletto (Nous) , la parola creatrice (logos spermatikos). Il due è numero della donna: Luna, Artemide, in altri termini Hera. Pitagora capì il numero primordiale, che oggi viene oscuramente percepito solo  da artisti eccezionali e da ancor più eccezionali pensatori, allorché in un fenomeno, in un edificio, in una statua,  in una danza essi avvertono l’ordine - inaccessibile alla ragione – della proporzione, della misura e del ritmo e nei fenomeni del destino riconoscono quell’armonia che può essere definita soltanto col numero. Tutti sanno che tra la grande creazione artistica, il fenomeno naturale, un bel paesaggio, una tempesta, un terremoto, il destino personale e l’evento storico esiste una sintonia. Tra i fenomeni cosmici e quelli terreni c’è corrispondenza. Questa corrispondenza può essere accostata solo dal numero. La formula numerica è una delle più incandescenti concettualizzazioni dei fatti cosmici. L’uomo di oggi, quando sente dire che i pitagorici elevarono un inno al numero, ne prende atto con bonario disprezzo. Ma il fisico e il musicista capiscono molto bene che questo inno è cantato anche dall’ingegnere, allorché costruisce il ponte, così come è cantato dagli astri, allorché percorrono la loro orbita. Il mondo è matematica realizzata. L’archetipo delle cose è il numero, dice Orfeo; arithmoi de te pant ‘epoiken. Tutto ciò che l’uomo ode e vede, vive e pensa, fa e subisce, non è altro che l’eroica azione e tribolazione del numero, in proporzione e in ritmo, in accordo, misura temporale e spazio.

Fonte: “Prima di Socrate”, B.Hamvas (Ed. All’Insegna Del Veltro)




La tradizione – Luc Benoist

Bisogna comprendere bene il significato del concetto di tradizione, generalmente negato, snaturato o misconosciuto. Non si tratta di colore locale, di costumi popolari o di abitudini curiose collezionate dal folclore, ma dell’origine stessa delle cose. La tradizione è la trasmissione di un insieme di mezzi consacrati che facilitano la presa di coscienza di principi immanenti d’ordine universale. L’uomo non si dato da solo le proprie ragioni di vita: l’idea più vicina, la più capace d’evocare ciò che il termine significa, potrebbe essere quella di una filiazione spirituale da maestro a discepolo, di un’influenza formatrice analoga. alla vocazione o all’ispirazione, consustanziale allo spirito quanto l’ereditarietà lo è al corpo. Si tratta qui di una conoscenza interiore, coesistente con la vita, di una co-esistenza, e allo stesso tempo cli una coscienza superiore riconosciuta come tale, di una coscienza, a tal punto inseparabile dalla persona da nascere con essa e costituire la sua ragion d’essere. Da questo punto di vista l’essere è interamente ciò che trasmette, esiste grazie a ciò che trasmette e nella misura in cui lo trasmette. Indipendenza e individualità appaiono realtà relative che testimoniano un allontanamento progressivo e una decadenza continua a partire da uno “stato estensivo” di saggezza originale, perfettamente compatibile con un’economia arcaica.

Questo stato originale può essere rappresentato attraverso il concetto di centro primordiale di cui il Paradiso Terrestre della tradizione ebraica costituisce uno dei simboli, restando inteso che quello stato, quella tradizione e quel centro costituiscono tre espressioni della stessa realtà. Grazie a tale tradizione anteriore alla storia, la conoscenza dei principi è stata, dall’origine, un bene comune dell’umanità ed è sbocciata in seguito nelle forme più alte e più perfette delle teologie del periodo storico. Ma una decadenza naturale, che ha generato specializzazione e oscuramento, ha scavato uno iato crescente tra il messaggio, coloro che lo trasmettevano e coloro che lo ricevevano. Una spiegazione divenne sempre più necessaria, apparve una polarità tra l’aspetto esteriore, rituale e letterale e il senso originale, divenuto interiore, cioè oscuro e incompreso. In Occidente l’aspetto esteriore prese, in generale, una forma religiosa. Destinata alla folla dei fedeli, la dottrina si è scissa in tre elementi: un dogma per l’intelligenza, una morale per l’anima e riti per il corpo. Durante questo processo, e all’opposto, il senso profondo divenuto esoterico si riassorbiva sempre più in aspetti così oscuri che si dovette ricorrere agli esempi paralleli delle spiritualità orientali per riconoscere la loro coerenza e la loro validità.

L’oscuramento progressivo dell’idea di tradizione ci ha impedito a lungo di comprendere il vero volto delle civiltà antiche, orientali e occidentali, e nello stesso tempo ha impedito il ritorno al punto di vista sintetico che era loro proprio. Solo la prospettiva dei principi permette di comprendere tutto senza sopprimere nulla, di fare a meno di un nuovo lessico, di aiutare la memoria e di facilitare l’inventiva, di stabilire legami tra discipline apparentemente lontanissime, riservando a chi si pone in questo centro privilegiato l’inesauribile ricchezza delle sue possibilità, e tutto ciò grazie al simbolismo.

Fonte: tratto da “L’esoterismo” di Luc Benoist (Luni editrice)



Etichette

Viviamo nell’epoca delle etichette, siamo in tempi in cui ogni cosa ha già il suo riferimento pronto e confezionato.

Pensi che Israele sia uno stato che negli anni ha violato norme e compiuto massacri di innocenti? Sei un antisemita.

Credi che uomo e donna siano complementari biologicamente? Che non a caso possiedano una morfologia genitale propria (recettiva per la donna, penetrativa per l’uomo)? Che grazie a questa diversità sia possibile procreare nuove forme di vita? Che la complementarietà dell’uomo e la donna, su tutti i livelli, sia indispensabile per crescere un figlio? Sei un omofobo pericoloso.

Pensi che il femminismo e la fantomatica “donna liberata” abbiano danneggiato la donna? Sei un maschilista.

Credi che nel mondo ci siano esseri umani con caratteristiche differenti? Hai una visione differenziatrice della natura umana? Sei un razzista.

Credi che l’uomo non sia uno scimmiotto evoluto, che la teoria di Darwin sia inverosimile? Sei un creazionista fantasioso.

Pensi che l’alfabetizzazione e la cultura siano due cose completamente differenti? Sei un analfabeta funzionale.

Credi che dietro le quinte delle grandi guerre e della storia in generale ci siano scenari occulti? Che i retroscena non siano presenti nei libri di scuola? Che la storia sia scritta sempre dai vincitori e non dai vinti? Sei un revisionista paranoico.

Pensi che la democrazia sia in realtà un’oligarchia mascherata? Hai dei dubbi in merito al fatto che la democrazia sia il miglior sistema che ci sia? Sei un fascista.

Hai dei dubbi sull’entrata improvvisa in politica di Monti, uomo della Trilateral, dell’Aspen Institute e della Goldman Sachs? Pensi possa star facendo gli interessi di privati? Sei un complottista e magari credi anche ai rettiliani.

Pensi che l’economia debba essere in funzione dell’ uomo e non viceversa? Che la finanza non debba assoggettare l’economia reale? Sei un’ idealista ignorante.

Sei convinto che ci sia un buco giuridico nella creazione della moneta, che sia strano che la BCE sia una banca privata? Sei un signoraggista che si informa sul web.

Pensi che il concetto di lavoro come diritto, innalzato a religione sia sintomo di decadenza? Sei un fannullone.

Credi esista una dimensione non manifesta e sovratemporale? Sei un visionario.

Studi le religioni e il sacro? Le religioni sono l’oppio dei popoli. Sei un bigotto.

Credi che l’unico risultato della seconda guerra mondiale sia stato il ridurre l’Europa ad oggetto di potenze e di interessi extraeuropei? Sei fascista e antisemita.

Questi sono solamente alcuni esempi di etichette che vengono affibbiate appena ci si avvicina ad alcune tematiche.

Spinti in questa direzione da una naturale azione imperitura e sovratemporale, progressisti, economisti, analisti, sociologi, psicologi e tutti i disgraziati figli del progresso, sono così sempre in agguato con la pretesa che la loro deviazione, la loro retorica, il loro scientismo dogmatico, diventi regola.




 


