La propaganda di Veit Harlan, un problema metastorico

Süss l'ebreo (Jud Süß) è un film di propaganda nazionalsocialista diretto da Veit Harlan, fu una delle pellicole preferite di Heinrich Himmler.

Il lungometraggio di Harlan prende spunto dalla vicenda di Joseph Süß Oppenheimer, un finanziere di origine ebraica che visse nel ducato del Württemberg nel ‘700.

Nel film si narra la storia di questo tranquillo paesino tedesco nel quale un ebreo di nome Süss tenta di ingannare i suoi concittadini germanici attraverso un sistema di prestiti e conseguenti debiti di talleri verso il Duca. Pian piano egli diviene ministro delle finanze e la situazione degenera.

La trama dell'opera assomiglia al Faust di Goethe (con le dovute proporzioni qualitative) in chiave propagandistica, dove Faust è Suss, Mefistofele è la cultura ebraica, Gretchen è Dorothea e l'Arcangelo è la volontà "pura" del popolo del Wurttemberg, impavido nel ristabilire ordine, moralità e pulizia in una società avvelenata dall’avidità di potere di Opphenaimer.

Dal punto di vista filmico, il lavoro di Harlan e i suoi collaboratori fu davvero impeccabile, montaggio, fotografia, colonne sonore, costumi, attori e sceneggiatura straordinari.

Tuttavia, nonostante il valore del film, pesò la macchia propagandistica “antisemita”.

Ma trattasi davvero di un film così pericoloso? Proviamo a capirlo.

Innanzitutto bisogna cominciare a comprendere cosa significa la parola antisemitismo.

I “semiti” sono una famiglia di popoli che si è diffusa fra il Mediterraneo e l'Arabia meridionale, per poi estendersi anche nel Nordafrica, mentre l’aggettivo “semitico” corrisponde alla famiglia linguistica corrispondente. Pertanto l’accostamento che oggi si fa di questi due termini con “ebreo” ed “ebraico” è errato. Ne consegue che antisemita = antiebraico non è corretto, poiché il temine antisemita dovrebbe indicare l’ostilità totale verso l’intera famiglia semitica che oggi trova la sua componente più numerosa nelle popolazioni di lingua araba.

Detto ciò, il film non è certamente così macabro come lo si descrive considerando che non vi è una sostanziale differenza tra il lavoro di Harlan e “Il Mercante di Venezia” di Shakespeare, ritenuto all’unanimità un capolavoro mondiale, dove l’ebreo Shylock fu dipinto in maniera ancora più perfida rispetto a Suss.

Certo, chiaramente la difformità sta nell’utilizzo che si è fatto della pellicola in questione, dal momento che fu il più grande successo cinematografico della propaganda di Goebbels.

Ed è proprio questo il punto, l’ NSDAP utilizzò reali aspetti culturali, per estrarne un messaggio finalizzato a condizionare la coscienza del popolo tedesco durante la seconda guerra mondiale.

Ai tempi di Hitler, i documentari di propaganda mostravano come tutte le posizioni più rilevanti della società fossero occupate da ebrei, si creò così nella gente un sentimento di frustrazione nel momento in cui gli venne mostrata questa sopraffazione, ci si convinse che il popolo tedesco fosse alla mercé di un potere occulto e che il comunismo marxista (da Marx a Trotzky ) fosse una minaccia, anch'esso di derivazione ebraica.

La questione fondamentale però da porsi è questa: come mai nella storia si è ripresentato più volte il “problema ebraico”?

Le spiegazioni che si potrebbero dare a una domanda del genere sono molteplici ma partiamo da alcune basi.

Gli ebrei non costituiscono:

- una comunità religiosa (esistono difatti ebrei atei, agnostici, giudei, ortodossi, ebrei convertiti ad altro ecc)
- un gruppo nazionale (abbiamo ebrei israeliani, americani, russi, francesi, italiani ecc.)
- un gruppo linguistico (parlano inglese, francese, tedesco ecc), gli unici che parlano una lingua semitica sono quelli trasferitesi in Palestina.
- e soprattutto non sono una razza (troviamo ebrei bianchi, neri, gialli).

Ecco che dunque il “problema” entra in sfere più complesse.

Bisogna comprendere come questa “unità” abbia conservato nei secoli un' attitudine precisa verso funzioni sociali ed economiche molto particolari, come sia possibile che una percentuale così bassa dell’umanità sia sempre riuscita ad insediarsi nelle posizioni alte della società ed abbia spesso mostrato determinate caratteristiche, come per esempio la spiccata intelligenza in senso critico-matematico o le notevoli capacità commerciali ed economiche.

Per entrare nel cuore di tutto questo bisogna per forza di cose muoversi oltre il tangibile, attraverso il gioco delle azioni e reazioni concordanti, di cause ed effetti, ma al di là di orizzonti ristretti e materialistici.
Ogni qualvolta un effetto sopravanza e trascende le sue cause tangibili, ci si deve proiettare in una dimensione tridimensionale della storia per comprendere cosa rappresentano determinate ideologie sociali, politiche o religiose.

Esiste una relazione bidirezionale che regola la vita politica e la spiritualità.

L’ebreo come razza antropologica non esiste, bensì esiste come forma spirituale che ha dei caratteri dominanti.

Chi è interessato all’argomento può cominciare a studiare i fondamenti teologici della Torah, dello Zohar ed il Talmud. Letture complesse che richiedono tanto tempo e formazione.

Ma torniamo al film di Veit Harlan, che giustamente uscì innocente dal processo di Norimberga.

Prima abbiamo citato lo Shylock di Shakespeare, ma è pieno di esempi simili sia della storia recente che non.

Facciamone giusto qualcuno, F.Dostojevsky ne “I Demoni” dipinse in un determinato modo l’ebreo Ljàmsin, ne “Diario di uno scrittore” attaccava con furore il potere internazionale ebraico, e ne ”I Fratelli Karamazov” poi non mancano altri riferimenti.
Ma se si analizzano le opere di altri grandissimi autori, riconosciuti all’unanimità, è davvero pieno di rimandi, da Tolstoj che in "Guerra e Pace" fa comparire ebrei in qualità di trafficanti e usurai, in Gogol che in "Taras Bul'ba" dipinge l'ebreo Jankel come un prestatore di denaro, le lettere antisemite di Thomas Elliot, la cena dei Daudet descritta da Proust, la Divina Commedia di Dante, dai pamphlet terribili di Celinè (l’apice irraggiungibile dell’antiebraismo).

