Dialoghi tra le rovine

 " Ehi tu! "

" Chi io?"

- " Si proprio tu, con la bandiera arcobaleno...che ci fai oggi in piazza? "

" Manifesto per la libertà. Sono qui per condannare il fascismo, per sostenere la democrazia. Lotto senza tregua contro la discriminazione delle minoranze, degli ultimi, per difendere il sacrosanto diritto ad avere figli delle coppie dello stesso sesso!"

" Ah, bene, e dov'eri quando venivano tagliati i fondi pubblici a servizi essenziali quali scuola e sanità per i diktat imposti dall' Europa dell'alta finanza? Che facevi mentre veniva abolito l'art. 18 dello statuto dei lavoratori? E quando veniva modificato il sistema pensionistico italiano dalla legge Fornero? Ti sei dimenticato, forse, che ti hanno rinchiuso in casa per due anni con la scusa della salute pubblica ed istituito un lasciapassare per vivere? Ti rendi conto che ti stanno sfruttando per i loro sporchi interessi economici e di "ristrutturazione" della società?

" Ma sta zitto, sei uno squadrista, un complottista da quattro soldi! Vivi nel medioevo!! "

“Hai ragione. Continua pur dormire tranquillo. Come hanno pensato alla tua salute, penseranno in egual maniera ai tuoi diritti ed alla tua libertà." 

Il sonno della ragione genera mostri.

“Si lascino pure gli uomini del tempo nostro parlare, con maggiore o minore sufficienza e improntitudine, di anacronismo e di antistoria. […] Li si lascino alle loro "verità" e ad un'unica cosa si badi: a tenersi in piedi in un mondo di rovine"




Il tempio è sacro

Come astuti robivecchi, abili commercianti di articoli usati e polverosi, i propagandisti di regime, cenciaioli di lungo corso, tentano, con ogni trucco a loro disposizione, di rifilare ai nostri giovani ogni sorta di bestialità, qualsiasi tipo di amenità, nascondendo, sotto il falso vessillo del "progresso" e dei "diritti", meri disegni di plagio e riprogrammazione comportamentale, funzionali essenzialmente al conseguimento dei punti cardine di un'"agenda" ex ante concordata. Così, questi furbi rigattieri, spacciano la svolta green come unica salvezza del pianeta terra, non menzionando minimamente la rivoluzione produttiva in atto e gli interessi economici in ballo, l'antifascismo come battaglia contro i mulini a vento da combattere ad ogni costo, l'ideologia gender come conquista di civiltà, le sanzioni e l'invio di armi come difesa disperata della "democrazia" e della pace, il precariato come flessibilità, l'alfabetizzazione forsennata come condicio sine qua non per collocarsi nel mercato del lavoro, la "scienza" come unico credo, la famiglia come un intralcio, l'impoverimento culturale come divertimento, la spazzatura televisiva e social come unico intrattenimento valido. L'attenzione nei confronti delle nuove generazioni, dunque, dovrebbe essere portata ai massimi livelli. Sono loro l'obiettivo primario, la creta da modellare, l'archetipo di uomo del futuro da costruire. Nello squallido mercimonio che caratterizza il nostro tempo, dunque, dobbiamo ricordare ai nostri giovani che ci sono valori che non debbono essere oggetto, in alcun modo, di trattativa e che esistono delle colonne d'Ercole che non possono essere mai superate, pena l'oblio. Mollare sotto questo punto di vista sarebbe miope ed oltremodo dannoso, per il presente ed il futuro dei nostri ragazzi, oramai al centro di pietosi, goffi e continui tentativi di stupro intellettuale.

" Il tempio è sacro perché non è in vendita", ci insegnava a suo tempo Ezra Pound. Oggi è proprio il caso di ribadirlo a gran voce.



Dissenso concordato

Nei regimi del passato, il dissenso era contenuto in modo autoritario, tramite repressione fisica o colpendo lo status sociale ed economico del soggetto non allineato.

Si tratta di una modalità molto dispendiosa, in termini di risorse umane e materiali, che può essere veramente efficace solo a livello locale, ma che è poco adatta alla società di massa.

Attualmente invece la prassi è mantenere una certa rappresentanza del dissenso accogliendola in modo controllato all'interno del circuito mediatico, per dimostrare che il sistema è pluralista e tollera la diversità. Questo è funzionale alla preservazione dello status quo, è una finzione democratica.

Per esempio nei talk show per poter parlare bisogna sempre fare delle premesse per sottolineare i perimetri oltre i quali non puoi uscire (di recente bisognava premettere sempre di non essere contrari ai vaccini e condannare aprioristicamente la Russia).

Ma è sempre stato così nell’attuale “democrazia”, si pensi a termini quali fascismo, razzismo, omofobia. Se parli di gestione dei fenomeni migratori, se discuti il multiculturalismo, se critichi la teoria gender spiegata ai bambini, se leggi la storia senza pregiudizi, se affermi che ci sono élite che gestiscono la democrazia. Insomma, per qualsiasi argomento fuori dal tracciato imposto, c’è già il termine per criminalizzare il dissenso di cui devi discolparti in partenza.

Tale dissenso concordato non deve mai toccare le fondamenta dell'ordine, ma deve rimanere periferico e riguardare questioni di superficie.