Sri Aurobindo e il lavaggio dei cervelli - R.Coomaraswamy

Sri Aurobindo Ghosh spesso chiamato il Teilhard De Chardin dell'induismo, le cui innovazioni più importante in occidente sono state l'Istituto Eselin e nella Chiesa Cattolica le esposizioni di Bede Griffiths.
Nacque a Calcutta il 15 di Agosto di 1872. Suo padre, un medico che studiò in Inghilterra, era completamente innamorato delle forme occidentali. All'età di 7 anni inviò a suo figlio in Inghilterra, dove entrò nella Scuola San Paolo di Londra, dove si distinse nei suoi studi, ottenendo eccellenti qualificazioni in varie lingue. All'età di 21 anni girò l'India e si trasformò in professore di francese nella Scuola Universitaria di Baroda. Quindi in 1905 ritornò nel Bengala e si mise nel movimento nazionalista. Nel 1908 fu imprigionato accusato di sedizione, e lì cominciò a studiare la Bhagavad Gita. Proclamò di aver avuto, in prigione una visione di Sri Krishna che gli sconvolse l'esistenza. Uscendo dalla prigione si mise in politica e fondò il Partito Nazionalista di Bengala. Nel Gennaio 1910 fu segretamente avvisato che stava per essere deportato, cosicché si ritirò da Calcutta al territorio francese vicino a Chandernagor. Da qui andò via a Pondicherry dove incominciò a praticare la sadhana dello Yoga. Qui rimase fino alla morte nel 1950. E vi sarete resi conto che in nessun momento ebbe un guru.
I quattro seguenti anni li passò nel suo ritiro contemplativo. Un sadhu che vive tranquillamente tende ad attrarre la gente, e nel corso del tempo riunì alcuni discepoli, incluso un compagno francese di nome di Richards che andava alla ricerca di un "Maestro in cui riconoscere un maestro mondiale." Con la sua assistenza cominciarono a scrivere un diario inglese "Arya" ed un altro francese chiamato "Revue de Grande Synthese". Sulle pagine di "Arya" c’erano molti scritti filosofici, poetici, di critica artistica e testimonianze della Cultura Indiana che portarono ad Aurobindo riconoscimento e fama.
La 1ª Guerra Mondiale obbligò i Richards a tornare in Francia, dopo la Guerra la signora Richards, avendo divorziato di suo marito, lavorò per un po’ tempo come hostess di un club in questo paese, e più tardi girò come "Mé-re" per incarico dell'ashram. Figlia di un ricco banchiere ebreo, ella fu capace di dedicare se stessa ed i suoi beni a questo uomo che proclamava di essere un "profeta" già nel 1914. Ella morì nel 1973 all’età di 96 anni.
Aurobindo ricevette l'illuminazione nel Novembre del 1926 o come si dice nella sua letteratura, realizzò in quel momento la "Supermente." "Mediante la discesa del Sovramentale [Overmind] e dell'Ananda [la beatitudine ed estasi divina]" è assicurata la salita della Supermente. Sri Aurobindo smise di vedere gente e per contattare con lui bisognava farlo solamente attraverso ‘Mére'."
Aurobindo concepiva la Realtà Suprema come Sat-Chit-Ananda. Tale dichiarazione potrebbe essere legittima benché in realtà, Sat-Chit-Ananda, o l'Essere cosciente o la Buonaventura sono solo manifestazioni primordiali della Realtà Suprema. Sia come sia, Aurobindo continua dicendoci che la Realtà Suprema è Pura Esistenza, Esis-tenza che è tanto Volontà come Forza, e soprattutto, è una Esistenza di Buona Ventura. Il Divino non è solamente onnipresente, include anche materia e spirito. Mentre ancora faceva credere che il suo sistema rientrasse nei canoni del Vedanta, introduceva la teoria dell'evoluzione nella sua filosofia: l'uomo arriva all'attuale tappa evolu-tiva attraverso un processo di crescita che è ancora incompleto. L'uomo cresce in consapevolezza fino a raggiun-gere la perfetta e completa consapevolezza, non solo nella sua individualità, ma anche nella sua vita collettiva e sociale. È, nel cuore delle cose una ‘Forza-cosciente ' che si sta evolvendo verso forme sempre superiori di essere, ed inoltre, c'è anche un'evoluzione del Divino. In realtà, la crescita della consapevolezza è il segreto supremo della vita e la chiave maestra dell'evoluzione terrestre.
Corrispondendo la salita di ciò che è materiale a ciò che è spirituale e, viceversa, la discesa di ciò che è spirituale a ciò che è materiale. Il legame tra il processo di salita e discesa è dove la Mente e la Supermente si uniscono con un velo tra di loro. La rottura di questo velo che è maya secondo il suo punto di vista, è la condizione necessaria della "Vita Divina" nell'umanità. L'evoluzione fisica ha portato l'umanità da forme basse di esistenza alla fa-se attuale di sviluppo, ma siamo molto vicini a fasi di evoluzione ancora maggiori. Nelle prossime fasi, l'uomo emergerà come un "essere gnostico." Questo è il nostro destino divino. "L'essere gnostico avrà un'esistenza interna nella quale sarà solo con Dio, con ciò che è Eterno, sommerso nelle profondità dell'Infinito, in comunione con la sua altezza ed i suoi luminosi abissi segreti." Ultimamente Aurobindo considerò l'emergenza di una nuova umanità oltre la fase attuale dell'evoluzione umana: "Al principio solo pochi riusciranno ad essere esseri gnostici… gradualmente il numero aumenterà e si formeranno piccole isolette di comunità gnostiche. Da queste deriverà una Forza di consapevolezza, che eserciterà un'influenza tanto poderosa sul resto dell’umanità che questa potrà entrare nel destino che l'aspetta nell'eternità." Questa è la ‘Vita Divina', Guru, Swami ed Avatara di Marvin Henry, Harper.
Evidentemente Aurobindo non voleva stabilire una nuova religione evoluzionista. Con le sue proprie parole ci disse che "tutte le religioni hanno salvato un numero di anime, ma nessuna è stata ancora capace di spiritualizzare l'umanità. Per questo non c’è bisogno né culto né di un credo, m di uno sforzo continuo e comprensivo della proprio evoluzione."
Il suo ammiratore e seguace, il Dr. Shiv Dai, ci dice che "l'oggetto della sua missione era annunciare una nuova era spirituale come la prossima grande tappa dell'evoluzione umana. Questo è il destino inviolabile ed il futuro dell'umanità. Sri Aurobindo suonò la tromba, per così dire, che annunciava la Nuova Era …" Questo si ottiene tanto "individualmente quanto collettivamente" per mezzo di "una tripla trasformazione, v. gr., trasformazione psichica, spirituale e sopramentale." Il risultato finale sarà la creazione di una nuova "religione spirituale" che sia la "speranza" dell'umanità, una religione che differirà "dalle religioni predominanti delle credenze intellettuali, dogmi e strani riti e rituali che dovranno essere scartati nell'Ordine del Nuovo Mondo", The Vedic Path - la stra-da vedica -, vol. LIII, Giugno di 1990.
Alcune di queste idee estranee sono spiegate da Mére4: "Sri Aurobindo è un'emanazione del Supremo venuto sulla terra ad annunciare la manifestazione di una nuova razza e del nuovo mondo, del Sopramentale … L'uomo è la creazione di ieri. Sri Aurobindo è venuto ad annunciare la creazione del domani: la venuta dell'essere So-pramentale … Sri Aurobindo è il futuro verso la sua attuazione … i Suoi insegnamenti ci portano ad una futuro migliore. Lo Yoga di Sri Aurobindo è una trasformazione terrena unica …”

Aurobindo, benché vivesse come un recluso, era intensamente interessato ai temi del mondo. Descrisse apertamente sé stesso come un marxista. Riceveva una gran quantità di diari e giornali internazionali e quando non riuscì più a leggerli, se li faceva leggere. Si fece installare una radio e passava varie ore al giorno ascoltando le notizie del mondo. Tutto questo era parte del suo "lavoro", il quale consisteva nell’avere influenza sui problemi mondiali attraverso i suoi poteri spirituali. Così durante la 2ª Guerra Mondiale proclamò avere ostacolato Hitler nel procedere all'invasione di Inghilterra dopo la caduta di Dunquerke, dopo causò la vittoria dell'Inghilterra per mezzo di Churchill a chi ammirava molto, e chi era il suo "strumento." Usando le sue stesse parole: la "mia forza  si sta molto adoperando per aiutare il retto sviluppo della guerra e per cambiare il mondo umano." Questa forza sta ancora, secondo i suoi seguaci, lavorando in modo effettivo nel mondo.
Anche il desiderio di Aurobindo di un'unità mondiale ha il suo equivalente secolare. Citandolo direttamente: "l'unità della razza umana mediante mezzi politici ed amministrativi implica eventualmente la formazione e l'or-ganizzazione di un unico stato mondiale a partire dalla nuova creata benché ancora poco, unità naturale organi-ca dell'umanità … Per questa ragione due possibili alternative, e pertanto, due idee si presentano: un stato mondiale motivato sul principio di centralizzazione ed uniformità, un'unità formale e meccanica, o una Unione Mondiale basata nel principio di libertà e variazione in un'unità libera ed intelligente."
Molto interessante, dopo la sua morte, il suo corpo non fu cremato. Si pretese che il suo corpo non si scomponesse. Fu messo in una tomba di marmo nell'ashram di Pondicherry. Secondo ‘la Madre ', quando ella gli chiese di resuscitare disse: "ho lasciato questo corpo a proposito. Non me lo porterò. Mi manifesterò un'altra volta nel primo corpo Sopramentale formato di maniera Sopramentale". La tomba di marmo è l'unico posto di culto nell'Ashram, cioè, se può richiamare culto a mettere un fiore nel monumento inginocchiandosi brevemente. La gente, d'altra parte, si riunisce solamente di pomeriggio nel campo di calcio i giovedì e domeniche per 15 minuti per meditare in silenzio, ma perfino questo atto collettivo non è altro che una parte di un'esibizione callistenica a cui giovani e vecchi prendono parte. In realtà, a nessun gruppo è permesso di stabilire un luogo di culto o realizzare cerimonie religiose. La religione è un "tema privato" e pertanto nessuna forma determinata può essere imposta a chiunque. Si dice che questo sta in armonia con lo spirito universale di Aurobindo.
Orbene, l'espansione di queste comunità gnostiche basate nelle idee di Aurobindo, hanno ricevuto un notevole aiuto da molte organizzazioni, tra le altre le Nazioni Unite. Procurando fondi perchè l'architetto francese Roger Anger potesse costruire la prima città, Auroville, "un città modello per tutto il pianeta", dove è fomentata l'uto-pico culto “dell’Unica Fratellanza Mondiale” il cui proposito si dice che sia "servire" l'umanità. Le idee qui sviluppate sono stati adottate dallo HEW e dal National Training Labs, (Laboratorio Nazionale di Allenamento) dell'Associazione Nazionale Educativa come da un mucchio di organizzazioni internazionali e nazionali, (Beyond Jone-stown—oltre Jonestown—, Ed. Dieckmann).
Orbene, c'è un vincolo interessante tra Aurobindo e la religione della New Age. Michael Murphy, il fondatore dell'Istituto Esalen, ebbe la sua ispirazione da Aurobindo o da ‘Mére - in realtà visse nell'Ashram di Pondicherry tra 1948 e 1949. L'Istituto Esalen è uno dei nonni del cosiddetto "allenamento dei dati sensibili" - dove si applica un'autocritica terapia di gruppo senza nessuna direzione, dove ogni pratica è applicata a gente normale - il cui proposito si dice che sia espandere il potenziale umano. Uno dei corsi offerti nell'Istituto Esalen è "L'Evoluzione della Consapevolezza" nella quale si suggerisce che "una trasformazione della coscienza umana è tanto trascen-dente come l'apparizione della civiltà che si sta incamminando." Le tecniche incoraggiate o studiate da questo Istituto includono "musicoterapia", "esperimenti con LSD", e "tecniche" di respirazione olotropica, yoga e uso di mantra , insieme ad intense attività sportive, tutte mirate ad alterare la consapevolezza per attrarre quella coscienza universale, o usando il termine Aurobindo, per contattare con l'evoluta Super-mente. Anche questo Isti-tuto fu voluto dall'ateo Abraham Maslow, o più esattamente, questo in circostanze abbastanza inusuali, questi si unì ad essi nel suo lavoro. Costui era ben conosciuto difensore della "Trascendenza" che significa per lui che una persona può trasformarsi in qualcosa di divino. Egli pensava che tale realizzazione poteva essere rivoluzionaria. “Può cambiare e cambierà il mondo e tutto quello che c'è in lui." Inoltre, dall'inizio l'Istituto Esalen appoggiò un suo proprio "medium" della casa che si chiamava Jenny O'Conner e che riceveva messaggi, mediante la scrittura automatica, da un gruppo di entità nuove, non umane, che vivevano sulla stella Sirio. Questi " spiriti guida ", e ritornerò più tardi al tema degli " spiriti guida ", furono gli ultimi guru di Murphy e della sua banda di aurobin-diani. C'è una varietà di gruppi supplementari, o più precisamente, c'è una varietà di gruppi uniti alla cosiddetta ‘Eupyschain Network'.
Orbene, quello che molta gente non sa è che le tecniche usate da questi gruppi sono essenzialmente tecniche di lavaggio di cervello o di bendaggio della mente. Un gruppo di gente si siede sul pavimento, si abbracciano tra di loro, raccontandosi gli alcuni agli altri le loro esperienze e sentimenti più profondi. Rinchiusi dentro un sistema chiuso, separati delle loro famiglie, spesso per diversi giorni di seguito. A quelli che non accettano la norma del gruppo - spesso il più basso denominatore comune - viene normalmente assegnato un "facilitatore" od aiutante della cui funzione gli altri membri del gruppo non conoscono molto, i riottosi vengono minacciati fino a quando si adattano alla regola comune. Tecniche simili si usano nelle riunioni "corso", "riunioni incontro", "rinnovazioni" ed una varietà di altre "esperienze" presunte cattoliche. Orbene, strettamente parlando, il lavaggio di cervello si sviluppò in gruppi di prigionieri, sotto controllo esterno. Quello che è nuovo è che gli Americani si stanno precipi-tando a milioni ad accettare volontariamente questo tipo di esperienze. Est, Forum, Silva Mind Control, Controllo della mente Silva, Scientology (Scientologia), Synenon, - il suo nome è legione. Le grandi industrie insistono nel far passare, ai loro dirigenti, questo tipo di esperienza. È interessante sapere che i fondamenti di questa tecnica furono sviluppati da Paulov su richiesta di Lenin, e furono applicati per la prima volta nei processi di Stalin. Quando Lenin lesse il risultato dell'investigazione di Paulov in questo campo, gli disse: "tu hai salvato la rivoluzione."
Un ultimo barlume di interesse è Padre Bede Griffiths, il monaco benedettino che vive vicino ad Auroville in India del Sud. Egli vive e vestisti come una sadhu indù, e si presume stia conseguendo un miscuglio di orientalismo e misticismo cattolico. Il suo guru e fonte di ispirazione è Aurobindo. Nel suo ultimo libro: Una nuova visione della "realtà", c'informa che il mondo "è alle porte di una nuove era e di una nuova cultura." L'annuncio ci dice che e-gli è un "portavoce della nuova era e parla a beneficio di questa dal suo ashram cristiano-indù." Egli conclude la sua visione radicale di una nuova società ed una religione universale in cui "i valori essenziali del Cristianesimo saranno conservati in relazione molto viva con le altre tradizioni religiose del mondo." Qui un'altra volta, abbiamo l'esportazione di evoluzionisti e marxisti verso l'India, la sua adozione da un supposto swami, e la sua rein-troduzione in Occidente, sia per mezzo di Murphy con l'Istituto Eselen che per Padre Griffith dentro la Chiesa. 