Ma non solo, Voltaire spese delle parole tremende, così come Martin Lutero (che viene anche citato nel film tramite alcuni versetti), gli anarchici Bakunin e Proudhon idem, stessa cosa dicasi per Napoleone, Cicerone, Tertulliano, Tacito, Orazio, Maometto sino a giungere all’epoca A.C con Diodoro o con le civiltà egizie.

Vi sono dunque inclinazioni precise, documentate storicamente, pertanto sorge la necessità di navigare tra storia, metastoria, leggi di natura, leggi metafisiche per una comprensione reale di questo fenomeno.

Quel che ha rappresentato la cultura ebraica da millenni è da un lato argomento di studio serio e complesso, dall’altro una tematica molto pericolosa poiché la presa di coscienza di determinate tendenze e caratteristiche può spesso far sfociare nell’astio.

D’altronde il fanatismo, incline a vedere dappertutto l’ebreo come il deus ex machina è una posizione banale.

Smuovere le masse rimanendo in superficie di questioni metastoriche, così come è stato fatto più volte in passato, ha creato, come sappiamo, violenza e distruzione.

E' necessario invece inquadrare un più vasto ordine di cause, prenderne coscienza e comprendere davvero un popolo antichissimo, certamente meritevole di rispetto con i suoi pregi e difetti.



                                                  

Il divismo in "Re per una notte" di Martin Scorsese

Re Per Una Notte è una delle migliori pellicole di Martin Scorsese, nonostante sia uno dei film meno considerati nella filmografia dell’italoamericano.

Nel 1983, il regista anticipava sul grande schermo la smania del divismo mediatico che al giorno d’oggi è divenuta oramai normalissima routine.

La trama vede un aspirante commediante, il grottesco Rupert Pupkin (Robert DeNiro), che spende il suo tempo nel mettere in scena spettacoli comici davanti ad un pubblico di cartone. Ossessionato dal celebre attore televisivo Jerry Langford (un abilissimo Jerry Lewis), comincia a pedinarlo nel tentativo di illustrargli i suoi progetti, dando così il via alle più sfrenate fantasie su una improbabile carriera da showman.

Il duro scontro con la realtà dei fatti costringerà però Rupert a prendere drastici provvedimenti..

Il Pupkin scorsesiano non è altro che un Travis Bickle che liberatosi dalla noia esistenziale metropolitana, focalizza la sua paura del “non essere nessuno” sulla possibilità di apparire in tv. 

Per emergere dalla mediocrità e dall'anonimato cittadino, egli tenta di essere qualcuno, di essere riconosciuto, di farsi approvare, solamente che questa volta, invece di ripulire la città con violenza, tenta di apparire in uno show televisivo.

Straordinario il lavoro di tratteggiamento della psicologia instabile e complessa di Pupkin, e strepitoso per l’ennesima volta Robert De Niro che si immerge nel personaggio in maniera minuziosa fornendo probabilmente la sua miglior interpretazione della carriera.

Il suo percorso verso il delirio viene ripreso in maniera lenta e graduale, senza mai alzare i toni della vicenda, ed in un' evoluzione narrativa sempre più assurda, viene mostrata la lucida determinazione del protagonista verso il suo obiettivo finale.

Il modo con cui vengono gestite le scene più imbarazzanti e la negligenza di Pupkin sono il magistrale frutto di una regia efficace e mai invadente, una macchina da presa che non prende mai il sopravvento su storia e recitazione, mantenendo così in perfetto equilibrio l’intero film e creando un costante senso di straniamento.

Lo humour presente è lontanissimo dalle classiche commedie americane, anche se a dir la verità, si percepisce il profumo di Blake Edwards alle fondamenta della struttura.

Lo stile si concilia perfettamente con i contenuti, la messa in scena generale ed i movimenti di macchina risultano del tutto funzionali alla drammatizzazione. L’impersonalità della regia trasmette una sensazione di alienazione. Un esempio? Quando viene ripresa l’immagine televisiva dello show di Langford, essa è sempre statica e senza profondità, ed è dunque lo stesso video che si fa portatore di contenuti degenti e massificanti.

Re Per Una Notte naviga per tutta la sua durata tra realtà e sogno, specie nella prima parte, dove questa opposizione diviene una caratteristica principale anche grazie all’ottimo lavoro in sceneggiatura di Paul Zimmerman con i suoi ambienti sempre molto curati ed in bilico tra il reale e il televisivo.



La fine di Von Thronstahl


I Von Thronstahl sono il progetto musicale dei due fratelli Josef Maria Klumb e Bernhard.
Nati nel 1995 dalle ceneri dei Forthcoming Fire, i tedeschi hanno prodotto negli anni ben 7 dischi e vari split.
I riferimenti principali sono Death in June e NON, ma la loro proposta è votata più verso sonorità marziali/militaresche che non sul Neofolk.
Abbiamo incontrato Josef Klumb per farci raccontare le impressioni di quasi 20 anni di Von Thronstahl e per fare quattro chiacchiere sul futuro.
Ciao Josef, inanzitutto grazie per la disponibilità. E' in uscita il nuovo "Corona Imperialis", ce lo presenteresti gentilmente?

Prego!
Corona Imperialis prende spunto dal titolo Imperium Internum, il nostro primo disco.
Il titolo è una metafora della realizzazione del proprio sé interiore. E’ un cd che esce postumo, che segna la fine e la redenzione di Von Thronstahl. E’ il ritorno all’ Imperium Internum, al nostro “Reich interiore”, negli anni trovato e poi perduto nel mondo manifesto.
Con Corona Imperialis si conclude definitivamente il progetto Von Thronstahl.

Non sapevamo fosse l'ultima uscita targata Von Thronstahl, ci hai spiazzato. In ogni caso ritorneremo sui perchè di questa scelta nel corso dell'intervista.
Gli ultimi Sacrificare e Germanium Metallicum han visto incrementare la componente strumentale. Il suono è divenuto più ricco, maturo e completo rispetto al passato. Se tu potessi tornare indietro nel tempo, i bellissimi E pluribus unum e Imperium Internum li faresti suonare allo stesso modo?