Se casomai il dissenso diventasse ampio, non più contenibile e mettesse in discussione radicalmente le questioni fondanti, allora il potere reagirebbe in maniera scomposta e aggressiva, mostrando la sua vera natura intollerante e autoritaria. Ne abbiamo avuto ampia dimostrazione anche negli ultimi anni, si pensi a quanto accaduto a Trieste. 




La nascita del thriller all'italiana

Il 14 marzo 1964 usciva "Sei donne per l'assassino", il secondo giallo/thriller di Mario Bava.

"Sei donne per l'assassino" seguiva la prima prova di Bava in questo genere ("La ragazza che sapeva troppo") che, seppur piena di trovate interessanti, restava legata a stereotipi classici dai rimandi hitchcockiani.
Con "Sei donne per l'assassino" invece cominciava qualcosa di diverso. Ed iniziava non solo per la filmografia baviana ma per tutta la cinematografia italica. Perché il suddetto film è un vero e proprio capostipite di genere. È quell'inizio da cui hanno attinto tutti coloro i quali, nella decade successiva si sono cimentati con il cosiddetto “thriller all'italiana”, di cui Dario Argento è il più importante rappresentante.

Il film di Bava fu il primo. Fu quello che dettò le regole.
Inquadrature magnifiche, colori mozzafiato, strabiliante fotografia, una storia ingarbugliata e poco lineare che però punta su quei punti fermi che avranno maggiore risonanza successivamente. I protagonisti, poco rappresentati, tendono ad assomigliarsi come dei manichini (un atelier di moda è uno dei luoghi dove si svolge maggiormente l'azione) e vengono utilizzati quasi come dei semplici figuranti.
L'aspetto umano, in questa storia, viene messo in ombra. I protagonisti vengono disumanizzati così come disumano appare il killer che, per la prima volta viene mostrato come un essere senza volto. Un killer sadico e crudele, nero guantato, inesorabile e silenzioso come la morte. La maschera, da lui utilizzata, è stata precorritrice influenzando famose saghe come quelle di Halloween e Venerdì 13.

Il film mostra con estrema spudoratezza e morbosa attenzione i dettagli degli omicidi e introduce anche quel fenomeno horror che venne ribattezzato “body count” e che Bava andò a perfezionare in "Reazione a catena".

Con la maestria che lo ha sempre contraddistinto, Bava creò dunque un nuovo senso estetico di fare film thriller.
Un nuovo stile ed un nuovo metodo.
Una pellicola che si erge come un monolite all'interno di tutto un genere.



Prince Rupert

Sensazioni di libertà

Il vecchio sedeva solo, all'ombra di un pino marittimo, nel grande parco adiacente la scuola elementare. Intorno a lui i bambini festanti, impolverati e sorridenti, si inseguivano, arrossati in volto, a perdifiato, sino a tuffarsi, stremati ma felici, nel prato brullo, quasi fosse un soffice e lindo materasso. Il giovane, con passo dinoccolato, si avvicinò alla panchina. Aveva il capo coperto dal cappuccio, grossi occhiali scuri, lo smalto scrostato color nero sulle unghie e grandi cuffie argentate a coprirgli interamente le orecchie. Muoveva la testa, china sullo smartphone, ritmicamente, tenendo il tempo di una musica incomprensibile, di cui si udiva soltanto un metallico brusio. Il vecchio lo scrutò con sospetto, mentre la sigaretta bruciava tra le sue dita magre, aggrottando leggermente la fronte, con fare interrogativo. D'un tratto il giovane si voltò e, sentendosi osservato, abbassò le cuffie e chiese perentorio: “C'è qualcosa che non va? Cosa guardi”. “Nulla”, rispose il vecchio, “mi incuriosiva la tua maglia...sai cosa c'è scritto?”. “Certo che lo so...cosa credi sia ignorante? C'è scritto "Freedom" che vuol dire libertà!”. “E sai cosa significa libertà?” incalzò il vecchio, oramai entrato nel vivo del dibattito. “Certo che lo so...” riprese il giovane, stizzito dall'apparente banalità di quel quesito, posto da quello strano personaggio con la barba bianca, in quel pomeriggio assolato di metà marzo. “Libertà significa fare quel che si vuole, quando si vuole...significa rientrare all'ora che mi pare, divertirmi, fregarmene di tutto! Libertà è essere sciolti, pensare solo a sé stessi, non rendere conto a nessuno delle proprie azioni!”. Il vecchio, udita la risposta, volse lo sguardo verso il giovane e, abbozzando un timido sorriso, disse sommessamente, scuotendo leggermente il capo: “Lascia stare... ho capito...buona giornata”. “Perché cosa è la libertà?” chiese il giovane incuriosito, oramai interessato a proseguire la conversazione. “Beh”, iniziò il vecchio, “la libertà è in primis sofferenza. È consapevolezza, è guardare in faccia la realtà, anche se dolorosa. La libertà è il sorso d'acqua limpida e fresca di sorgente, dopo un lungo e tortuoso cammino alla scoperta di sé stessi. È lo sguardo stanco, ma soddisfatto di un padre che vede i progressi di suo figlio. È la carezza d'una madre ad una creatura appena nata. È avere dei valori per i quali combattere, difendendoli a spada tratta tra mille difficoltà, tra i giudizi della maggioranza, senza cedere a compromessi. La libertà è partecipare al grande giuoco, attraversare la vita, non girarci attorno. È il fuoco che arde nel cuore quando ci si sente parte attiva, artefici d'un progetto, che coinvolge, affatica, stimola corpo e mente. La libertà è esistenza pura e pulsante. È rompere la corteccia, abbattere la sovrastruttura, arrivare al midollo, per nutrirsene e trarne forza. La libertà è andare oltre il recinto ad hoc costruito, è molto di più di un semplice spazio libero. È il senso profondo per cui respiriamo, è lo schiaffo in faccia che rigenera, scuote, spalanca gli occhi. La libertà è lotta, azione, voglia. È la linfa che ti scorre tra le vene e ti fa sentire vivo tra i morti, sveglio tra i dormienti”.