Fonte: Tratto da  "La dissacrazione dell'induismo occidentale", Rama Coomaraswamy





Hors Satan: un'esperienza cinematografica ai confini del sacro

"Hors Satan" di Bruno Dumont è un'opera cinematografica enigmatica e potente. Girato nelle aspre terre del Pas-de-Calais, il film ci trasporta in un universo dove il divino e il demoniaco si confondono in un'unica, inquietante presenza.

Trattasi di un'esperienza cinematografica che sfida le convenzioni e richiede una totale apertura mentale. "Hors Satan" non è un film che si lascia facilmente classificare: è un'opera che richiede pazienza, attenzione e disponibilità a lasciarsi trasportare in territori inesplorati della spiritualità e dell'umana natura.

Al centro del film si colloca l'ambigua figura del protagonista, un vagabondo che compie atti sia di apparente santità che di brutale violenza. Dumont esplora magistralmente la sottile linea che separa il divino dal demoniaco, suggerendo che forse questa distinzione è più sfumata di quanto la nostra morale vorrebbe farci credere.

Il paesaggio aspro e selvaggio del Nord della Francia diventa un personaggio a sé stante. Le dune, i sentieri sterrati e le vaste distese erbose si trasformano in un tempio naturale dove si manifestano eventi che oscillano tra il miracoloso e l'inquietante.

Il film si distingue per i suoi lunghi silenzi e per un ritmo contemplativo che ricorda le opere di Bresson. Questi momenti di quiete non sono vuoti, ma carichi di tensione e significato, invitando lo spettatore a una profonda riflessione sulla natura del bene e del male.

Dumont affronta il rapporto tra corporalità e spiritualità in modo diretto e talvolta brutale. I corpi dei personaggi diventano veicoli di esperienze che trascendono il piano fisico, suggerendo una connessione viscerale tra la dimensione materiale e quella spirituale dell'esistenza.

"Hors Satan" non è un film che offre risposte facili, ma un'esperienza che solleva domande fondamentali sulla natura del bene e del male, del sacro e del profano, in cui la realtà quotidiana si intreccia con il soprannaturale.




Il post-erotismo di Tsukamoto

Si è discusso molto in passato sul lavoro dei vari Cronenberg e Tsukamoto, sul logos che caratterizza la loro ricerca filmica, un tentativo di vivisezione della carne in rapporto alla macchina ed alla tecnologia, ad un utopica fusione ballardiana tra uomo e macchina a livello biologico, ebbene l'esperienza tenderà sempre più a rimuovere l'immediatezza della dimensione carnale e a valorizzare invece l'insieme delle pratiche e delle operazioni che sembrano realizzare la trascendenza dell'uomo tecnologico rispetto ai processi naturali.

Con Tetsuo "l'uomo macchina" Tsukamoto giocò allo scoperto rispondendo alla provocazione non più tanto utopica di quel videodrome cronemberghiano e spinse totalmente verso quella fusione tra uomo e macchina.

A distanza di tanti anni, nel 2002 firmando l'altro suo capolavoro "A Snake Of June" più che sull'immediatezza carnale, Tsukamoto porta la riflessione semantica a livelli iper-metaforici, risprofondando nella carne solo dopo un lunghissimo viaggio di formazione, secolarizzato, distorto quanto volete, ma sempre ipermediato dalla consapevolezza del reale. Non c'è niente di immediato in questo film: le stesse pulsioni istintive e a-razionali sono metaforizzate in immagini postmoderne.
L'atto sessuale come serie di scatti fotografici, il seno femminile, fecondità rinascita e eterna giovinezza, inquadrato nell'incubo senza fine che si intrufola a poco a poco in uno yakuza movie sconclusionato, scardinandone ogni schema narrativo; l'uomo macchina tetsuiano; il passare di immagine a immagine, di testo in testo, tutto questo è frutto più di una fortissima riflessione su di sé, virata su temi leggermente sfasati rispetto a quelli classici occidentali, per di più sotto forme narrative in parte estranee al destinatario occidentale, ma soprattutto estremizzata come qui da noi non si ha il coraggio di fare.
Non è allora la "purezza", quella che ritroviamo nel cinema giapponese di un Tsukamoto, ma il prototipo di una specie di processo hegeliano dei contenuti istintuali che, dopo essere passato per i due rapporti inferiori, quello "puro" e naif e quello negativo del rigetto dall'altro da sé (che pure fa parte di sé), ormai lo ingloba tutto in se stesso, diventando autoconsapevole e metabolizzandolo fino in fondo all'interno di processi cognitivi del tutto razionali.
Dunque: il relativismo all'eccesso, piuttosto che l'immediatezza. La "sostanza e il sangue" non sono che le estreme conseguenze dei due mondi, quello razionale e quello istintuale, finalmente riconciliati in un film dalla totale spudoratezza estetica, in un bianco e nero con tendenze bluastre costanti per tutta la pellicola, dove sesso e malattia, mutilazioni e mutamenti sono un tutt'uno con un erotismo che gioca con l'inesorabile decadenza del corpo umano, dato che l'uomo di sola carne tsukamotiano è ormai decaduto, parliamo di post-erotismo allora, vissuto dal cyborg-telespettatore che si masturba (il marito nel film), interfacciato dal video (la moglie), immortalata dal terzo elemento fuori campo, ovvero la macchina fotografica.



La metafora del potere di "A Serbian Film"

"Tutta l'intera nazione non è altro che un fottuto asilo. Un mucchio di bambini scaricati dai loro genitori"

A Serbian Film del serbo Spasojevic è un film del 2010 che si spinge a livelli di nefandezze forse mai toccati dalla cinematografia legale. Trattasi di una rappresentazione metaforica della violenza politica e della mercificazione sessuale del corpo umano manipolata dal potere.
La storia tratta di un ex pornostar in declino, sposato e con un figlio piccolo a carico, che trovandosi ridotto quasi sul lastrico, decide di accettare il lavoro propostogli da un regista e tornare così a recitare in un film hard. Il compenso? La sua famiglia non dovrà mai più preoccuparsi di lavorare poichè notevole sarà la somma di denaro offertagli in cambio della prestazione.

Non stiamo parlando di un semplice film thriller/ horror, difatti "A Serbian Film", partendo da un continuo richiamo alla propria nazionalità, unisce sin dai primi istanti pornografia ad allusioni storico/culturali, risultando così difficilmente catalogabile.

Sono essenzialmente quattro le tematiche principali della pellicola di Spasojevic.
In primis, trattasi innanzitutto di un tentativo metacinematografico sullo smarrimento di ogni confine razionale, basato sul meccanismo per il quale il cinema diventa vita, e viceversa. La riflessione sulla settima arte ed il suo rapporto con la realtà intesa non solo come realtà oggettiva, ma come realtà cinematografica, pervade chiaramente tutto il film.
In seconda battuta, il film medita, servendosi di un gore perfettamente funzionale al messaggio, sulla fascinazione dello sguardo, sulla continua ricerca di stimoli visivi per i nostri sensi assopiti, sul bisogno crescente di una realtà artefatta in cui l'aderenza con il reale continua a perdere consistenza.
Si cerca di scovare la derivazione di questa esigenza di "reality show" sempre più corporei, più esasperati, che arrivano a spingersi sino all'esibizione della morte.
In terzo luogo vi è una denuncia ad un paese devastato dalle guerre, che ha ancora nel proprio cuore le ferite del Kossovo, di Vukovar, di Srebrenica, di Zagabria e di Sarajevo.
Una Serbia che nelle sue molteplici difficoltà sembra sposare il nichilismo più totale, negare tutti i valori, spegnere ogni aspirazione e annullarsi completamente.
Si percepisce un senso di costrizione ed oppressione derivante dal vivere in una nazione degradadata sia culturalmente che spiritualmente.
L'ultimo dei 4 punti, infine, è il sesso nella società consumista, in tutta l'atrocità dei suoi dettagli. La sessualità è sin dalla prima inquadratura, ambigua, brutale, mai affettuosa o dolce.
Tutti i personaggi nè sono pregni, il sesso si cela in ogni fotogramma, pronto a manifestarsi in forme sempre deformate.
Viene rappresentato, in linea con la concezione moderna occidentale, come pandemia ossessiva, dando risalto non solamente a quegli impulsi violenti che si manifestano sul piano fisico e che, come in altre epoche, portano ad una esuberante e disinibita vita sessuale e magari al libertinaggio.
Qui il sesso è incarnato soprattutto come un elemento cardine che ha introiettato a sè la sfera psichica, un erotismo divenuto tutto mentale con conseguente eccitazione diffusa e cronica quasi indipendente da ogni soddisfacimento fisico concreto. Lo stupro sembra simboleggiare la violazione dei limiti e odora di preludio alla morte sia fisica che metafisica, inoltre la cosmetica e i mezzi di perfezionamento estetici di cui sono succubi tutte le donne del film, appaiono come l'interesse principale del loro modo d'essere, l'unico mezzo con cui riescano a dare un piacere trasposto preferito a quello specifico dell'esperienza sessuale normale e concreta che, al contrario, pare divenuta oggetto di una specie di insensibilità e nevrotica repulsione. Questa intossicazione mentale è rappresentata esasperatamente come uno dei principali caratteri regressivi dell'epoca attuale, e l'obiettivo non è soltanto la Serbia, ma tutta la civiltà occidentale.

