Il post-erotismo di Tsukamoto

Si è discusso molto in passato sul lavoro dei vari Cronenberg e Tsukamoto, sul logos che caratterizza la loro ricerca filmica, un tentativo di vivisezione della carne in rapporto alla macchina ed alla tecnologia, ad un utopica fusione ballardiana tra uomo e macchina a livello biologico, ebbene l'esperienza tenderà sempre più a rimuovere l'immediatezza della dimensione carnale e a valorizzare invece l'insieme delle pratiche e delle operazioni che sembrano realizzare la trascendenza dell'uomo tecnologico rispetto ai processi naturali.

Con Tetsuo "l'uomo macchina" Tsukamoto giocò allo scoperto rispondendo alla provocazione non più tanto utopica di quel videodrome cronemberghiano e spinse totalmente verso quella fusione tra uomo e macchina.

A distanza di tanti anni, nel 2002 firmando l'altro suo capolavoro "A Snake Of June" più che sull'immediatezza carnale, Tsukamoto porta la riflessione semantica a livelli iper-metaforici, risprofondando nella carne solo dopo un lunghissimo viaggio di formazione, secolarizzato, distorto quanto volete, ma sempre ipermediato dalla consapevolezza del reale. Non c'è niente di immediato in questo film: le stesse pulsioni istintive e a-razionali sono metaforizzate in immagini postmoderne.
L'atto sessuale come serie di scatti fotografici, il seno femminile, fecondità rinascita e eterna giovinezza, inquadrato nell'incubo senza fine che si intrufola a poco a poco in uno yakuza movie sconclusionato, scardinandone ogni schema narrativo; l'uomo macchina tetsuiano; il passare di immagine a immagine, di testo in testo, tutto questo è frutto più di una fortissima riflessione su di sé, virata su temi leggermente sfasati rispetto a quelli classici occidentali, per di più sotto forme narrative in parte estranee al destinatario occidentale, ma soprattutto estremizzata come qui da noi non si ha il coraggio di fare.
Non è allora la "purezza", quella che ritroviamo nel cinema giapponese di un Tsukamoto, ma il prototipo di una specie di processo hegeliano dei contenuti istintuali che, dopo essere passato per i due rapporti inferiori, quello "puro" e naif e quello negativo del rigetto dall'altro da sé (che pure fa parte di sé), ormai lo ingloba tutto in se stesso, diventando autoconsapevole e metabolizzandolo fino in fondo all'interno di processi cognitivi del tutto razionali.
Dunque: il relativismo all'eccesso, piuttosto che l'immediatezza. La "sostanza e il sangue" non sono che le estreme conseguenze dei due mondi, quello razionale e quello istintuale, finalmente riconciliati in un film dalla totale spudoratezza estetica, in un bianco e nero con tendenze bluastre costanti per tutta la pellicola, dove sesso e malattia, mutilazioni e mutamenti sono un tutt'uno con un erotismo che gioca con l'inesorabile decadenza del corpo umano, dato che l'uomo di sola carne tsukamotiano è ormai decaduto, parliamo di post-erotismo allora, vissuto dal cyborg-telespettatore che si masturba (il marito nel film), interfacciato dal video (la moglie), immortalata dal terzo elemento fuori campo, ovvero la macchina fotografica.



La metafora del potere di "A Serbian Film"

"Tutta l'intera nazione non è altro che un fottuto asilo. Un mucchio di bambini scaricati dai loro genitori"

A Serbian Film del serbo Spasojevic è un film del 2010 che si spinge a livelli di nefandezze forse mai toccati dalla cinematografia legale. Trattasi di una rappresentazione metaforica della violenza politica e della mercificazione sessuale del corpo umano manipolata dal potere.
La storia tratta di un ex pornostar in declino, sposato e con un figlio piccolo a carico, che trovandosi ridotto quasi sul lastrico, decide di accettare il lavoro propostogli da un regista e tornare così a recitare in un film hard. Il compenso? La sua famiglia non dovrà mai più preoccuparsi di lavorare poichè notevole sarà la somma di denaro offertagli in cambio della prestazione.