Il giovane rimase esterrefatto. Mai nessuno gli aveva pronunciato parole così perentorie, vigorose, intrise di vissuto. Il vecchio era senza fiato. Accese un'altra sigaretta e fissò il ragazzo che, con gli occhi quasi lucidi, si rimise gli occhiali da sole, per non far trasparire emozioni. Ora erano uno di fronte all'altro, silenziosi. Il giovane, preso coraggio, tese la mano al vecchio che, con veemenza fuori dal comune per la sua età, la strinse sinceramente, alla vecchia maniera, quasi volesse sigillare un patto tra gentiluomini.

Il ragazzo allora si alzò e, senza proferire verbo, si diresse verso l'uscita del parco, indossando di nuovo le grandi cuffie ed il cappuccio, procedendo, stavolta, con passo più deciso, come rinvigorito da quell' insolito incontro. Il vecchio rimase, solo a riflettere. Non sa se il giovane farà tesoro di quell'esperienza, delle sue parole, o se, il giorno dopo, dimenticherà l'accaduto. Sa solo che durante quel pomeriggio assolato di metà marzo, in quello che sembrava un giorno banale come tanti altri negli ultimi periodi, aveva avvertito una sensazione che non provava da tempo. Si era sentito nuovamente libero.



Vittorie di Pirro

Le pseudo indagini della procura di Bergamo, tanto decantate dal mainstream nostrano e spasmodicamente attese da gran parte della controinformazione, non fanno altro che aggiungere un'altra tessera al mosaico, un altro pilastro alla struttura sapientemente edificata in questi tre anni di delirio assoluto. Il lavoro degli inquirenti, sommato alla cristallizzazione dell'emergenza nella carta fondamentale, alla sentenza della corte costituzionale che, de facto, legittima ricatto ed estorsione come metodo di governo ritenendo l'operato dell'esecutivo compatibile col dettato di cui si farebbe garante, alle finestre di overton aperte sulla mancata attuazione del piano pandemico da parte di note trasmissioni delle reti di stato, completa adeguatamente la fitta trama tessuta finora. Esse agiscono, infatti, su due fronti, ben delineati: da un lato rendono lecito l'operato successivo allo scoppio della "pandemia", giustificando ogni nefandezza commessa sotto il falso vessillo della salute pubblica, financo la violenza inaudita del lasciapassare, donando scriminanti scellerate ai comportamenti delittuosi dell'autorità; dall'altro creano un pericoloso precedente, tracciando le linee guida da seguire per le prossime presunte emergenze, senza che nessuno possa batter ciglio. Ergo, come fu per il green pass, quando criticando la sua applicazione pratica e non le fondamenta si fornivano assist per ampliare la sua portata, così, fermandosi alle apparenze del lavoro della procura, si può cadere nello stesso tranello, considerandolo un buon punto di partenza verso il ripristino di una piena giustizia. Di questo passo, anche la tanto decantata commissione d'inchiesta sulla gestione pandemica, qualora venga istituita, potrebbe rivelarsi un boomerang, vista la piega che oramai hanno preso gli eventi. Sinceramente, di vittorie di Pirro ne abbiamo abbastanza. È giunto il momento di comprenderlo.



Che fine hanno fatto?

Che fine ha fatto Greta Thunberg? Si, lei, proprio lei... quella ragazzina bionda, che era ricevuta con tutti gli onori dai leader mondiali, dai filantropi e dai personaggi più influenti della scena economica e politica nazionale? Quella che li sensibilizzava sul clima, che li redarguiva di non fare abbastanza, mentre voi non riuscivate neanche ad avere un appuntamento col direttore della vostra banca? Che fine ha fatto il buco dell'ozono, vero spauracchio degli anni 90? Quello per cui vi sentivate dei criminali con un deodorante spray in mano o inadeguati per un po' di lacca sui capelli? Si è, per caso, richiuso e nessuno ce lo ha detto? Dove sono finiti i terroristi islamici, l'Isis, le armi di distruzione di massa in Siria ed in Iraq, la fialetta agitata da Colin Powell dinnanzi all'umanità intera? Sepolti, forse, nei meandri più bui e polverosi della storia. Dov'è andato a finire lo spread, l'incubo di milioni di italiani? Quello che se saliva erano guai e giù mazzate e rimproveri dall'Europa? Non esiste più, non conta più nulla? Eppure abbiamo fatto sacrifici enormi per tenerlo basso, financo tagli a scuola e sanità. Forse si è dissolto, come l'influenza stagionale tre anni fa? 