Spasojevic fu fenomenale nel far percepire senso di morte e smarrimento e lo fece con ferocia, utilizzando lo stesso cinismo destabilizzante della modernità.
La perversione di fondo risulta molto più concettuale che grafica.
Nell'epilogo, l'elemento onirico diviene sempre più invasivo sino al plumbeo finale con una scena di rara spietatezza.

"Inizia con quello piccolo".

Titoli di coda, le urla deliranti di "Newborn porn" riecheggiano e divengono una metafora sul futuro ombroso dei più piccoli.




I misfatti della psicanalisi – R.Guènon

Se dalla filosofia passiamo alla psicologia, vediamo che le stesse tendenze si presentano, nelle scuole più recenti, con un aspetto assai, più pericoloso, perché, invece di tradursi in semplici assunti teorici, esse vi trovano applicazioni pratiche di carattere molto inquietante. Di questi nuovi metodi, secondo noi, i più «rappresentativi» sono quelli conosciuti sotto la denominazione generica di «psicanalisi». È importante rilevare che, per una strana incoerenza, questa manipolazione di elementi appartenenti incontestabilmente all’ordine sottile si accompagna sempre, presso molti psicologi, ad un atteggiamento materialistico, senza dubbio dovuto al genere di educazione ricevuta ed anche alla loro ignoranza della vera natura degli elementi da essi messi in gioco [Il caso dello stesso Freud, fondatore della psicanalisi, è tipico a questo riguardo: egli infatti non ha mai cessato di proclamarsi materialista. A questo proposito, ci viene spontanea una osservazione: il fatto che i principali rappresentanti delle nuove tendenze, come Einstein per la fisica, Bergson per la filosofia, Freud per la psicologia e molti altri di minore importanza siano quasi tutti di origine ebraica, non corrisponde forse esattamente all’aspetto «malefico» e dissolvente di quel nomadismo deviato che predomina inevitabilmente negli Ebrei staccati dalla loro tradizione?]. Una delle caratteristiche più singolari della scienza moderna non è forse quella di non sapere mai esattamente con cosa ha realmente a che fare, anche quando si tratta semplicemente di forze dell’àmbito corporeo? D’altronde, a fianco delle teorie e dei metodi più recenti, coesiste pur sempre una certa «psicologia da laboratorio», conclusione di un processo di limitazione e di materializzazione - di cui la psicologia «filosofico-letteraria» dell’insegnamento universitario ha rappresentato la fase meno avanzata -, e che ora è soltanto una specie di ramo accessorio della fisiologia; ed è a questa «psicologia da laboratorio» che si applica quanto abbiamo precedentemente detto a proposito dei tentativi fatti per ridurre la stessa psicologia ad una scienza quantitativa.
Non è una semplice questione di vocabolario il fatto, assai significativo, che la psicologia attuale prenda sempre in considerazione solo il «subconscio» e non il «superconscio», il quale dovrebbe esserne logicamente il correlativo. Senza dubbio il «subconscio» è un termine che indica un’estensione che si operi unicamente dal basso, cioè da quel lato che, sia nell’essere umano sia nell’ambiente cosmico, corrisponde alle «fenditure» attraverso le quali penetrano le influenze più «malefiche» del mondo sottile, anzi, potremmo dire, quelle aventi un carattere veramente e letteralmente «infernale» [Dobbiamo notare, a questo proposito, che Freud, all’inizio della sua Traumdeutung, ha posto la seguente epigrafe molto significativa: «Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo» (Virgilio, Eneide, VII, 312)]. Certi psicologi hanno adottato come sinonimo o equivalente di «subconscio» il termine «inconscio», il quale, preso alla lettera, sembrerebbe riferirsi a un livello ancora inferiore, benché, a dire il vero, corrisponda meno esattamente alla realtà; se ciò di cui si tratta fosse veramente «inconscio», non vediamo proprio come sarebbe possibile parlarne, soprattutto in termini psicologici. D’altronde, in virtù di che cosa, se non di un semplice pregiudizio materialistico o meccanicistico, occorrerebbe ammettere che esista veramente qualcosa d’inconscio? Degna di nota è ancora la strana illusione per cui gli psicologi giungono a considerare certi stati tanto più «profondi» quanto più sono semplicemente inferiori; non è forse questo un indizio della tendenza ad andare nel senso inverso a quello della spiritualità, la quale sola può esser detta veramente profonda, perché essa sola è inerente al principio ed al centro stesso dell’essere? D’altra parte, poiché il campo della psicologia non si estende verso l’alto, il «superconscio» le rimane completamente estraneo e del tutto precluso; e quando le accade di venire in contatto con qualcosa di elevato, essa pretende puramente e semplicemente di annetterlo, assimilandolo al «subconscio»: tale è, quasi sempre, la natura delle sue presunte spiegazioni concernenti la religione, il misticismo, ed anche certi aspetti delle dottrine orientali come lo Yoga; e, in questa confusione del superiore con l’inferiore, c’è già qualcosa che può essere propriamente interpretato come una vera sovversione.
Notiamo pure che, con i suoi richiami al «subconscio», la psicologia, come del resto la «nuova filosofia», tende sempre più a raggiungere le posizioni della «metapsichica» [Fu del resto lo «psichista» Myers ad inventare l’espressione subliminal consciousness, che per amore di brevità fu sostituita un po’ più tardi, nel linguaggio della psicologia, con la parola «subconscio»]; nella stessa misura si avvicina inevitabilmente, forse senza volerlo (almeno da parte di quegli psicologi che nonostante tutto intendono rimanere materialisti), allo spiritismo o ad altre cose del genere, le quali tutte, in definitiva, si fondano sui medesimi oscuri elementi dello psichismo inferiore. Se queste cose, dall’origine e dal carattere più che sospetti, appaiono come movimenti «precursori» ed alleati dell’attuale psicologia, e se questa è giunta, sia pure per un cammino obliquo, ma proprio per ciò più comodo di quello della «metapsichica», la quale in certi ambienti è ancora posta in discussione, ad introdurre gli elementi in questione nel campo della scienza «ufficiale», si è costretti a pensare che la vera funzione di questa psicologia, nelle attuali condizioni del mondo, sia stata proprio quella di concorrere attivamente alla seconda fase dell’azione antitradizionale. A questo proposito, la pretesa della psicologia ordinaria, prima segnalata, di annettere, facendole entrare a forza nel «subconscio», certe cose che per la loro stessa natura le sfuggono completamente, non può spiegarsi, fermo restando il suo carattere nettamente sovversivo, che con quello che potremmo chiamare il lato infantile di tale funzione, giacché simili spiegazioni, come le spiegazioni «sociologiche» di queste stesse cose, sono, in fondo, di un’ingenuità «semplicistica» sconfinante talvolta nella pura stupidità. Ma ciò è incomparabilmente meno grave, quanto alle conseguenze effettive, di quel lato veramente «satanico» che dobbiamo ora puntualizzare per quanto concerne la nuova psicologia.
Questo carattere «satanico» appare nettamente ed in modo del tutto particolare nelle interpretazioni psicanalitiche del simbolismo, o di quanto, a torto o a ragione, viene considerato tale; è una restrizione necessaria perché, su questo punto come su tanti altri, vi sarebbero molte distinzioni da fare e numerose confusioni da dissipare: ad esempio, tanto per prendere un caso tipico, un sogno nel quale si esprime una ispirazione «sopraumana» è veramente simbolico, mentre un sogno ordinario non lo è affatto, e ciò a prescindere dalle apparenze esteriori. Naturalmente gli psicologi delle scuole anteriori avevano anch’essi sovente tentato di spiegare a modo loro il simbolismo, e di ricondurlo alla misura delle proprie concezioni; nel caso di un effettivo simbolismo, queste spiegazioni di ordine puramente umano, come sempre avviene quando sono in gioco cose di carattere tradizionale, disconoscono ciò che costituisce l’essenziale; nel caso, invece, di cose semplicemente umane, si tratta evidentemente di un falso simbolismo, ma il fatto stesso di designarlo con questo nome comporta pur sempre lo stesso errore circa la natura del vero simbolismo. Ciò vale anche per le concezioni degli psicanalisti, con la differenza che allora non si è più soltanto di fronte a qualcosa di umano, ma inoltre, in gran parte, di «infraumano»; si è dunque qui alla presenza non più di un semplice abbassamento, ma di una sovversione totale; ed ogni sovversione, anche se ha la sua causa immediata nell’incomprensione e nell’ignoranza (le quali sono quanto di meglio si presta ad essere sfruttato per un tal uso), è pur sempre, in se stesso, essenzialmente qualcosa di «satanico». Del resto, il carattere generalmente ignobile e ripugnante delle interpretazioni psicanalitiche costituisce, a questo proposito, un «marchio» che non lascia dubbi. Particolarmente significativo è il fatto che, come abbiamo rilevato altrove [Cfr. L’Erreur spirite, cit., parte II, cap. X], questo «marchio» si ritrovi proprio in certe manifestazioni dello spiritismo; ed occorrerebbe una forte dose di buona volontà, se non addirittura una completa cecità, per non vedervi nient’altro che una semplice «coincidenza». Gli psicanalisti, non meno degli spiritisti, possono essere, nella maggioranza dei casi, del tutto inconsapevoli di quel che sta sotto a tutto ciò: sia gli uni sia gli altri appaiono egualmente «diretti» da una volontà sovvertitrice che utilizza, in entrambi i casi, elementi dello stesso ordine per non dire identici; e questa volontà è comunque sempre ben cosciente negli esseri in cui si incarna, e corrisponde ad intenzioni senza dubbio molto diverse da quelle che suppongono coloro che sono solamente gli strumenti incoscienti della loro azione.