Certamente si.
Io penso che ogni disco vada contestualizzato in base alle circostanze ed agli umori del tempo in cui è stato registrato. I primi lavori che citi furono composti in maniera molto minimale a livello tecnico, ma le atmosfere erano più romantiche, più interiori, forse più profonde. Sono molto contento che E pluribus Unum e Imperium Internum suonino così puri e poco “heavy”.
Poi col tempo abbiano cominciato a suonare in maniera più professionale curando di più la parte strumentale, le sonorità di conseguenza sono divenute più complete e più votate alla descrizione del mondo esterno.

Gli arpeggi acustici, le parti orchestrali e le cadenze marziali dal sapore nostalgico della vostra musica sono note fuori tempo, ma danno un grande sollievo a chi si sente distante dalla modernità. Cosa hai tentato di trasmettere in tutti questi anni con Von Thronstahl?

Probabilmente attraverso la musica ho cercato di far rivivere il fuoco della tradizione, ma è evidente che non era possibile immettere troppe idee “vecchie” in una concezione del mondo come quella odierna.
Tramite una visione metafisica, ho cercato di non prendere residenza nel presente, guardando con nostalgia vecchi tempi e vecchie leggi. Ciò non significa che io abbia tralasciato le responsabilità del presente, un presente da affrontare senza malizie, senza spirito di contesa e senza mai ignorare ciò che è più grande di noi, che è oltre la comprensione.
Il tentativo Von Thronstahl si è però concluso con un’ implosione, con un collasso e un finale amaro.
In un ordine di cose in cui la strada tradizionale è divenuta conformismo, mi sono dovuto confrontare con tante bugie e con gente che si auto-ingannava dietro maschere tradizionali tramite storielle così false che inevitabilmente si entrava in collisione. Tutto ciò non è stato piacevole e così ho preferito prendermi del tempo per pensare.
Oggi la situazione mondiale attuale ci indica che non è il momento della semina o del raccolto, siamo in una fase intermedia.
Non c'è più tempo per me di guardare indietro e di cogliere retro citazioni della storia, ho bisogno di riflettere sulla creazione di ciò che è ancorato al di sopra e al di là del tempo.
Sento che verrà scritto un nuovo grande libro nella storia. Non soltanto un capitolo, come le ultime decadi di età, ma proprio un nuovo libro di storia del mondo, che potrà così ricominciare a germogliare dopo la tempesta.
L’esperienza artistica Von Thronstahl è così giunta alla conclusione, mi sono reso conto che l'essenza di 10.000 anni, l'essenza della Tradizione, non erano più grandi del mio cuore e della mia anima.

Josef quanti problemi hai incontrato durante la tua lunga carriera musicale per via delle tue idee? Però nulla ti ha scalfito negli anni, anzi disco dopo disco sei diventato sempre più esplicito...

I problemi sono stati infiniti. Sono stato in guerra contro tutto e tutti, il mondo, il tempo e anche me stesso. Ho combattuto una guerra illusoria destinata alla sconfitta.
Si ho perseverato, sono stato testardo. Spesso a stare in prima linea ci si tempra, è un percorso trasversale di vita che non siamo abituati a considerare come sentiero, ovviamente provoca problemi.
Ma d’altronde le crepe nella mia intera matrice ideologica erano molto grandi anche perché gli ultimi 10.000 anni di storia sono stati all’insegna della distruzione e della rovina.
C’è solo una via d’uscita a fronte di tutto ciò, cercare di essere se stessi, fare un percorso interiore verso una visione della vita più elevata, verso un mondo regolato in maniera trascendente.

Hai suonato alcune volte in passato nel nostro paese. Come ti sei trovato? Cosa ne pensi dell'Italia e della sua storia?

Roma e l’Impero Romano sono coinvolti in tutte le nostre memorie. Ricordi di sangue, di incarnazioni e di matrici storiche.
E’ stata e rimane il centro del mondo occidentale, da lei si può partire disegnando un cerchio con un compasso. Volendo possiamo tracciare altri due cerchi che partono da Berlino e da Monaco di Baviera.
Roma e le terre oltre il mare Mediterraneo non sono solo idee geografiche.
La maggior parte della gente contemporanea è composta da nativi europei, è giunta attraversando lunghe strade, da Babilonia, all’ Egitto, all’antica Sumeria, sino alla Palestina, e si è reincarnata nell’Europa di oggi, in questo spazio-tempo.
Nel 1945, con il declino di Berlino e la Germania anche la fiamma di Roma è morta.
Si, in passato sono stato da voi per alcuni concerti, ma non solo, personalmente mi piace molto fare ogni tanto dei viaggi verso il lato ovest del lago di Garda, è un bagno di freschezza antica, si respira un’ antica energia, mi diletto in splendidi momenti mediterranei.

Bellissima Europa Calling contenuta in Mutter Der Schmerzen. Splendida colonna sonora dell’Europa che fu… Don't you know a fire's burning. Since the ancient times of Rome”. Un brano straniante nei tempi in cui l’Europa è divenuta una macchietta tecnocratica. Come è nato il pezzo?

Il pezzo è nato da una sensazione di malinconia e tristezza per quel che l’'Europa è diventata oggi.
Tuttavia il mio sguardo malinconico e nostalgico comprende la consapevolezza del fatto che le forze attualmente in gioco in Europa sono diventate molto forti.
Accetto l’Europa come fenomeno decadente, anche perché so che ciò che è destinato alla distruzione deve inevitabilmente crollare, e che dietro le trappole create appositamente nasceranno nuovi cambiamenti.
Questa decadenza generale dovrà portare alla nascita di una nuova era. Tra America ed Europa, non c’è differenza ormai.
Sotto i grandi cambiamenti e le incertezze del mondo sorgerà un nuovo campo di forza di incredibile magnitudo. 

Ci ha incuriosito uno split assieme al progetto The Days Of Trumpet Call intitolato "Pessoa/Cioran". Come mai la scelta di questi due grandi scrittori?

Cioran ci ha ispirato per i suoi sentimenti di tristezza e rassegnazione… un uomo tra le rovine.
Pessoa per le sue sensazioni di estraneità, e per la sua enorme profondità.
Trovo questi uomini molto interessanti come rappresentanti e lucidi osservatori dei nostri tempi. Il cd in questione nacque in occasione di un concerto in Portogallo.

Hai partecipato tempo addietro alla compilation "Cavalcare la tigre". Cosa ne pensi di Julius Evola? E' tra i tuoi punti di riferimento culturali?