È chiaro che questi sono quesiti a cui non avremmo mai una risposta esaustiva, ma permetteteci almeno di dire che quelle sceneggiature, quegli interpreti, erano quantomeno decenti. Oggi, invece, lor signori non si sforzano più di tanto. Tra il vino che ti rimpicciolisce il cervello e gli insetti che fanno bene, tra pacifisti armati e false politiche green, tra le finte liti da destra e sinistra, si fa veramente fatica a credere alle loro stralunate affermazioni. 

Non ci resta che avere un po' di nostalgia per quei tempi. I copioni odierni sono veramente da stracciare, così come i pessimi attori ingaggiati farebbero bene a cambiare mestiere.



Ciarlatani in azione

Parlano, con lacrime di coccodrillo, di occupazione e precariato, non avendo lavorato un solo giorno in vita loro. Ciarlano di pace, firmando decreti su decreti per inviare armi. Disquisiscono, con il cuore a pezzi, di povertà, di "ultimi", di integrazione, dall'alto dei loro attici, davanti a ricchi buffet istituzionali, nei quartieri buoni del centro città. Istruiscono il popolo sul significato di libertà e democrazia, dopo aver compresso oltremisura i diritti fondamentali, istituito un lasciapassare per vivere, governato a colpi di DPCM e cristallizzato l'emergenza nel dettato costituzionale. Dicono di voler ridurre, con decisioni drastiche prese sulla nostra pelle, le emissioni di CO2, di riciclare, risparmiare, comperare auto elettriche, cuocere la pasta a fuoco spento, spegnere il termosifone in inverno od il condizionatore per combattere l'afa estiva, eppure viaggiano da una parte all'altra del mondo su aerei privati pagati dai contribuenti, partecipando ad eventi comportanti un altissimo spreco energetico, in cui a nessuno importa nulla dell' impatto ambientale. Cantano bella ciao, blaterano di antifascismo, difendono la causa LGBT, ma non battono ciglio se le imprese chiudono per i rincari folli e delocalizzano, se le multinazionali divorano le piccole realtà imprenditoriali, se la finanza fagocita la politica, se un operaio perde il posto ed una famiglia fatica ad arrivare a fine mese. Parlano della scuola, della sua importanza, della necessità di riforme programmatiche e strutturali, dopo aver trasformato la stessa in terreno di sperimentazione per ogni genere di nefandezza, in megafono della propaganda, mentre i loro figli frequentano prestigiosi istituti privati. Parlano di cure e salute, avendo tagliato per anni i fondi necessari alla sanità pubblica, sacrificando tutto per il dogma del pareggio di bilancio, per lo spread che saliva, mentre hanno a loro disposizione eleganti cliniche private con annesso ogni tipo di comfort.

E voi...davvero ancora gli credete?




Progresso regresso

Il "progresso" è cancellare l'identità. L' evoluzione è recidere violentemente le radici di un popolo, inquinare la sua anima, azzerare le diversità, annientando le peculiarità che lo rendono unico, forte, fiero della sua storia, saldo nei suoi principi. Il "progresso" è l'immigrazione scellerata. Uomini e donne costretti ad abbandonare il suolo natio, ingannati dai burattinai del mercato e dai grandi filantropi che, sotto il falso vessillo umanitario dell'accoglienza, prima hanno spremuto sino all'ultima goccia disponibile le loro risorse e poi li costringono ad essere nuovi schiavi in terra straniera, senza consapevolezza di sé stessi e dei propri diritti. Il progresso è la crisi perpetua, la guerra e lo sconvolgimento degli assetti politici ed economici mondiali. È svenare il proprio popolo attraverso rincari folli, seguendo a menadito diktat contrari agli interessi nazionali, ingozzando le masse di analisi banali, notizie false e propaganda da quattro soldi. Il progresso è trasformare, d'un tratto, diritti un tempo intangibili in concessioni a tempo determinato, sulla base di dati fasulli ed amenità scientifiche, giustificando il tutto con la tutela della salute pubblica e l'infallibilità della scienza. Il progresso è il precariato, la deindustrializzazione, la delocalizzazione, la svolta green, i bonus che legano a doppio filo allo stato, l'abolizione del contante spacciata come lotta all'evasione, la finanza che ingloba la politica, il WEF che detta le linee guida per il futuro, le multinazionali che divorano, come pescecani, le piccole e medie imprese, impossibilitate a tenergli testa, in un regime di assoluta concorrenza sleale. Il progresso è il cambio di sesso nei giovanissimi, è il plagio continuo subito dalle nuove generazioni, è la digitalizzazione forsennata atta a rendere l'uomo un atomo isolato, distante, fuori dal concetto stesso di comunità.

Oggi, più che mai, il progresso è regresso.

Ricoperto di lustrini e slogan accattivanti, profumato alla meglio per coprirne l'olezzo penetrante, venduto come bivio necessario, come unica via da intraprendere per sopravvivere, per essere migliori, solidali, poco inquinanti, competitivi, moderni.

Se tutto questo è il bene, dunque, saremo allora orgogliosi di essere il male.