Non stiamo parlando di un semplice film thriller/ horror, difatti "A Serbian Film", partendo da un continuo richiamo alla propria nazionalità, unisce sin dai primi istanti pornografia ad allusioni storico/culturali, risultando così difficilmente catalogabile.

Sono essenzialmente quattro le tematiche principali della pellicola di Spasojevic.
In primis, trattasi innanzitutto di un tentativo metacinematografico sullo smarrimento di ogni confine razionale, basato sul meccanismo per il quale il cinema diventa vita, e viceversa. La riflessione sulla settima arte ed il suo rapporto con la realtà intesa non solo come realtà oggettiva, ma come realtà cinematografica, pervade chiaramente tutto il film.
In seconda battuta, il film medita, servendosi di un gore perfettamente funzionale al messaggio, sulla fascinazione dello sguardo, sulla continua ricerca di stimoli visivi per i nostri sensi assopiti, sul bisogno crescente di una realtà artefatta in cui l'aderenza con il reale continua a perdere consistenza.
Si cerca di scovare la derivazione di questa esigenza di "reality show" sempre più corporei, più esasperati, che arrivano a spingersi sino all'esibizione della morte.
In terzo luogo vi è una denuncia ad un paese devastato dalle guerre, che ha ancora nel proprio cuore le ferite del Kossovo, di Vukovar, di Srebrenica, di Zagabria e di Sarajevo.
Una Serbia che nelle sue molteplici difficoltà sembra sposare il nichilismo più totale, negare tutti i valori, spegnere ogni aspirazione e annullarsi completamente.
Si percepisce un senso di costrizione ed oppressione derivante dal vivere in una nazione degradadata sia culturalmente che spiritualmente.
L'ultimo dei 4 punti, infine, è il sesso nella società consumista, in tutta l'atrocità dei suoi dettagli. La sessualità è sin dalla prima inquadratura, ambigua, brutale, mai affettuosa o dolce.
Tutti i personaggi nè sono pregni, il sesso si cela in ogni fotogramma, pronto a manifestarsi in forme sempre deformate.
Viene rappresentato, in linea con la concezione moderna occidentale, come pandemia ossessiva, dando risalto non solamente a quegli impulsi violenti che si manifestano sul piano fisico e che, come in altre epoche, portano ad una esuberante e disinibita vita sessuale e magari al libertinaggio.
Qui il sesso è incarnato soprattutto come un elemento cardine che ha introiettato a sè la sfera psichica, un erotismo divenuto tutto mentale con conseguente eccitazione diffusa e cronica quasi indipendente da ogni soddisfacimento fisico concreto. Lo stupro sembra simboleggiare la violazione dei limiti e odora di preludio alla morte sia fisica che metafisica, inoltre la cosmetica e i mezzi di perfezionamento estetici di cui sono succubi tutte le donne del film, appaiono come l'interesse principale del loro modo d'essere, l'unico mezzo con cui riescano a dare un piacere trasposto preferito a quello specifico dell'esperienza sessuale normale e concreta che, al contrario, pare divenuta oggetto di una specie di insensibilità e nevrotica repulsione. Questa intossicazione mentale è rappresentata esasperatamente come uno dei principali caratteri regressivi dell'epoca attuale, e l'obiettivo non è soltanto la Serbia, ma tutta la civiltà occidentale.

Spasojevic fu fenomenale nel far percepire senso di morte e smarrimento e lo fece con ferocia, utilizzando lo stesso cinismo destabilizzante della modernità.
La perversione di fondo risulta molto più concettuale che grafica.
Nell'epilogo, l'elemento onirico diviene sempre più invasivo sino al plumbeo finale con una scena di rara spietatezza.

"Inizia con quello piccolo".

Titoli di coda, le urla deliranti di "Newborn porn" riecheggiano e divengono una metafora sul futuro ombroso dei più piccoli.