In queste condizioni, è più che evidente come l’utilizzazione principale della psicanalisi, ossia la sua applicazione a scopo terapeutico, non possa che essere estremamente pericolosa sia per chi vi si sottopone, sia per chi la esercita, poiché con queste cose non si viene a contatto impunemente. Senza nessuna esagerazione, possiamo dire che si tratta di uno degli speciali mezzi impiegati per accrescere il più possibile lo squilibrio del mondo moderno e condurlo verso la dissoluzione finale [Un altro di questi mezzi è l’impiego analogo della «radioestesia»: anche qui, in certi casi, entrano in gioco elementi psichici della stessa qualità, anche se si deve riconoscere che essi non presentano il carattere «repellente» tipico della psicanalisi]. Coloro che praticano questi metodi di terapia sono invece persuasi - e noi non dubitiamo della loro sincerità - della validità dei loro risultati; sennonché è proprio grazie a questa illusione che si rende possibile la diffusione di tali metodi, ed è così che si può cogliere tutta la differenza esistente tra le intenzioni di questi «praticoni» e la volontà che presiede all’opera di cui essi sono i ciechi collaboratori. In realtà, la psicanalisi non può avere se non l’effetto di portare alla superficie, rendendolo chiaramente cosciente, tutto il contenuto di quei «bassifondi» dell’essere che costituiscono ciò che viene chiamato propriamente il «subconscio»; inoltre, questo essere è già, per ipotesi, psichicamente debole, poiché, se fosse altrimenti, non proverebbe certo il bisogno di ricorrere ad una terapia di tal sorta, ed è quindi ancor più incapace di resistere ad una simile «sovversione», sicché rischia di affondare irrimediabilmente nel caos delle forze tenebrose imprudentemente scatenate; e se riuscisse nonostante tutto a sfuggirvi, ne conserverà tuttavia, per tutta la vita, un’impronta che sarà per lui una «macchia» incancellabile. Immaginiamo l’obiezione che, a questo punto, alcuni potrebbero formulare invocando una similitudine con quella «discesa agli Inferi» che s’incontra nelle fasi preliminari del processo iniziatico. Una tale assimilazione è completamente falsa, perché nei due casi i fini non hanno nulla in comune, ed anche le condizioni dei rispettivi «soggetti» sono alquanto diverse. Si può quindi parlare solamente di una specie di parodia profana, che sarebbe già di per se stessa sufficiente a conferire a tutto ciò un carattere di «contraffazione» piuttosto inquietante. La verità è che questa pretesa «discesa agli Inferi», non seguita da nessuna «risalita», è semplicemente una «caduta nel pantano», per adoperare un’espressione simbolica di certi Misteri dell’antichità. È noto infatti che lungo la strada che conduceva ad Eleusi s’incontrava ad un certo punto questo «pantano»: coloro che vi cadevano erano i profani che pretendevano di accedere all’iniziazione senza possedere le necessarie qualificazioni e che erano dunque vittime della loro imprudenza. Aggiungiamo solamente che «pantani» del genere esistono veramente, sia nell’ordine macrocosmico sia in quello microcosmico. Ciò è in diretta relazione con la questione delle «tenebre esteriori» [Ciò in relazione con quanto abbiamo indicato a proposito del simbolismo della «Grande Muraglia» e della montagna Lokaloka] e, a questo proposito, si potrebbero citare alcuni testi evangelici il cui senso concorda esattamente con quanto abbiamo indicato. Nella «discesa agli Inferi» l’essere esaurisce definitivamente certe possibilità inferiori per potersi quindi elevare agli stati superiori; mentre nella «caduta nel pantano», queste possibilità inferiori penetrano in lui per dominarlo ed infine sommergerlo completamente.
Anche qui abbiamo parlato di «contraffazione»; questa impressione è comprovata da altre constatazioni, come quella della snaturazione del simbolismo, già innanzi segnalata, snaturazione che tende del resto ad estendersi a tutto quanto contiene essenzialmente elementi «sopraumani», come lo dimostra l’atteggiamento assunto nei confronti della religione [Freud dedicò all’interpretazione psicanalitica della religione uno speciale libro, in cui le sue proprie concezioni si combinano con il «totemismo» della «scuola sociologica»] ed anche delle dottrine di ordine metafisico ed iniziatico, come lo Yoga, le quali pure non sfuggono a questo nuovo genere di interpretazione, sicché certuni sono giunti ad assimilare i metodi di «realizzazione» spirituale propri di tali dottrine con i metodi terapeutici della psicanalisi. Ci troviamo così di fronte a qualcosa di ancor peggiore di quelle altre grossolane deformazioni tanto frequenti in Occidente, come quella secondo cui i metodi dello Yoga sarebbero una specie di «cultura fisica» o di terapia d’ordine semplicemente fisiologico: queste deformazioni, a motivo della loro stessa grossolanità, sono infatti meno pericolose di quelle che si presentano sotto parvenze più sottili. Non soltanto perché queste ultime rischiano di sedurre persone sulle quali le deformazioni grossolane non avrebbero alcun effetto, ma anche per un’altra ragione di portata più generale, e cioè che le concezioni materialistiche, come abbiamo già visto, sono meno pericolose di quelle che si fondano sullo psichismo inferiore. Beninteso, il fine puramente spirituale, che costituisce l’essenza dello Yoga ed in difetto del quale l’impiego stesso di tale termine è soltanto una derisione, è in entrambi i casi completamente misconosciuto. Lo Yoga non è una terapia psichica più di quanto sia una terapia fisica, ed i suoi metodi non sono in alcun modo una cura per malati o per squilibrati, ma sono destinati esclusivamente a persone che, per poter realizzare quello sviluppo spirituale che è la loro unica ragion d’essere, devono già essere, per naturale disposizione, il più perfettamente equilibrati possibile; si tratta cioè di condizioni che, com’è facile comprendere, rientrano strettamente nella questione delle qualificazioni iniziatiche [Su un tentativo di applicazione della teoria psicanalitica alla dottrina taoista, cfr. lo studio di André Préau, La Fleur d’or et le Taoisme sans Tao, che ne costituisce un’eccellente confutazione].
Ma c’è un altro punto, concernente la «contraffazione», che è forse ancor più importante di tutto quanto abbiamo sinora menzionato: è l’obbligo, imposto a chiunque intenda praticare professionalmente la psicanalisi, di essere egli stesso previamente «psicanalizzato». Ne consegue innanzitutto che la persona la quale ha subìto questa operazione non può più essere quella di prima: come dicevamo in precedenza, essa ne riceve un’impronta incancellabile, proprio come nel caso dell’iniziazione, ma in qualche modo in senso inverso, poiché, invece di uno sviluppo spirituale, si avrà uno sviluppo dello psichismo inferiore. Inoltre, il suddetto obbligo costituisce una evidente imitazione della trasmissione iniziatica: ma, a motivo della diversità della natura delle influenze messe in atto, e dovendosi pur sempre constatare un risultato effettivo, per cui non si può parlare di una sorta di simulacro senza alcuna portata, questa trasmissione si presta meglio ad un paragone con quella che si pratica nel campo della magia, o più precisamente in quello della stregoneria. Del resto, la stessa origine di tale trasmissione presenta un punto assai oscuro: dal momento che è evidentemente impossibile dare ad altri ciò che già non si possiede, ed essendo l’invenzione della psicanalisi del tutto recente, donde mai i primi psicanalisti hanno ricevuto i «poteri» che trasmettono ai loro discepoli, e da chi essi stessi hanno potuto essere per primi «psicanalizzati»? Una tale domanda, che ci pare alquanto logica, almeno per chi sia capace di riflettere, è probabilmente molto indiscreta, ed è ben difficile che qualcuno arrivi a darle una risposta soddisfacente; ma, a dire il vero, anche in mancanza di essa, si può riconoscere in questa trasmissione psichica un altro «marchio» veramente sinistro per gli accostamenti che essa suggerisce: la psicanalisi presenta infatti, sotto questo aspetto, una rassomiglianza piuttosto terrificante con certi «sacramenti del diavolo»!