Dopo la distruzione del mondo nel 1945, Evola è stata una di quelle figure che si presentano una volta ogni cento anni. La sua aura è un’ aura senza tempo, la dimensione della tradizione.
E’ certamente una sfida difficile combattere “contro il mondo moderno" ma Evola ha insegnato che cavalcando la tigre ce la si può fare. Egli è e rimane uno spirito venerabile della vecchia scuola, per ottenere indicazioni sulla via per ciò che verrà dobbiamo rivolgerci a lui.

Quindi ci confermi che non ci sarà nessun progetto futuro per Von Thronstahl?

Esatto.
Von Thronstahl non ha alcun futuro. Von Thronstahl è morto, così come la sua matrice ideologica.
La nave è naufragata sulle scogliere di tutto il mondo, ma io sono sopravvissuto.

Recentemente siamo stati in Germania, nella Bavaria, nella Westphalia, nel Baden Wurtennberg, amiamo il vostro paese e la sua cultura, tuttavia abbiamo notato una enorme severità delle autorità tedesche su tutto ciò che può riguardare, anche solo indirettamente, la seconda guerra mondiale. Il sole nero ad esempio, simbolo antichissimo, che spesso è comparso sulle vostre copertine, non viene visto di buon occhio, come mai secondo te?

Perché la maggior parte della gente lo associa a qualcosa che riguarda il loro recente passato, diciamo che lo accomuna al periodo tedesco compreso tra il 1933-1945.
Le persone si sono convinte che questo antico simbolo non sia conforme alle loro idee di vita e molto probabilmente fa riemergere loro tanti umori nascosti ed energie profonde che cozzano con la superficialità della vita odierna. Ma bisogna guardare oltre.
Per quanto mi riguarda, attraverso tale simbolo è possibile dare uno sguardo più approfondito alla creazione universale.
La mia opinione è che l'idea del Sole Nero ci trascina sempre più verso una via di amore cosmico.
Ora abbiamo raggiunto un livello tale per cui la tradizione passa solamente attraverso l'essenza. Oggi non sono più importanti i rituali o il folklore, bensì sentire appunto la vera essenza della tradizione interiormente. Solo le anime in grado di fare ciò sopravviveranno alla grande tempesta.
Qualcosa ci dice che il sole nero sta al centro dell’universo, nel cosiddetto "Götterdämmerung" (Il Crepuscolo degli Dei).
Nuovi dei, una nuova umanità risorgerà e per me l'idea di un sole nero che chiama significa che dovremmo aprire le nostre menti e le nostre coscienze a tutto l'universo e a tutte le potenze che vengono dallo spazio oltre la terra. Qualcosa di nuovo o qualcosa di eterno sta arrivando. Se il sole nero potesse parlarci, direbbe:  “Chiudete il capitolo, eliminate le regole, cacciate via i rituali, tenete l’essenza di tutto ciò che pensate sacro e apritevi al raggio drenante del cuore cosmico”
Quindi se un sole nero è vivo, sarà connesso con la mente del sole d'oro e con il plesso solare all’interno di noi.
Diciamo anche che oggi è oramai diventato mainstream il suo utilizzo in certi ambienti e probabilmente se non fosse stato così abusato in alcuni ambiti, essendo un simbolo che deriva dalle profondità del cosmo, avrebbe attirato l'attenzione più per l'infinito e per le sue radiazioni che per le realtà terrene di natura politica.

Sempre tornando al discorso del modus operandi della Germania contemporanea, c’è quasi una sorta di sclerosi, di paura, ultimamente alle olimpiadi una ragazza tedesca è stata squalificata poiché "presunta fidanzata" di un membro di un partito nazionalista tedesco. La domanda sorge dunque spontanea, come convive una persona con le tue idee in uno stato simile?

Io ho vissuto ai margini. Da qualche parte tra passato e futuro. Non è stato facile, ma molto interessante, a volte anche stimolante.
Ora però l’importante per me è vivere la mia vita giorno dopo giorno, nel qui ed ora, conscio di provenire da un passato profondo e diretto verso un futuro senza fine, voglio davvero immergermi nel mondo di oggi.
Per quanto riguarda la ragazza squalificata, che dire, vedo tutto questo come un vecchio film in esecuzione, dove ci sono i perdenti tedeschi della guerra che tentano di esorcizzare qualsiasi cosa accaduta tra il ’43 e il ’45 per autoconvincersi di avere il diritto di esistere nell’era post 1945.
Ma è tutto solamente commedia, una fragile commedia umana. I media tedeschi poi sono dei teatranti amatoriali. Senza senso.

Grazie Josef per la tua disponibilità.

Grazie a voi.
Not only bad man rises.



La condanna dell’usura secondo la dottrina cristiana tradizionale

La dottrina cristiana tradizionale si è espressa in maniera chiara e netta sull’uso del denaro ed in particolare sul divieto del prestito ad interesse, cioè dell’usura che ai giorni nostri è praticamente il faro che illumina la corrotta società occidentale.

Lo studioso di religioni comparate Dag Tessore ha portato in risalto diversi passi che vanno in tale direzione, li segnaliamo:

1) E’ vietato prestare denaro esigendo interessi (usura). Quindi sono proibite, ad esempio, tutte le banche che prestano denaro ad interesse, o che danno mutui, o qualunque altro genere di transazione finanziaria in cui vengano richiesti o pagati interessi.

Sacra Scrittura.

Deuteronomio 23,20: “Non farai al tuo fratello prestiti ad interesse, né di denaro, né di viveri, né di qualunque cosa che si presta ad interesse”(cfr anche Es 22,24; Lv 25,35-37).

Ezechiele 18,8: “Non presta a usura e non esige interessi”.

Siracide 8,12: “Se dai in prestito, sii in perdita”(cioè non guadagnarci)

Luca 6,34-35: “Se prestate a coloro da cui sperate di ricevere qualcosa, che merito ne avrete?...prestate invece senza attendervi nulla in cambio”.

Padri della Chiesa

Canones Hippolyti, 71,15: chi non si astiene dal prestito ad interesse non può accedere al battesimo, cioè non può diventare cristiano.

Sant’Agostino, Enarrationes in psalmos, 36, Serm.3,6: “Se ti aspetti di riavere più di quello che hai prestato, sei un usuraio e sei da condannare”

Clemente Alessandrino, Stromati, II, 18 (PG 8,1016): “La Legge di Dio…non permette che si ricevano interessi sul denaro”.

Fozio il Grande, Syntagma kanonon, IX, 27: “La proibizione di ricevere interessi mi pare che riguardi tutti i casi di prestiti e di contratti”.