Lacune e vie di fuga

Quante volte capita di seguire dibattiti dove nel momento in cui viene fatta notare l'irrealtà delle posizioni genderiste si risponde: “ma tu critichi e poi credi all’uomo dei cieli?".
Questo modo di rispondere, oggi molto in voga, è effimero da qualsiasi posizione lo si voglia osservare.

Trattasi sostanzialmente di una bella via di fuga; il fatto che chi cerchi un dibattito possa a sua volta credere anche a babbo natale, non dovrebbe confondere il giudizio di ciò che viene detto.

Su un primo livello dovremmo evidenziare la supposizione che il pensiero irrazionale di chi critica giustifichi quello del criticato. Tu credi in un uomo nelle nuvole quindi quello che dico (per es. che un uomo è una donna e viceversa) deve essere giustificato come plausibile, altrimenti la tua critica cade nel nulla, senza alcuna discussione o approfondimento sulla natura diversa dei due. Questo punto è particolarmente aggravato dall'origine scientifica che si voleva dare all'argomento citando cromosomi e biologia. In questi termini non si raggiunge alcuna verità. La discussione inizia senza intenzione di scomporre argomenti complessi in oggetti e rispettivi significati, ma parte con uno slogan che vuole comprimere un'infinità di punti, che sarebbero da discutere singolarmente, in un semplice fatto universalmente esperito.

Senza ricerca, il confronto è sostanzialmente inutile.

Questo tipo di scambi proibisce un confronto razionale al di fuori degli schemi fissi della scienza. Rimangono soltanto le opzioni di confronto a livello scientifico con dati e statistiche, ed abbiamo avuto un assaggio di cosa ciò significhi durante il periodo pandemico. Si viene completamente esclusi a priori dal dibattito perché se io credo in qualcosa di non scientifico (ma molto complesso e quindi necessitante di grandi approfondimenti) allora non ho il diritto di criticare affermazioni che negano il primo principio della logica, ossia che ciò che è non può allo stesso tempo essere il suo opposto.

Per concludere se un uomo può essere donna ed una donna può essere uomo, questo significa che c'è un errore terminologico e di identificazione che dimostra la nostra incomprensione del mondo. Dire che uomo e donna sono intercambiabili significa negare entrambi, ma negare entrambi rimuove ogni necessità di uno di diventare l'altro, essendo entrambi la stessa cosa. Al contrario cercare di definire uno e l'altro dimostra differenze e quindi l'esistenza di entrambi, così distruggendo l'idea che uno possa essere l'altro e viceversa. Non capire questo concetto dimostra lacune nei processi mentali che ci permettono di comprendere il mondo.




La Rus' di Kiev. Storia del più grande Stato dell'Europa medievale (secc. IX-XIII)

Due dottori magistrali in Storia, Antonio e Rocco Raimondi, hanno scritto un volume dedicato alla Rus' di Kiev, un tema davvero poco trattato in Italia.

Questo libro, spingendosi al di là delle barriere ideologiche, dei nazionalismi e dei pregiudizi storici, affronta difatti un argomento decisamente trascurato dalla storiografia europea, che risulta quanto mai rilevante alla luce delle vicende e degli avvenimenti presenti, poiché solo analizzando il passato si può comprendere il presente e guardare al futuro. 

 

La Rus’ di Kiev sorse nel IX secolo d.C. sul fiume Dnepr e divenne lo Stato più grande dell’Europa medievale, soprattutto dopo la conversione al Cristianesimo orientale, un passo che influenzò in maniera determinante i suoi orizzonti culturali e politici.

Dopo un interessante capitolo introduttivo sullo Stato, sull'economia e sulla società della Rus' di Kiev (dell'Antica Rus'), si ripercorrono, cronologicamente, i suoi eventi e le sue vicende, da Rjurik a Vladimir Monomach, alle lotte intestine che condussero alla sua disgregazione e poi alla conquista mongola nel XIII secolo.


Un testo consigliato. LINK





 

 