Fonte: tratto da "Il regno della quantità e i segni dei tempi" di R.Guènon (Ed.Adelphi)




Il Logos e le scienze moderne - S.H.Nasr

Non si deve mai dimenticare che per l’uomo non in linea con la modernità, sia esso antico o contemporaneo, la sostanza stessa dell’universo è sacra. Il cosmo parla all’uomo e tutti i suoi fenomeni hanno un significato. Sono i simboli di una realtà superiore che la sfera cosmica nasconde e rivela al tempo stesso. Proprio la struttura del cosmo serba all’uomo un messaggio spirituale; una rivelazione che viene quindi dalla stessa fonte della religione. Entrambe sono manifestazioni dell’Intelletto Universale, il Logos, e il cosmo stesso è parte integrante di quell’unico disegno universale in cui l’uomo vive e muore.
Per consentire alle scienze moderne della natura di costituirsi, la sostanza del cosmo dovette anzitutto essere svuotata del suo crisma sacro e diventare profana. La visione dell’universo della scienza moderna, specie attraverso il filtro della sua divulgazione, contribuì anch’essa alla secolarizzazione della natura e delle sostanze naturali. I simboli offerti dalla natura divennero fatti, entità in se stesse, completamente staccate dagli altri ordini della realtà. Il cosmo, un tempo trasparente, diventò così opaco e senza significato spirituale, per coloro almeno che non avevano altro in mente che l’immagine scientifica della natura, sebbene studiosi isolati la pensassero diversamente. Le scienze tradizionali come l’alchimia, paragonabile alla celebrazione di un rito cosmico, vennero ridotte ad una chimica in cui le sostanze hanno perduto tutto il loro carattere sacro. Nel processo, le scienze della natura vennero private della loro intelligibilità simbolica, un fatto che per buona parte è il diretto responsabile della crisi  che la moderna visione scientifica del mondo e le sue applicazioni hanno provocato.
In particolare rilievo va posta la concezione quantitativa della scienza moderna, perché la tendenza generale è quella di perseguire come optimum la riduzione della qualità nella quantità, e di tutto ciò che è  essenziale in senso metafisico, in materiale e tangibile. Il soffocante ambiente della materia creato dall’industrializzazione e dalla meccanizzazione, come sanno tutti coloro che vivono oggigiorno nei grandi centri urbani, è una conseguenza dell’indirizzo meramente materiale e quantitativo delle scienze le cui applicazioni hanno reso possibile l’industrialismo. Inoltre, mancando una visione globale e metafisica del mondo, nella quale le scienze moderne potrebbero essere integrate, si è perso di vista l’aspetto simbolico del numero e della quantità. La teoria numerica pitagorico-platonica, al pari di molte altre discipline tradizionali, è stata fatta apparire come una storia da vecchie comari.
La scienze quantitative, peraltro accettabili e legittime nelle opportune circostanze, sono diventate le uniche scienze valide e approvate della natura. Ogni altra conoscenza degli ordini naturali e cosmici è destituita di fondamento scientifico e declassata al rango di sentimentalismo o superstizione. Sembra quasi che la scienza moderna abbia posto come condizione della sua accettazione il ripudio di ogni cultura che risale alle fonti dell’esistenza, anche se molti scienziati personalmente non condividono questo punto di vista. L’urto massiccio che la scienza moderna ha esercitato sulla mentalità degli uomini è stato quello di far loro conoscere gli aspetti accidentali delle cose al patto della rinuncia a discernere l’essenza profonda di tutte le cose. Ed è questa limitazione che fa incombere le più terribili conseguenze sull’uomo come essere integrale.
La ristrettezza di vedute che caratterizza la scienza moderna non consente ci sia posto per una vera cultura cosmologica nel quadro della moderna concezione scientifica del mondo. La cosmologia è una scienza che indaga tutti gli ordini della realtà formale, dei quali quello materiale non è che un aspetto. È una scienza sacra, destinata a unirsi alla rivelazione e alla dottrina metafisica nel cui seno soltanto acquista significato ed efficacia. Una cosmologia moderna oggi non esiste; anzi, l’uso del vocabolo è l’indebita appropriazione di un termine di cui si è perso il significato originale. Una cosmologia fondata esclusivamente sull’elemento materiale e corporeo dell’esistenza, per quanto possa estendersi lontano nelle galassie, nonché sulle mutevoli congetture individuali, non è una vera cosmologia. È una panoramica generalizzata sulla fisica e sulla chimica terrestri e, come alcuni teologi e filosofi cristiani hanno fatto rilevare, manca completamente di una chiara connotazione teologica, salvo che in qualche caso fortuito. In più, essa si fonda su una fisica materiale che tende ad esasperare il processo di analisi e di divisione della materia al fine di raggiungere la materia “ultima” che sta alla base del mondo; un ideale, comunque, che non può mai essere raggiunto a causa dell’ambiguità e dell’inintelligibilità con naturali alla materia e che caratterizzano i confini del caos che separa la materia formale dalla “materia pura”, chiamata materia prima dai filosofi medioevali.
La scomparsa di una vera cosmologia in Occidente è dovuta, in generale, al fatto che la metafisica è stata trascurata e, più precisamente, che si è mancato di trarre dall’oblio le gerarchie dell’essere e della conoscenza. I vari livelli della realtà sono stati ridotti a un unico ambito psicofisico, come l’immagine di un panorama privata all’improvviso della terza dimensione. Ne consegue che, non solo la cosmologia è stata relegata tra le scienze specifiche delle sostanze materiali, ma in un senso più lato, la tendenza a ridurre il più alto al più basso e, viceversa, a far sorgere il più grande dal più piccolo, è andata vieppiù prevalendo. Con la scomparsa di ogni criterio gerarchico nella realtà, si sono anche dissolti i rapporti fra i vari gradi della conoscenza e fra i vari livelli della realtà su cui le scienze antiche e medioevali erano basate, facendole apparire come “superstizione” (nel senso etimologico di questa parola) e come un qualcosa il cui principio è stato distrutto o dimenticato.
Parimenti, la metafisica si è ridotta a filosofia razionale e questa, a sua volta, ha finito col diventare l’ancella delle scienze naturali e matematiche, com’è nei voti di alcune scuole moderne secondo cui compito esclusivo della filosofia è quello di illustrare i metodi e i contenuti logici delle scienze. Venuta meno la funzione critica che la ragione, in modo autonomo, dovrebbe esercitare nei confronti della scienza, che è una sua creatura, questa figlia della mente umana si è eretta a giudice dei valori umani e principio di verità. Nel corso di questo processo di declassamento, in cui il ruolo critico indipendente della filosofia si è arreso agli editti della scienza moderna, si è spesso dimenticato che la stessa rivoluzione scientifica del secolo XVII prese le mosse da una particolare posizione filosofica. Non la scienza della natura ma una scienza avanzò certe ipotesi sulla natura della realtà, del tempo, dello spazio, della materia, eccetera. Ma queste stesse ipotesi, dopo essere state avanzate e prese come base di una scienza, sono state poi tranquillamente dimenticate, mentre i risultati di questa stessa scienza sono diventati fattori determinanti per spiegare la natura della realtà. È dunque necessario rifarsi, sia pur in breve, al modo in cui i moderni scienziati e filosofi della scienza concepiscono la scienza moderna, specie quella fisica, per definire il significato della natura delle cose in assoluto. Ci piaccia o no, sono proprio le loro vedute a determinare in gran parte la concezione moderna della natura, così come viene accettata dal grande pubblico, e sono esse perciò elementi importanti nel problema generale del confronto uomo-natura.

Fonte: "La crisi spirituale dell'uomo moderno", H.Nasr (Ed.Medusa)






Metacinema e drammi moderni in Simon Staho

 

Daisy Diamond è un film danese del 2007 diretto da Simon Staho.

Anna (una straordinaria Noomi Rapace) è una giovane ragazza che dopo aver subito violenza dal fidanzato rimane incinta, ed allontanata anche dalla sua famiglia, si ritrova completamente sola.
Per fuggire dalla sua triste realtà decide di trasferirsi in Danimarca, seppur senza un lavoro. Qui si prende giornalmente cura della piccola Daisy, a cui tuttavia fa fatica a badare. Il latte dai seni non esce, i soldi per i beni mancano e la piccola non fa che piangere ininterrottamente.

La protagonista ha un sogno, quello di diventar attrice, comincia così a presentarsi a vari provini di film, sistemando Daisy dentro un borsone e portandola con sè. Ogni colloquio diviene però un problema a causa della sua condizione di ragazza madre e del suo danese stentato, così una notte quando Daisy comincia piangere, Anna perde la ragione ed affoga la figlioletta in una vasca da bagno.
Le musiche che accompagnano l'annegamento, suonano tragicamente liberatorie.
Dopo il raptus di follia, continua le audizioni, ma il mondo dello spettacolo comincia a rivelarsi per ciò che è, ovvero un luogo di compromessi e depravazioni. Iniziano ricatti sessuali, un giovane regista le chiede di fare sesso promettendole in cambio una sponsorizzazione nel settore, una produttrice di cartoon sulla cinquantina fa altrettanto, Anna si difende con amara freddezza sottostando alle costrizioni. Finché, capito l'andazzo e stanca di promesse mai mantenute, la giovane decide di diventare una pornoattrice, taglia i capelli e crea il suo nome d'arte: Daisy Diamond.
Ma i rimorsi cominciano ad emergere, il senso di colpa lacerante si palesa attraverso la voce fuori campo di Anna, portavoce di dialoghi immaginari con una Daisy ormai cresciuta. Attraverso questi monologhi ella cerca disperatamente di appropriarsi di nuovo della sua spensieratezza bambina.
Il suicido pare divenire l'unica via d'uscita, ma un ultimo slancio di volontà la spinge verso il primo regista conosciuto a cui chiede di girare un film che racconti la sua storia ed e così che Anna riuscirà a raggiungere Daisy nella stessa vasca da bagno in cui aveva macchiato indelebilmente la sua esistenza.

La prima parola che viene in mente per la descrizione di questo film è Metacinema. Attraverso la voce narrante della protagonista, la metanarrazione prende forma tramite ricordi e riflessioni. L'incipit che apre il film, seppur già abusatissimo nella settima arte, è l'esempio lampante di una storia che ha la straordinaria capacità di far riflettere mentre riflette su se stessa.
In ogni colloquio di lavoro Anna recita rigorosamente una parte che corrisponde esattamente alla sua vita, confondendo caoticamente realtà e finzione e creando un alone onirico che a tratti può ricordare Mulholland Drive di David Lynch.
Tutto ciò che drammaticamente sconvolge la vita della donna trova sempre un corrispondente incastro nelle sceneggiature dei film a cui lei aspira di prender parte.

Alcuni discorsi della protagonista, Staho li prende direttamente dalla sceneggiatura di Persona di I.Bergman. Essi appartengano al personaggio dell'infermiera Alma nei momenti in cui descriveva una maternità indesiderata e quando raccontava un' esperienza di sesso di gruppo.
Staho inserisce quest'ultimo dialogo come prologo per le riprese di un film hard, ed i riferimenti a Persona si palesano chiaramente quando i personaggi di Daisy Diamond vanno anche a visionarlo al cinema.
Il titolo Persona alludeva alla maschera dell'attore, difatti Anna è come Elisabeth, si esprime solamente indossando una maschera, che tuttavia qui corrisponde esattamente alla vita reale.
Ma oltre al maestro svedese, Staho costruisce tutte le fondamenta, dalla sceneggiatura, alle ambientazioni scarne, sino all'utilizzo della macchina da presa, soprattutto seguendo l'insegnamento del suo connazionale T.Dreyer.
La sua è una regia rigorosa, cinica ed efficace, lo stile è gelido e il bianco della fotografia si amalgama alla perfezione con la potenza del dramma, i primissimi piani devono tutto alla lezione data da Dreyer con la sua Giovanna D'arco ottant'anni prima.

Un altro riferimento importante è certamente il capolavoro di Kerrigan Claire Dolan, che la straordinaria Noomi Rapace, in un ruolo in cui si mette in gioco sia fisicamente che emotivamente, presumo abbia visionato. Tantissime le analogie tra i 2 personaggi, il loro modo di approcciarsi al prossimo è identico, così come identica è la loro espressività disillusa e l'arrendevolezza a cui cedono ai ricatti del mondo esterno. Entrambe decidono di diventare oggetti sessuali annullandosi completamente.

Il panorama umano descritto da Staho è scoraggiante, la meschinità dei personaggi che si trovano sia nella realtà che nella finzione è identica, e la loro glacialità dei sentimenti ricorda fortemente le rappresentazioni più ciniche dei film di Lars Von Trier.
La sessualità rappresentata è asettica e perversa, osserviamo un erotismo egoistico e confusionario.