Interi libri dei Padri della Chiesa sono dedicati alla condanna del prestito ad interesse, ad esempio:

San Gregorio di Nissa, Contro gli usurai (PG 46,433);

San Giovanni Crisostomo, Contro gli usurai (PG 61,121.367);

San Giovanni Damasceno, Sul prestito ad interesse (PG 95, 1364);

Nicola Cabasila, Discorso contro gli usurai (PG 150, 728);

Altri brani patristici in cui è condannata severamente la pratica del prestito ad interesse: San Cipriano, De lapsis, VI; Tertulliano, Adversus Marcionem, IV, 17; Constitutiones Apostolorum, II, 6; San Basilio, Epistole, 188; Commodiano, Instructiones, LXV (II, 20); Lattanzio, Divinae institutiones, VI, 18; San Leone Magno, Sermones, XVII.

Concili.

Concilio di Ippona, can. 22: “Nessuno riceva più di quanto ha prestato, che si tratti di denaro o di qualunque altro bene”.

Concilio di Cartagine, can. 5: “Sia vietato a tutti i chierici di prendere interessi da qualsiasi bene”, “cosa biasimevole anche per i laici”.

Altri canoni dei Concili che condannano il prestito ad interesse: Concilio del Trullo, can. 10; Concilio di Laodicea, can. 4; Concilio di Elvira, can.20 (scomunica ai laici che prestano ad interesse); il Concilio di Arles, can. 22 (scomunica ai chierici che prestano ad interesse); Concilio di Orléans III, can.30 ; Concilio di Cartagine, can. 20. E ancora: Canoni Apostolici, can. 44; San Gregorio di Neocesarea, can. 2; San Gregorio di Nissa, can. 6.

Leggi Imperiali.

Anche la legislazione di ispirazione cristiana ha condannato l’usura in ogni sua forma: Imperatore Basilio il Macedone (IX sec.).

2) “I Padri condannavano l’assunzione di interessi in assoluto, non solo di interessi esagerati, ma anche di interessi moderati”.

3) Il divieto del prestito ad interesse “riguarda non solo i prestiti in denaro ma anche i prestiti di qualunque altro bene”.

4) Essendo severamente vietato il prestito ad interesse, è vietato collaborare e avere a che fare con le banche e gli altri enti che operano con usura. Cfr. ad esempio San Niceforo il Confessore, can.31: “ Il sacerdote non dia la comunione a coloro che prendono interessi, e non sieda a tavola a mangiare con essi”.

5) Chi deposita denaro in banca, aprendo un conto bancario, è come se prestasse del denaro alla banca, la quale sfrutta e investe tale denaro per farlo crescere e in conseguenza di ciò paga al cliente gli interessi. Perciò chi deposita soldi in banca non fa altro che dare (alla banca) un prestito ad interesse, e ciò è vietato.

6) Chi, avendo un conto in banca, riceve dalla banca degli interessi, deve considerare tali interessi un guadagno illecito e proibito e quindi deve subito restituirli alla banca stessa oppure elargirli ai poveri.

San Basilio, can. 14: “Chi riceve interessi, distribuisca ai poveri l’iniquo guadagno”

Salmi, 14,5: l’uomo timorato di Dio “non presta il suo denaro ad interesse e non accetta guadagni a sfavore degli innocenti”.

7) Qualunque investimento di denaro che implichi scommessa a rischio, speculazione e azzardo (per es. investimenti in borsa e simili) è vietato, e i guadagni che ne derivano sono vietati.

Sant’Ambrogio, De Tobia, XIV: “Tutto ciò che si basa su speculazione e azzardo è una forma di usura”.

8) E’ lecito investire soldi prestandoli ad un ente commerciale o finanziario come quota azionaria: se poi l’ente, attraverso le proprie attività commerciali, riporterò guadagni, colui che ha investito riceverà una quota proporzionata dei guadagni; se invece l’ente subirà delle perdite, colui che ha investito subirà anch’egli, sulla sua quota, una perdita proporzionata. Se invece il cliente riceve in ogni caso solo guadagni , allora si tratta in realtà di una forma mascherata di usura. >>

Inutile sottolineare  come oggi ci ritroviamo esattamente nella situazione opposta. L’usura, le banche private, il sistema a debito e la mentalità distorta di economisti e finanzieri sono un evidente segno dei tempi.

Oggi le parole dei Padri della Chiesa appaiono come un lontano ricordo.



L'isteria di Zulawski

"Oscenità", "Demenza" e “Follia" sono ingredienti che, se piazzati come si deve nel cinema, non possono che portare questa pseudo arte a raggiungere certe vette proprie delle vere arti (pittura, scultura, musica ecc).

Nessuno ha mai raggiunto l'isteria di Zulawski; nessuno ha mai pensato di eguagliarne o imitarne l'epilessia e l'irresponsabilità sconnessa. In questo senso Zulawski, con questa sua isteria introiettata nel corpo dei suoi attori, supera la rappresentazione, sabotandone così violentemente l'immagine data e la sua possibilità di ricezione. Ecco perché è stato uno degli unici ad andare oltre il cinema, come pochi hanno voluto fare, pensiamo a gente come Bene, Jancs, Tarr o Welles.

Prendiamo come esempio Diabel (Diavolo), il suo secondo lungometraggio, che è già un capolavoro. Un film che fu ultra censurato in patria con il regista  costretto all'esilio dalla sua Polonia dopo l'uscita del film. 

Una pellicola assolutamente isterica, ma non perché si urli in continuazione o perché gli interpreti si sbraccino, si dimenino costantemente e la mdp corra senza fermarsi un solo momento. No, l'isteria di Zulawski è una pratica di disubbidienza ontologica, segno di vita in un mare di morte, si tratta di un'isteria lucidissima e non paradossale: Zulawski guarda e sente con attenzione ferina, e dis-mette in scena con una capacità sensoriale inusitata, adoperando i movimenti epilettici e le urla dei suoi attori come un cannone, senza mirino, senza piani d'attacco mirato. Trattasi di un'opera "spiritata", posseduta, terroristica, voluttuosa, instancabile, fuori regola e fuori sincrono.