Rieducazione

Il ragazzo, seduto solo all'ultimo banco della grande aula posta al quinto piano dell'imponente edificio scolastico, guardava assorto fuori dalla finestra. Nel cortile antistante il complesso, la fila appariva interminabile. Come ogni giorno, con le teste chine e gli sguardi rivolti verso lo smartphone, gli alunni del secondo turno attendevano che venissero verificate le loro credenziali d' ingresso. QR code, temperatura corporea, materiale per la lezione digitale, mascherina ffp2: tutto doveva essere a posto, perfetto, in linea con le rigide direttive del ministero, pena l'esclusione dalle attività. Il vento era gelido, ma nessuno sembrava batter ciglio. In coda, ordinati ed operosi come una colonia di formiche, i giovani, di varie etnie e dal variopinto abbigliamento, procedevano spediti, automatici, con ritmo serrato, quasi fossero prodotti in attesa sul rullo di una pantagruelica cassa di un supermercato di provincia, pronti per ricevere lo scanner sul codice a barre, per poi essere imbustati. Il ragazzo, durante le lezioni, si perdeva spesso nella miriade caleidoscopica di dettagli caratterizzanti quella scena, identica ogni maledetta mattina. C'è chi aveva la gonna e lo smalto nero, eppure era un maschio, chi la mascherina arcobaleno, chi indossava grossi occhiali scuri anche durante le giornate piovose, chi aveva stampato sulla felpa il simbolo della pace o scritte inneggianti alla lotta ai cambiamenti climatici. La fine dell'ora di educazione civica ed ambientale sembrava non giungere mai. In fondo alla classe, la voce stridula del docente, un uomo alto, calvo, smilzo, dall'aspetto austero e lo sguardo aquilino, arrivava lontana, ovattata, quasi provenisse da un'altra dimensione. Con il volto coperto da una spessa museruola, il ragazzo aveva quasi l'affanno. Il respiro, inibito oltremodo dall'ingombrante presidio sanitario, era rallentato, metallico, affannato. La lezione andava avanti, senza interruzioni. Fuori, un timido raggio di sole squarciava le nubi plumbee, penetrando, come una lama affilata e lucente, attraverso la piccola vetrata laterale, illuminando a malapena la grande e tetra aula, entrando in contrasto col grigiore dell'ambiente circostante. Tutt'attorno gli altri studenti, silenziosi e mascherati, seguivano intenti la lezione, consultando, di tanto in tanto, il tablet poggiato sui banchi. " Ripetete con me...", disse, con tono sommesso il professore, “riciclo, ecosostenibilità, rispetto delle regole e della scienza, questi sono i punti cardine". " Riciclo, ecosostenibilità, rispetto delle regole e della scienza", il coro degli alunni fu unanime. Il ragazzo dell'ultimo banco era l'unico in silenzio. Sotto la ffp2, ben piantata sulla faccia, l'aria si faceva, via via, sempre più pesante e viziata. D'un tratto, una forza indomabile, s'impossessò del giovane, oramai completamente destatosi dal torpore mattutino. "Bastaaaaa, adesso basta!!" L'urlo carico d' adrenalina, tagliò di netto le litanie dei suoi compagni, facendo calare, nella grande stanza, una quiete irreale. Tutti ora lo guardavano, ammutoliti, compreso il docente. Lo scolaro allora incalzò, sempre più deciso, "vi rendete conto cosa ci costringono a dire, cosa ci impongono di fare? Parlano di rispetto e ci trattano come animali da cortile, ciarlano di pace e democrazia e viviamo in uno stato di crisi perenne e belligeranza, farneticano di ambiente e salute per imporre regole insensate, con l'unico scopo di indottrinare e dominare, che senso ha tutto ciò? Ci siamo accorti chi siamo diventati? Automi, senza spirito critico e capacità d'agire, pronti solo ad ubbidire, a chinare il mento, a dire di sì". Il docente e gli altri componenti della classe erano imperturbabili, immobili, come statue di sale. "E poi cos'è questa educazione civica ed ambientale? Mio nonno mi raccontava di filosofi, poeti, letterati, pensatori, eroi, condottieri, noi non sappiamo nulla!! Impariamo solo quello che è funzionale ai loro scopi! Ci vogliono come morti che camminano!!!" Terminato lo sfogo, gli occhi degli studenti si girarono all'unisono verso il professore, che, senza batter ciglio, si avvicinò ad un piccolo interfono, posto ai lati dell'immensa lavagna. Pochi secondi dopo aver mormorato parole incomprensibili, due psichiatri del "reparto ascolto e rieducazione", mascherati e vestiti con dei lunghi camici bianchi, si palesarono nella sala, oramai spettrale e priva di qualsivoglia rumore. Si udivano, ora, soltanto i sospiri del ragazzo, adesso privo di forze, come fosse reduce da una corsa a perdifiato. L'uomo calvo e magro indicò il colpevole, puntando l'indice della mano destra contro il ribelle. I due uomini, senza indugio, afferrarono il ragazzo per le braccia, che non oppose alcuna resistenza. Conosceva bene, infatti, il suo destino. Era inutile lottare, era fiero di sé stesso, era stato d'esempio, aveva fatto ciò che andava fatto. Prelevato e portato fuori di peso dall'aula, egli lanciò uno sguardo ammonitore al resto classe, mentre un piccolo ghigno, intriso di felicità ed orgoglio, affiorò sulle sue labbra carnose, aggrottandogli leggermente la fronte sotto gli spessi capelli scuri. " Il vostro compagno, ragazzi, sarà presto dei nostri, rigenerato dopo la settimana di riabilitazione. Che sia da monito ciò che gli è accaduto, che nessuno di voi osi seguire le sue scellerate orme. Non vorrete fare la stessa fine, vero?". Dopo le perentorie parole proferite del docente, una strana calma calò, come un nero sudario, sull'aula ammutolita. Gli scolari, annuendo con gli occhi sgranati, attendevano istruzioni sul da farsi, come soldati disorientati, presi alla sprovvista da un'imboscata nemica. "Adesso ripetete con me..." riprese il professore, con tranquillità, come se nulla fosse accaduto, "riciclo, ecosostenibilità rispetto delle regole e della scienza, questi sono i punti cardine".