La storia narrata da Staho è sfaccettata e complessa, la riflessioni che ne possono scaturire sono molteplici. Delineando l'ennesima eroina femminile, il danese medita sull' odissea di una donna in cerca di sé stessa e della sua capacità di amare, sia come donna che come madre.
Il mondo, specchio di una dualità mentale, alterna carnefici e vittime, e così quando Anna si taglia i capelli, completa la propria trasformazione in vittima. La sua ricerca interiore non può far altro che rivelare il riflesso delle sue lacerazioni profonde del passato anche all'esterno, ed è questa la chiave su cui ella cerca i veri arcani della realtà che nel macroscopico si nascondono all'ombra dell'inesattezza dei dati sensoriali.

Nel finale, la vita e il cinema concludono la loro morbosa fusione, ed è così che Daisy Diamond diviene, nella disgraziata vasca da bagno, un film nel film.



La matrix del denaro

Ogni sistema difende le proprie strutture, ma ancor di più le proprie regole di funzionamento. Prendiamo la corruzione nella polizia: se un reparto è particolarmente compromesso, dopo averlo difeso anche strenuamente, è possibile che si decida di sacrificarlo ai media e alla pubblica opinione per salvare l’immagine dell’intero apparato. Ma se si mettono in discussione le stesse regole che gestiscono il reclutamento, la formazione e l’operatività della polizia, in breve avremmo uno scontro armato. Nessuna struttura accetta di venire smantellata in modo pacifico.

Il danaro non esiste. Lo abbiamo creato per facilitare gli scambi e migliorarci la vita. Nel tempo, attorno a questo concetto teorico si è strutturato un vero e proprio Leviatano che vede nelle Banche Centrali dei guardiani dell’ortodossia e nei gruppi finanziari internazionali dei burattinai, mentre l’individuo medio da un lato non capisce più nulla di queste dinamiche (da dove arriva il danaro? Di chi è? Perché ha un costo? Chi lo paga? Il debito pubblico va ripagato? E a chi?) e dall’altro si ritrova misurato dal danaro stesso in ogni sua espressione: misuriamo in danaro quanto valiamo, quanto siamo realizzati, quanto ci divertiamo, quanto siamo sereni, persino quanto amiamo qualcun altro. In sostanza, esistiamo secondo un metro di cui ci sfugge ormai sia la natura che la gestione. E’ evidente anche al più idiota dei profani che qui il problema è esistenziale: siamo diventati schiavi di uno strumento nato per servirci.

Chiaramente le strutture cresciute attorno al sistema monetario lotteranno con ogni mezzo per impedire che venga loro anche solo parzialmente sottratto il dominio di questo meccanismo, essi esistono in base alle regole che li definiscono. E nessuna struttura accetta di scomparire in modo indolore.



La confusione di Krishnamurti - Julius Evola

Al campeggio di Ommen, in Olanda, nel 1929 Krishnamurti sciolse l’Ordine della Stella, dichiarando in pari tempo senza attenuazioni il suo credo. Ecco alcune delle sue parole :

 “Io non ho che uno scopo: liberare l’uomo, aiutarlo a spezzare le barriere che lo limitano, perché soltanto questo gli darà la felicità eterna, la consapevolezza incondizionata e l’espressione del suo Io. Dal momento in cui voi seguite qualcuno, cessate di seguire la Verità. Voi siete abituati all’autorità o all’atmosfera dell’autorità. Voi credete, voi sperate che altri, a mezzo di altri poteri straordinari - un miracolo - vi trasporti nella regione della libertà eterna. Voi volete degli Dei vostri: nuovi Dei al posto degli antichi, nuove religioni al posto delle antiche - tutte egualmente senza valore, tutte barriere, limitazioni, stampelle. Da diciotto anni avete preparato nel mondo la mia venuta. E quando io vengo a dirvi che bisogna buttar via tutto ciò e cercare da voi stessi l’illuminazione, la gloria, la purita e l’incorruttibilita dell’lo, nemmeno uno di voi accetta di farlo. Perché dunque avere una organizzazione? lo sostengo che la Verita è una landa selvaggia e che non è possibile arrivarvi per alcuna via tracciata, sia essa una religione o una setta. Ma coloro che veramente desiderano di comprendere, che si sforzeranno di trovare cio che è eterno, senza principio né fine, costoro marceranno insieme con più ardore e saranno un pericolo per tutto ciò che non è essenziale, per le irrealtà, per gli spettri”.