Il tema è quello di una Polonia (terra di origine del regista) che in tutta la sua storia è sempre stata soggiogata, irrisa e malmenata dallo straniero, una terra dove il caos ha regnato sovrano.
Il contesto storico è la Polonia invasa dall'esercito prussiano poi sottoposta alla spartizione (i territori finiranno nelle mani di Austria, Russia e Prussia).
Il protagonista Jakub è un contestatore sovversivo che si oppone alla monarchia polacca prima dell’invasione da parte dei prussiani( allora si chiamava confederazione polacco-lituana).
Jakub essendo un sovversivo, finisce in galera ma appena la monarchia crolla sotto i colpi dell’invasione dei prussiani ecco che un misterioso personaggio dostojevskiano, una palese allegoria del “diavolo”, nelle sequenze iniziali lo libera. Questo oscuro soggetto non è altro che una spia del nuovo governo che sta insediandosi nel territorio conquistato, un agente segreto che libera il giovane dissidente, nel tentativo di corromperlo viste le sue idee progressiste in nome del regime ex novo. La spia lo condurrà per tutto il film, come Virgilio guidava Dante attraverso i gironi bestiali dell’inferno, in un mondo in cui ormai non esistono più nè morali nè etica, dove la madre di Jakub è diventata una meretrice e la sorella fedifraga, il Diavolo dopo aver mostrato a Jakub lo stato di corruzione morale in cui versa ormai il suo paese, e soprattutto il suo mondo affettivo, gli intima di vendicarsi da sè e fare un po’ di pulizia uccidendo chiunque gli capiti a tiro. Jakub, giovane progressista pieno di speranza nel cambiamento, impazzirà nel constatare che il problema non era il pregresso regime, ma che il problema è il potere in assoluto, sia esso progressista o dittatoriale.
Ed è qui che troviamo la metafora storica tra il periodo analizzato nel film e quello a cui intendeva riferirsi presumibilmente Zulawski, cioè il periodo dei regimi del novecento, fino alla dittatura monetaria che persiste oggi. Quando la spia-diavolo si trasforma in lupo, egli non è altro che l'essenza malefica che lascia il corpo di Jakub a missione compiuta.

Al pubblico Zulawski non piace, deve non piacere perché i suoi film non possono piacere; un cinema respingente, che fa la bava, come appunto un epilettico.



Il dualismo in Antichrist di Lars Von Trier

Cupissima visione di Von Trier.

La situazione della razza umana non è che sia così incoraggiante, i cicli vichiani lasciano i tempi che perdono… “il caos regna", verità facilmente confutabile se pensiamo che perfino Spinoza disse che è impossibile che l'uomo non sia parte della natura e possa non subire altri mutamenti diversi da quelli che si possono conoscere mediante la sua sola natura e dei quali egli è causa adeguata.

La potenza, mediante la quale le cose singole, e quindi l'uomo, conservano il loro essere, è la potenza stessa di Dio / Satana e quindi della natura, non in quanto è infinita, ma in quanto è il tutto, quindi la potenza dell'uomo in quanto si esplica mediante la sua essenza attuale, è parte dell'infinita potenza, cioè dell'essenza di Dio, ossia della natura.

La protagonista dice:

"La natura è il tempio di satana"

Questo è il fulcro dell'opera, la natura vista come esito puramente malvagio e l'atto sessuale, che è uno dei momenti clou nel quale questa natura animale ed umana si esplica, è impura senza se e senza ma, il piacere sessuale stesso si origina da fantasie che sono violente, raccapriccianti, grottesche, oblique, direi folli per non dire fantasiose, la protagonista si taglia il clitoride per espiare (lascia di fatto cadere il figlio proprio al culmine dell'orgasmo).

Come diceva anche il primo Freud, ci sono forze pulsionali che sono al servizio della morte, non solo della vita. Queste pulsioni di morte, la cui meta è la soppressione di ogni tensione energetica e il ripristino di uno stato inorganico, il drammatico dualismo tra vita e morte, hanno un carattere regressivo, ovvero la tendenza a ripristinare uno stato anteriore.

La scoperta di questo carattere regressivo della pulsione, insieme all'individuazione delle pulsioni di morte spinse Freud a formulare una paradossale concezione monistica secondo la quale tutte le pulsioni che operano nella vita umana sono pulsioni di morte.
Queste pulsioni sono perciò destinate a dare la falsa impressione di essere forze che tendono al cambiamento ed al progresso, mentre, in realtà, esse cercano semplicemente di raggiungere un’ antica meta seguendo vie ora vecchie, ora nuove, ogni cosa che vive muore per cause interne, tornando allo stato inorganico. Allora bisogna anche avere il coraggio di dire come fecero sia Freud che Lacan che " la meta di ogni vita è la morte e nient'altro".

In questo quadro alle pulsioni di auto conservazione viene assegnato il compito di garantire all'organismo il suo cammino verso la morte, l'organismo desidera inconsciamente solo di morire a modo suo.

Oltre il dualismo vita / morte, Von Trier analizza il dualismo maschile/femminile; solamente facendo fuori la parte femminile il protagonista nelle battute finali torna in pace col mondo, in quanto ha superato il dualismo, l'apollineo si è disfatto del dionisiaco, ha imparato a provocare dolore, il dualismo si è risolto. Dafoe ora uomo libero le dà fuoco come si faceva con le fattucchiere.

Così quando l'esercito femminista di donne senza volto, streghe giustiziate al rogo colpevoli di tentare di sovvertire "l'ordine divino delle cose" (oggi più che mai in epoca di deregolamentazioni e di neoliberismo giacobino femminista massonico), viene giù dalla collina, Dafoe ci passa attraverso con lo sguardo e quasi non fa più caso a loro, quasi come un castrato, quasi come se si sia davvero liberato.

"A questo buio dentro noi femmineo e la luce del giorno disastro"



Vase De Noces, tra Bosch, Artaud, Bruegel e Jung

 

Vase De Noces è un lungometraggio del Belga Thierry Zèno, è un perfetto esempio di cinema che va oltre il cinema. Qui si eccede, non si può neppur più parlare di settima arte, bensì di film che filma se stesso.

Per far comprendere la tipologia di film, i primi accostamenti che possono venire in mente sono Porcile di Pasolini, il pattume di Ciprì e Maresco ed il weird di Begotten.
La fonte di un'opera simile tuttavia non va ricercata in altre pellicole( tra l'altro, escluso Porcile, vengono tutte dopo) ma nell'arte di Hieronymus Bosch.
Bosch fu un pittore olandese del quattrocento che nel periodo dell'umanesimo italiano, negava la supremazia dell'intelletto mettendo in risalto gli aspetti trascendenti ed irrazionali.
I suoi quadri sono esattamente come film, in quanto possiedono una sorta di dinamismo sospeso, difatti non a caso molti dettagli delle opere di Bosch si ritrovano rappresentate in Vase de noces.