Impassibili

 

In un mondo ribaltato, in cui esser pacati e gentili è considerato un segno di evidente debolezza, dove chi starnazza ha più considerazione di chi esprime educatamente la propria opinione, ritagliarsi uno spazio per analizzare, scevri da isterismi e sovrastrutture, la multiforme e complessa realtà che ci circonda, è sempre più un'impresa ardua. I modelli proposti dai media e dai teatrini tv sono desolanti. Guitti prezzolati in cerca del quarto d'ora di gloria, si alternano a vip di cartapesta che sentenziano su ogni materia senza soluzione di continuità, sedicenti esperti, dall'alto dei loro troni posticci, che fanno a gara a chi la spara più grossa, mentre imbrattatori della verità di professione continuano la loro opera di mistificazione e di criminalizzazione del dissenso, colorando con tratti farseschi dibattiti e discussioni, che si riducono a puerili scambi d'insulti, a mere beghe da cortile.

Districarsi tra le mangrovie ed il fango del nostro tempo, restando il più possibile vivi, analitici e puri di spirito, è sicuramente un percorso difficile, ma al contempo stimolante. Mantenersi in piedi tra le rovine richiede passione, coraggio, cuore, testa, visione a lungo raggio. Il sentiero che stiamo percorrendo, per quanto impervio e ricco di ostacoli, è quello retto. Alle grida forsennate, al raglio di somaro, opporremo perciò calma e valide motivazioni. Faremo fronte al fanatismo, alla propaganda, al letargo della ragione e del buonsenso con audacia e ostinazione nel tutelare le nostre posizioni.

Una porta si è chiusa alle nostre spalle, proiettandoci in una nuova, incerta realtà che dobbiamo affrontare a schiena dritta. Dure prove ci attendono, questo è certo, ma noi saremo pronti. Restare sani tra i folli, svegli tra i dormienti, impassibili agli scherni e all'ilarità di chi è imboccato e pensa di detenere ogni risposta in tasca, non temendo la solitudine od il giudizio altrui: è questa, al momento, la vera sfida da onorare e vincere, contro tutto e tutti.

"Dalla scuola di guerra della vita, ciò che non mi uccide, mi rende più forte”. " (F. Nietzsche)



Sconfitti ma "felici"

 

Diciamogli che è per il loro bene. Per la salute pubblica, gli anziani, i fragili, i bambini, l'economia, il lavoro, i mercati. Per l'Europa, la democrazia, la libertà, la pace, l'occidente. Per combattere l'inquinamento, il riscaldamento globale, le emissioni di CO2. Per la natura, l'ecosistema, per contrastare i cambiamenti climatici. Per la tutela delle minoranze, per l'uguaglianza, per arginare il ritorno del fascismo. Nel frattempo, toglieremo loro tutto.

Trasformeremo i diritti un tempo intangibili in concessioni a tempo determinato. Impianteremo un sistema di crisi perpetua, tra guerre e pandemie, cristallizzando l'emergenza nel dettato costituzionale. Incrementeremo, coi soldi pubblici, gli armamenti per un conflitto voluto dai nostri padroni, perpetuando il sistema delle sanzioni, alla faccia degli interessi nazionali, ai danni di un partner economico sino a ieri gradito ed imprescindibile. Annienteremo ciò che resta della sanità pubblica, distruggeremo gli ultimi brandelli della scuola e dell'università, con programmi demenziali e regole grottesche,  puntando sull'obbedienza cieca di docenti e dirigenti. Rivoluzioneremo il sistema produttivo, attraverso la deindustrializzazione del paese e la delocalizzazione delle grandi imprese. Renderemo il lavoro ancor più flessibile e malpagato, impoverendo le masse per costringerle a vivere di bonus e sussidi, per farle ancor più mansuete e legarle a doppio filo allo "Stato". Confonderemo i giovani, minando le loro certezze, la famiglia, la loro identità sessuale, rendendoli sempre più insicuri, turbati e timorosi. Sguinzaglieremo, infine, i segugi di regime: esperti guitti, giornalisti, influencer, conduttori, saranno megafono martellante della propaganda, senza soluzione di continuità, senza tregua, senza pudore alcuno. Essi ridicolizzeranno il dissenso, rendendolo macchiettistico, con squallide trasmissioni e volgari dibattiti.  

Infine, quando saranno senza denaro, senza terra, senza figli, senza radici, senza identità, saranno sconfitti, ma "felici", perché non avranno nulla. Se, malauguratamente, un giorno qualcuno dovesse chiedere come abbiamo fatto ad arrivare alla vittoria, senza che vi sia stato un lamento od uno scoppio d'archibugio, gli risponderemo che tutto sommato è stato semplice, è bastato solo dirgli che era per il loro bene.