(..) Bisogna rilevare due punti.
ll primo è che, malgrado tutto, dopo quelle dichiarazioni di Krishnamurti le cose poco sono cambiate; come prima vi sono stati convegni e raduni in grande stile di entusiasti, che lo hanno avuto per centro; é stata creata una “Fondazione Krishnamurti” che si propone anche di acquistare un fondo in Inghilterra onde costituirvi, secondo il desiderio dello stesso Krishnamurti, un centro per la diffusione delle sue idee; sono usciti libri con titoli come Krishnamurti, I’istruttore del mondo (di L. Renault), Krishnamurti, Io specchio degli uomini (di Y. Achard), Krishnamurti, psicologo dell’ era nuova (di R. Linssen) e via dicendo. Cosi il “mito” si è  ricostituito, Krishnamurti ha continuato a fare da “Maestro” in quanto annunciatore di una nuova visione delle vita. Si è preteso che ciò non e esatto perché il nuovo Krishnamurti non pretende di sostituirsi al singolo ma vuole incitarlo a prendere in modo autonomo una coscienza più profonda di sé, presentandosi solo come un esempio e agendo solo come un catalizzatore spirituale” su coloro che vanno ad ascoltarlo. Ora, qualcosa del genere lo si può concepire nel caso di centri ristretti e raccolti, come alcuni Ashram indù e alcuni gruppi iniziatici nei quali una personalità superiore può effettivamente creare un’atmosfera quasi magnetica, senza predicare. E invece difficile concepirlo quando ci si mette a fare conferenze in ogni parte del mondo profano e per un vasto pubblico, perfino in teatri e università, per ultimo essendosi aggiunto l’interesse snobistico di un pubblico fra l’intellettuale e il mondano. ll meno che si può dire, è che Krishnamurti si é prestato a tutto ciò, assolvendo il solito ruolo da “Maestro” anche se è colui che proclama che non bisogna cercare un Maestro.
ll secondo punto da rilevare è che Krishnamurti malgrado tutto espone un insegnamento, una dottrina, la quale dagli inizi fino ad oggi e restata più o meno la stessa, e che é caratterizzata da ambiguità assai pericolose. Liberare la Vita dall’Io - questo è in fondo ciò che Krishnamurti annuncia. Verità, per lui significa Vita; e Vita significa poi Felicità, Purezza, Eternità e varie altre cose ancora, date quasi come sinonimi. Inoltre sono quasi sinonimi liberare la Vita e liberare l’Io, perché Krishnamurti in fondo insiste sulla distinzione fra un falso Io personale e un lo eterno, il quale poi fa tutt’uno con la Vita e, in essa, col principio di ogni cosa. A questo Io,  cioé alla Vita, l’uomo ha imposto ogni sorta di limitazioni: credenze, preferenze, abitudini ataviche del cuore e della mente, attaccamenti, convenzioni, scrupoli religiosi, timori, preconcetti, teorie, vincoli ed esclusivismi d’ogni genere. Tutte barriere da far saltare per ritrovare sé stessi, per realizzare ciò che Krishnamurti chiama l’ “unicità individuale” . Ma questo “sè stesso”, dato che poi si equivale all’ “Io di tutto, all’unita assoluta con tutte le cose, alla fine del senso di separazione” , si distingue molto da qualcosa come l’élan vital bergsoniano e come l’oggetto delle nuovissime, più o meno panteistiche o naturalistiche religioni dell’irrazionale e del divenire? Con quale diritto chiamarlo “Io”? E ciò che propriamente si può chiamare Io in Krishnamurti in fondo non è forse solo un principio negativo, una sovrastruttura che, creata da pregiudizi, paure e convenzioni, soffoca ciò che soltanto sarebbe reale, la Vita: esattamente come nella psicanalisi e nell’irrazionalismo?
Krishnamurti non dice nulla per farci capire che senso ha il suo parlare di un “sé stessi”, di una “unicità individuale” là dove la perfezione e la meta sono concepite come mera vita indifferenziata, proteiforme, simile, secondo le sue stesse parole , ad acqua corrente che procede sempre e mai e tranquilla, a fiamma priva di forme definita, labile, mutevole di momento in momento e quindi indescrivibile, non circoscrivibile da nulla, indomabile. Dare alla vita, su questa base, l’attributo di felicità, di gioia libera ed estatica quando ogni contrasto è superato, quando nessun limite, nessuna diga la raffrena più, si che essa può manifestarsi ed espandersi senza sforzo come pura spontaneità, é ancora possibile. Non lo è più parlare in pari tempo di incorruttibilità, di eternità, di liberazione vera dalla legge del tempo. Non si può volere simultaneamente ciò che diviene e ciò che é, ciò che perennemente muta e ciò che è eterno e invariabile. Da sempre, ogni insegnamento sapienziale ha additato due regioni, due stati: mondo e sovramondo, vita e supervita, fluenza e fuga delle forme (samsara) e permanenza del centro. Krishnamurti mescola le due cose in uno strano impasto, in una specie di traduzione dell’insegnamento indù atma = brahman in termini di irrazionalismo diveniristico occidentale. E dire che, se questa era la sua più profonda esigenza, in una delle tradizioni del suo paese, nel Mahayana, avrebbe potuto trovare quanto occorre appunto per presentire in che senso può effettivamente esistere qualcosa di superiore a quella opposizione.
Krishnamurti ha ragione nel dire che l’uomo deve abolire la distanza fra sé e la meta, divenendo egli stesso meta, non lasciandosi più sfuggire come un’ombra situata fra passato e futuro ciò che solo è reale e in cui solo può possedersi e risvegliarsi: il momento presente, il momento da cui mai si esce. Questa potrebbe anzi essere una salutare reazione contro la già accusata illusione evoluzionistica, la quale respinge in un tempo a venire quel compimento, che invero solo superstoricamente, al di là del tempo, può essere raggiunto. Ma non potrebbe anche essere la riduzione estatica alla mera istantaneità, l’ebrezza di un identificarsi che distrugge ogni distinzione e ogni sostanzialità spirituale? Esprimere il principio di non dipender da nulla fuor che da sé, non é dire a sufficienza. Bisogna spiegare in quale rapporto si sta con questo “sé”; bisogna stabilire se rispetto a sé si e capaci di dominio e di consapevole, libera direzione, ovvero se si e incapaci di esser diversi da quel che momento per momento, secondo spontaneità pura, la “vita liberata” vuole, attua e crea in noi eleggendo tale stato perfino come ideale. Se poi ci si riferisce al compito di darsi una forma e una legge in un essere personale, può anzi accadere che su un certo piano sia il limite a testimoniare la liberta. Krishnamurti parla, é vero, del caso di quella rivolta che é illusoria, perché esprime una celata autoindulgenza e insofferenza. Egli dice che per comprender ciò che egli intende per liberta della vita occorre prefiggersi quella meta, che è liberazione persino dalla vita. Rileva che, se la vera perfezione non ha leggi, ciò non deve esser interpretato come stato di caos, ma come superiorità sia alla legge che al caos, come convergenza verso il germe di tutto, da cui sorge ogni trasformazione e dipendono tutte le cose. Infine, egli afferma che dobbiamo creare un miracolo d’ordine in questo secolo di disordine e di superstizione, però sulla base di un ordine interiore nostro e non su quella di una autorità, di un timore o di una tradizione. Ma questi accenni, che di massima potrebbero indicare una direzione spirituale giusta, sono poco convincenti dato lo spirito dell’insieme e non sono confortati da nessuna indicazione concreta di metodo e di disciplina perché, come si e visto, Krishnamurti è contrario ad ogni via prestabilita: pensa che non esistano sentieri per la realizzazione della verità, cioè della vita; che un desiderio è una aspirazione alla felicità cosi intensa da eliminare ad uno ad uno ogni oggetto particolare, un amore sconfinato disindividuale, non per una vita, ma per Ia vita, non per un dato essere, ma per qualsiasi essere, bastino per condurre alla meta.
Oltre a ciò, come via viene solo indicata la sospensione degli automatismi dell’lo e dei suoi contenuti, l’arresto del flusso mentale in una specie di “soluzione di continuità” spirituale. Quando non vi sono più barriere, quando in noi non vi e più nulla che sia determinato dal passato e dal già conosciuto, nulla che tenda verso qualcosa - in questo momento potrebbe aversi la conoscenza del vero Sè, l’apparizione di ciò che Krishnamurti talvolta chiama misticamente “lo Sconosciuto”, come un fatto spontaneo e con un carattere improvviso, non come il “risultato” di una disciplina, di un metodo e di una iniziativa dell’lo, perché sarebbe assurdo che lo stesso lo possa “sospendere” e “uccidere” sé stesso; ogni suo sforzo tornerebbe a chiuderlo in sè. Dopo questo risveglio ipotetico l’Io sparisce, non e più Io, “diviene la Vita”. Tali vedute sembrerebbero presentare analogie, oltre che col cosiddetto quietismo cristiano (dove però il concetto di grazia ha una parte essenziale), con quelle del taoismo e di una delle due scuole principali dello Zen, che pero Krishnamurti sembra conoscere assai poco, dato che in una dichiarazione recente egli ha incluso lo stesso Zen (insieme all’induismo, al metodo cristiano e a “tutti i sistemi”) fra le “frottole”, ripetendo che una mente che si esercita in base ad un qualunque sistema o metodo “è incapace di comprendere ciò che è vero». Di fatto, le accennate analogie sono relative, il taoismo e lo Zen hanno un sottofondo e implicazioni storico-esistenziali assai diverse. Forse bisogna tener conto però dell’eccesso, in parte spiegabile, di una reazione contro il farraginoso edificio teosofistico e il relativo bagaglio di credenze, di “iniziazioni”, di “esercizi”, di piani, di “corpi” e via dicendo.
Riguardo alle confusioni dianzi indicate, e anche possibile che le parole tradiscano il pensiero di Krishnamurti e che il carattere stesso della sua esperienza personale unitamente alla mancanza di una salda preparazione dottrinale abbiano impedito formulazioni più adeguate. Però le confusioni espressive potrebbero anche riflettere l’ambiguità della sua stessa esperienza, col risultato che nessun vero orientamento viene dato. In genere, come caratteristiche restano, in Krishnamurti, il rifiuto assoluto e indiscriminate di ogni autorità (il che potrebbe venire perfino spiegato psicanaliticamente, Krishnamurti nella sua famiglia avendo avuto a subire un ottuso despotismo paterno), la negazione di ogni tradizione  - quindi un individualismo e un anarchismo nel campo spirituale, ma anche, nel contempo, una specie di accanimento contro tutto ciò che è “lo”; egli mette la costruzione dell’lo, di “quella illusione che e l’lo”, sul piano stesso del “peccato originale” di cui parlano i cristiani. Ora, su questo punto bisogna intendersi. Il riferimento giusto potrebbe essere dato dalla massima iniziatica: “Chiediti se sei tu ad avere l’lo o se e l’Io ad avere te”.
Indubbiamente di un certo Io bisogna pur liberarsi; la via remotionis, la distruzione dell’ “uomo antico” (che poi, da un altro punto di vista, non è che l’ “uomo nuovo”, quello più recente) è una condizione che e stata sempre riconosciuta, per la reintegrazione spirituale. Ma in pari tempo bisogna sottolineare una fondamentale continuità e non insistere su rigide contrapposizioni. Acconcio sarebbe rifarsi al simbolismo dell’ermetismo alchemico il quale considera bensì un lavacro in un’ “acqua di Vita” che distrugge e dissolve, avvertendo pero che le sostanze a cui si può far subire tale bagno debbono contenere un grano d’oro indistruttibile (il simbolo dell’Oro si riferisce al principio lo) destinato a riaffermarsi su ciò che l’ha dissolto e a riemergere in una superiore sua potenza; senza di che, non si consegue la perfezione della “Grande Opera” e ci si arresta alla cosiddetta fase dell’albedo che sta sotto il segno della donna, anzi del dominio nel femminile sul maschile. Questo schema e assai più orientatore e mette a punto quel che è frammisto con le ambigue idee di Krishnamurti, nell’ordine delle quali la negazione dell’Io deriverebbe dal fatto che esso sarebbe un fattore statico, “un pacchetto inerte” che si oppone a quel continuo mutamento e a quella continua trasformazione che costituirebbero l’essenza sempre nuova e incoercibile del Reale. Su di un piano più contingente, Krishnamurti non avrebbe dovuto dimenticare una massima della tradizione della sua stessa terra, che, insieme ad ogni altra, egli vuol buttare in mare; “Che il saggio con la sua sapienza non turbi la mente di coloro che non sanno”. Andare a proporre idee le quali sono Vere, se mai, al livello di un Vero “liberato” a quei deviati che, come gli uomini moderni, di incentivi al caos e alla mala anarchia ne hanno fin troppi, non è di certo cosa saggia. Il fatto che spesso tradizioni spirituali e sapienziali, simboli, strutture rituali e ascetiche non siano più che forme vuote sopravviventi, non dovrebbe impedire di riconoscere la funzione positiva che esse possono avere avuto e che sempre possono avere nel quadro di una civiltà più normale e con riferimento ai pochi che sanno ancora capire, solo per i quali vale parlare e che possono anche concepire una autorità la quale non sia per nulla principio di repressione né di alienazione. Può far saltare le sovrastrutture, gli appoggi e i vincoli (spesso destinati solo a sorreggere) chi già sente di potersi tenere in piedi, Krishnamurti sembra non preoccuparsi di questo: incita democraticamente ognuno alla grande rivolta, non quei pochi pei quali soltanto essa può riuscire salutare e veramente liberatrice. E’ abbastanza significativo il fatto che dopo il 1968 si e potuta rilevare una particolare ricettività delle idee di Krishnamurti in ambienti di quegli studenti di molte grandi università che sono passati alla “contestazione”, al rifiuto di tutti i sistemi e i valori tradizionali, in nome di una “libera esplicazione del proprio essere”. D’altra parte era stato notato anche il fenomeno del cosiddetto mystic beat e del beat attratto dallo Zen per via degli aspetti irrazionali e di negazione quasi nichilistica e iconoclasta che questa dottrina iniziatica presenta. Ciò conferma il senso preoccupante e distorto in cui possono agire, oggi, alcune idee quando non si capisce il piano che condiziona ogni loro legittima formulazione. Questo accenno a certi ambienti di giovani occidentali che recentemente sono stati attratti anche dalle idee di
Krishnamurti ci pone altresì a rilevare un fenomeno più generale che, se non rientra nel campo dello “spiritualismo”, pure sta egualmente sulla linea delle aperture “estatiche” di cui si è detto, del resto da noi rilevato anche in fenomeni di esaltazione collettiva. Nella forma più perspicua, si tratta dell’orientamento appunto degli ambienti beat e hippy del periodo ultimo, nei quali l’impulso alla evasione spinge verso aperture ottenute con tecniche varie di una estasi caotica ma talvolta anche selvaggia. Qui l’uso delle droghe - dell’LSD, della maijuana e dello stesso hascisc - si associa a quello di uno jazz che riprende ed esaspera ritmi ossessivi analoghi a quelli delle cerimonie evocatorie e estatiche dei negri, aggiungendovisi talvolta gli spettacoli “psichedelici” e danze che, di nuovo, ricordano quelle impiegate dai selvaggi come strumenti estatici. Del resto, la frammistione di negri in questi ambienti è significativa; inoltre, nello jazz e nel bop gli esecutori o improvvisatori più quotati e che più suscitano un entusiasmo frenetico spesso sono anche dei drogati e nei raduni, nei quali convengono migliaia di giovani dei due sessi, non di rado spinti anche quasi compulsivamente ad accoppiamenti sessuali, si stabilisce una atmosfera di invasamento collettivo, la quale agisce nei singoli come una "liberazione".
A noi qui interessa considerare tutto ciò dal punto di vista particolare di possibili involontarie evocazioni di forze “infere”, come negli altri casi. In effetti, riguardo ai fenomeni di gruppo si sarebbe portati a vedere una analogia con la macumba e il cadombé, cerimonie che si sono continuate soprattutto nel Brasile e che mirano coscientemente a provocare fenomeni di invasamento.  Ciò che si deve mettere in rilievo é appunto che nel bear, nell’hippy e in ogni altro che segua quei rituali profani, il tutto può non ridursi alla semplice liberazione estatica o frenetica di un sottosuolo psichico; l’inserimento in lui anche di forze estraindividuali “infere”, alle quali per queste stesse vie e stata aperta una porta, è senz’altro possibile.
Certe azioni criminali e assurde compiute in margine a quel mondo dovrebbero spiegarsi riferendosi ad esse, più che poter essere attribuite all’individuo e alle sole influenze di una ideologia che nega ogni concetto di colpa conducendo verso il piano di una vita davvero “liberata”.

Fonte: tratto da "Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo", J.Evola (Ed.Mediterranee)