Un altro riferimento importante per il film di Thierry Zeno è L'Art Brut, un tipo di arte portata avanti da personaggi estranei a qualsiasi contesto culturale e derivanti da ospedali psichiatrici. Folli che esplorano il subconscio al di fuori delle norme estetiche convenzionali e senza preoccuparsi di essere capiti o accettati.
Certamente ad una visione superficiale questo film può esser scambiato per un mero tentativo di rendersi disgustoso e provocatorio agli occhi dello spettatore, ma non è così. La grande distribuzione ha tentato di venderlo con un titolo differente, "The Pig Fucking Movie", spacciandolo per una sorta di porno zoofilo.

Innanzitutto partiamo dal titolo, "La vase" è il fango, ovvero la mescolanza tra terra e acqua. Nelle allegorie alchimiste il vaso è un elemento primordiale. È nel vaso che l'alchimista mescola gli elementi che si trasformeranno in qualcos'altro.
La parola "noces" ("matrimonio") deriva direttamente da "Le Nozze Contadine", un dipinto del pittore fiammingo Bruegel. L'uomo che rappresentava Bruegel nei suoi quadri era una creatura grottesca che simboleggiava ironicamente le debolezze umane, immerso in un universo decadente composto da paure e deformazioni.
L'alchimia è certamente una delle tematiche principali del film, il regista stesso ha affermato come i libri di Jung sull'alchimia siano stati un importante elemento nel processo di scrittura. Difatti l'uomo, ritrovatosi solo, tenta degli esperimenti alchemici con l'obiettivo di trascendere il proprio corpo superandone i limiti e le leggi naturali. La coprofagia mostrata ha una connotazione psicanalitica e simbolica, gli escrementi possono essere considerati la materia che muta, una disperata ricerca di purificazione degli aspetti carnali del nostro corpo, ricavare qualcosa di spirituale nella materia.

A Bosch, a Bruegel e all'alchimia, aggiungiamoci infine anche il teatro della crudeltà di A.Artaud ed il cerchio si chiude.

Vase De Noces è, al di là di tutto, un' esperienza estrema dove si tenta di evocare un male immateriale, un principio sovrannaturale che deformi la materia, un dinamismo ostico e contro natura.
La struttura narrativa è inesistente ed incoerente, complessa dunque da descrivere. Vi è solamente un personaggio umano in tutto il film (il co-sceneggiatore Dominique Garny), egli s'aggira per una fattoria abbandonata tra suini e pollame, demolendo gradualmente i limiti che dividono l'uomo dall'animale. Tenta di attaccare teste di bambola sul capo di piccioni, mangia feci che raccoglie in barattoli e si accoppia con una scrofa. Quest'ultima a sua volta procrea dei maialini mutanti che il protagonista prontamente impicca, in preda al dolore fugge allora impazzita, ma viene ritrovata morta in una pozza di fango. L'allevatore la recupera e tenta di seppellirsi assieme a lei , ma dopo qualche tentativo esce dalla fossa e rimasto solo decide di impiccarsi.

Girato in B/N, sonoro ma non parlato, Vase De Noces è un incubo visivo dalla poetica surrealista, è l'apoteosi del caos primordiale dove istinti animaleschi e regressioni psicotiche si fondono in orizzonti inesplorati.
Straordinarie le musiche di Alain Pierre ad accompagnare le inquadrature di paesaggi minimali da immaginario alchemico.
Una visione certamente ostica, colma di scene al limite del sopportabile, specie quelle in cui il protagonista attua estremi tentativi per trascendere la propria corporeità e decomporre il proprio ego.
E se Pasolini utilizzava i maiali in modo simbolico e politico, qui si va oltre, collegandosi all'alchimia in un contesto di cinema sperimentale.

Il regista belga trascina lo spettatore in un universo regressivo, dove il contatto con la realtà è annientato a vantaggio dell'esplorazione degli abissi primordiali.
Vase De Noces è un capolavoro simbolico e dissennato.

"Ho vissuto i giorni delle riprese come in uno stato di "trance" Eravamo isolati e noi tre vivevamo vicino alla location del film le nostre vite erano assorbite dall'atmosfera del film.
Ci siamo occupati di tante cose come nutrire gli animali o seguire altri aspetti logistici. Non c'era una separazione tra i nostri ruoli come se uno dovesse occuparsi del suono e un altro delle luci. Collaboravamo tutti facendo quello che era necessario fare.
Abbiamo girato per un mese e I'abbiamo trascorso completamente immersi nella storia e in questa specie di pazzia che stavamo vivendo. Forse la parola "trance" è un po' esagerata, ma non avevamo certo un piano di lavorazione che ci diceva quando iniziare e quando finire. È stata un'esperienza di vita ma anche un'esperienza personale. Non avevamo disciplina."


"Io non sono un violento ma certamente I'arte deve essere violenta. Dato che sono un ammiratore di Ingmar Bergman, ho recentemente visto uno dei suoi classici Sussurri e Grida.
C'è una sequenza molto disturbante, dove una delle attrici si mutila il sesso con dei cocci di vetro per poi mostrarlo al marito negandosi a lui. È indubbiamente violento, ma appartiene all'arte come i quadri di Goya o certe poesie di Baudelaire che parlano di banchetti a base di feti cucinati."
L'arte non ha limiti riguardo alla morte. Anche quando nel cinema un animale già morto viene usato per evidenziare la crudeltà."



Calvaire, metafore tra Kafka e Delvaux

 

Calvaire è il titolo dell'esordio registico del belga Fabrice Du Welz.

La trama vede un cantante girovago esibirsi in ospizi e piccoli locali, fino a che un giorno il suo furgone si pianta in mezzo ad una foresta per via di un temporale. Egli si ritroverà nei pressi di una locanda sperduta in un paesino abbandonato, qui farà la conoscenza del signor Bartel, in apparenza un uomo gentile ed ospitale che gli fornisce vitto e alloggio, ma che poi nella realtà si dimostrerà un folle..

Dopo aver visto Calvaire i primi accostamenti che vengono in mente sono André Delvaux, Franz Kafka, John Boorman, Gaspar Noè e Tobe Hooper.
Si perché nella pellicola di Du Welz spiccano le sensazioni di impotenza di Marc (il protagonista) una volta entrato nel vortice psichico del signor Bartel, le ambientazioni sporche, la regia virtuosa e la fotografia psichedelica.

Welz trascina lo spettatore in una ossessiva storia di paranoia e solitudine, in cui la vittima diviene a poco a poco un mero oggetto sessuale conteso fra differenti uomini.
Il protagonista viene privato di ogni dignità, la comunicazione coi carnefici risulta impossibile, essi sono accecati dagli istinti sessuali più compulsivi dovuti alla mancanza del femminile e Bartel costringerà Marc ad incarnare i panni dell'amata e odiata Gloria, la sua ex consorte.
Tuttavia le "torture" e le scene violente non la fanno da padrone, perché Calvaire non bada all' estetica del cruento bensì mette al centro la violenza psicologica, il calvario di un essere umano che crolla in un microcosmo in cui il muro dell' incomunicabilità è invalicabile e la donna è scomparsa.

Difatti il fulcro del film è proprio la totale assenza di figure femminili, vi è un uomo vittima fra gli uomini, il maschio viene umiliato e violentato, in un paese dove l'assenza di donne funge da metafora della sempre più rara femminilità nel mondo, quasi sempre ridotta ad ammicchi sessuali e scimmiottamenti mascolini in nome di una grottesca idea di parità dei sessi.

Mr. Bartel (un magnifico Jackie Berroyer) simboleggia la solitudine del misantropo rinchiuso nei suoi schemi mentali, che causa fallimenti amorosi perde la percezione del reale sprofondando nel delirio ed i suoi compaesani sono le sue stesse ombre, spinti dai medesimi impulsi.

Ad una prima parte statica e descrittiva, Du Welz contrappone nella seconda metà un montaggio dinamico, con inquadrature sfuggenti, strepitosi piani sequenza, zoommate e frequenti soggettive.
La fotografia plumbea di Benoît Debie è poi l'elemento che dà l'apporto fondamentale alla riuscita dell'opera.
Debie risulta in perfetta sincronia con lo scenografo, i colori mutano in maniera decisa fra degli interni claustrofobici e gli esterni desolanti, dominano il grigio, il rosso ed il marrone.

Ciò che caratterizza ulteriormente in positivo Calvaire sono le inquadrature dei paesaggi boschivi di un Belgio silente e avvolto dalla neve, paesaggi che si sposano alla perfezione con le sensazioni di alienazione in cui vivono gruppi di boscaioli e contadini dediti ad usuali rapporti carnali con animali.

La prima pellicola di Fabrice Du Welz è in definitiva un dramma violento, iperrealista e antididascalico, capace di creare sensazioni di angoscia, ed il tutto non sotto forma di manierismo di genere, ma con uno stampo autoriale di discreta fattura.



Il cinema strutturale di Michael Snow

 

Michael Snow è un regista canadese, tra i maggiori esponenti del cinema strutturale.
Tra le principali influenze di questa corrente troviamo le sperimentazioni di Andy Warhol e quelle di Stan Brakhage.
Brakhage è affine da un punto di vista stilistico, mentre Warhol da un punto di vista empirico, nel senso che non si fermava ad una sperimentazione di tipo estetico, bensì andava verso un approfondimento sulla tecnica cinematografica come costruttrice di finzioni, approfondendo l'aspetto sensoriale in un' ottica quasi allucinogena.

I primi lavori di Snow, tra cui Wavelenght, rappresentano una riflessione sull'essenza stessa del cinema, realizzata attraverso un codice filmico preciso.
Il titolo del film deriva dalla raffigurazione delle onde nella fotografia, ma si riferisce anche alle onde sonore che si odono per 42 minuti, tra note gravi ed acute.

Wavelenght è un lunghissimo zoom in avanti che procede lentamente, riprendendo un locale vuoto con porte e finestre, concludendosi con un dettaglio di una fotografia attaccata al muro.
Durante questo graduale processo, l'immagine viene manomessa da svariati filtri cromatici ed effetti.
Si svolge nel frattempo anche una brevissima storia(di cui però la cinepresa si disinteressa) in cui un uomo si accascia a terra ed una donna parla al telefono, probabilmente in ansia per l'accaduto. Ma in ogni caso lo zoom avanza sino ai dettagli del quadro, lasciando così fuori campo lo svolgimento della scena.
L'inquadratura stringendosi sempre di più, opta nel finale per una dissolvenza incrociata sulla fotografia del mare appesa alla parete.
Ecco che la narrazione viene annichilita e destrutturata, non interessa più.

Wavelenght è un analisi sul cinema e su come le sue caratteristiche vengano sfruttate per ingannare la percezione, mettendo in risalto così la finzione del mezzo cinematografico.
Snow non agisce sul racconto bensì sui meccanismi, in modo da metterli a nudo e svelarne la loro natura.
Il suo è un tentativo esasperato di uscire dalla rappresentazione mistificatoria ove si rimane schiavi vincolati alla tecnica ed dalla "messa in scena", vi è una volontà nel riflettere attraverso il film stesso, sulla costruzione del falso filmico.
C'è la consapevolezza nitida di come la macchina da presa prestabilisca ed acconsenta la finzione sul grande schermo.

Difficile dire altro, se non che trattasi di uno dei più grandi esperimenti sull'analisi dei confini del mezzo cinematografico.
Una riflessione permanente e complessa sul "vedere".

"Non ho mai avuto un particolare interesse nella narrazione o nel raccontare delle storie. Ho sempre voluto provare a produrre nuove forme con il tempo. Raccontare una storia è qualcosa di molto profondo, noi stiamo sempre a raccontare storie. Ma non è l'unico modo di creare qualcosa con il tempo. Non credo però di imitare la musica.
Faccio una generalizzazione enorme: i film di narrazione vengono dalla tradizione del romanzo e del teatro. E' la loro eredità. Penso che i miei film, e anche un buon numero di cosiddetti film sperimentali, sono in realtà più legati alla poesia e alla musica. E poi questi vengono fatti da una sola persona, mentre la maggior parte dei film di narrazione coinvolgono molte competenze e un sacco di soldi. Una delle scoperte più radicali che il cinema sperimentale ci ha mostrato è che una persona con una macchina da presa può fare cose che hanno la stessa profondità di quelle che vengono fatte da un largo numero di persone. Questo aspetto è sempre più esplorato perchè sempre più persone nel mondo dell'arte stanno lavorando con le immagini in movimento in diversi modi."