"Walden" di H.D.Thoreau

Luglio 1845. Henry David Thoreau, all'epoca ventottenne, lascia la sua città natale, Concorde, per trasferirsi sulle rive del lago Walden, nel Massachusetts, ove rimane per circa due anni. È qui, a nudo contatto con la natura incontaminata, in una capanna da lui stesso costruita, ch'egli dà alla luce una delle sue opere più importanti e significative. Manifesto vivido e pulsante di un ritorno ad una dimensione più autentica, " Walden- vita nel bosco" traduce nelle sue straordinarie pagine, il lungo percorso spirituale dell'autore, che ha portato lo stesso ad allontanarsi dalla società, dai suoi schemi precostituiti, dalle comodità, attraverso una fuga consapevole verso una "solitudine buona", che consenta all'uomo di ritrovare sé stesso, di elevarsi, ritornando alle origini, al tangibile, all' essenziale. Il testo, caratterizzato da una prosa colta e raffinata, fonde, in un unicum straordinario, filosofia e pratica, concretezza e poesia, trasmettendo al lettore vibrazioni uniche, irripetibili, rare, che scuotono, con dolcezza e veemenza, anima e coscienza. In aperto contrasto con il mercantilismo, l'utilitarismo e l'accumulazione ossessiva di ricchezze, il testo rappresenta un ode alla libertà, alla bellezza, alla natura, ai suoi sincronismi, donandoci una prospettiva alternativa, impegnativa, rivoluzionaria, riavvolgendo il filo d'Arianna per aiutare l'uomo a trovare una via d'uscita dal labirinto del Minotauro che lo circonda, proponendo uno sforzo intimo che spazzi via la fuliggine del quotidiano, che tagli il cordone ombelicale che lo lega indissolubilmente ad un'esistenza che non gli appartiene più, che corrompe la sua essenza, eterodiretta, soggetta al giogo di meccanismi che tritano violentemente verità e purezza. Emotivo, concreto, creativo, conoscitivo, oltremodo attuale, "Walden" è molto di più di un semplice "libro". Esso rappresenta, infatti, un vero e proprio "periglioso" viaggio interiore, una cronaca, un vademecum, adatto a chi vuole "marciare al suono di un tamburo diverso", non accontentandosi di analisi scontate e facili soluzioni. Un capolavoro immortale, coraggioso, capace di sconvolgere, di squarciare la rete che ci tiene prigionieri, scavando in profondità nelle pieghe più profonde dell'animo umano, attraverso un atto "formale" che sancisca la definitiva indipendenza dalla pochezza morale di un sistema soverchiante dedito soltanto all'apparenza ed al consumo più sfrenato. 

"Essere un filosofo non è solamente avere pensieri sottili, e neppure fondare una scuola, ma amare la sapienza al punto da vivere secondo i suoi dettami, con una vita semplice, indipendente, magnifica e fiduciosa. E risolvere alcuni dei problemi della vita, non solo nella teoria ma nella pratica”




La banalizzazione del fenomeno dell'immigrazione di massa

Il fenomeno dell'immigrazione di massa è da sempre oggetto di squallidi dibattiti da arena televisiva, dove improbabili esperti, scaltri giornalisti e politici d'ogni fazione, si accapigliano con falso fervore, facendo leva sulla pancia, sfruttando sapientemente la carica emozionale dello spettatore, senza mai arrivare al nocciolo della questione. Nessuno pone un quesito scomodo, né delinea scenari alternativi. La contrapposizione resta solo tra chi vuole "accogliere" a tutti i costi, sventolando il vessillo stropicciato di un obsoleto e melenso buonismo tipico di una sinistra da salotto invecchiata male, e chi sbraita d'invasione senza argomentare, portando in auge concetti tipici di una destra edulcorata, corrotta nella sua essenza, che ha rinunciato scientemente alle sue radici, alla tradizione, alla sua ragion d'essere. Il risultato? Beghe da cortile, un costante ed imbarazzante pollaio senza arte né parte.

La forza del potere costituito, oggi, è proprio questa: ridurre il tutto ad informe poltiglia, a puerile prospetto, a scapito della verità, della reale interpretazione dei fatti, di ragionamenti più articolati, che vengono, in tal modo, ex ante rifiutati dalla maggioranza, oramai assuefatta da un sistema che sbriciola il tangibile per poi ricomporlo a suo piacimento, che trita nei suoi ingranaggi chi prova ad esprimere pensieri più complessi rispetto all'imbarazzante media. A chi giovano tali fenomeni? Si rispetta realmente l'umanità non permettendo ai popoli di vivere e prosperare nella terra dei propri avi, a cui sono indissolubilmente legati? Che conseguenze ha un impatto migratorio di tali proporzioni sull'economia e sulla tenuta sociale dei paesi ospitanti? Quali politiche di sfruttamento dei territori in questione hanno costretto migliaia di persone ad intraprendere perigliosi viaggi alla ricerca di un futuro migliore? È lecito pensare che si voglia minare il tessuto socio economico dell'Europa, inquinando il mercato del lavoro e formando nuovi schiavi senza consapevolezza dei propri diritti e della lotta di classe? Domande a cui mai nessuno darà una risposta. Si resta, così, sempre ingabbiati, divisi, nel limbo di uno squallido giuoco delle parti, tra chi si commuove con lo spot sulla fame e le carestie sapientemente propinato da chi di dovere durante i pasti per giustificare l'ingiustificabile ed accentuare il senso di colpa, e chi ulula grottesche frasi sconclusionate facilmente tacciabili di "razzismo" dai parrucconi di turno. Così, senza apparente sforzo, la riprogrammazione è servita: la maggioranza è aggiornata, come un software, in base ad un banale "algoritmo", che rispecchia la sua già plasmata coscienza e linea di pensiero. Con buona pace della verità, della giustizia e dei reali interessi nazionali. Il giochino è banale e riproposto all'infinito ma, evidentemente, funziona sempre. 




Kaczynski e la società industriale del futuro

 

Ci sono molti motivi per tornare a leggere oggi il famoso manifesto di Unabomber.

Innanzitutto documenta un raro caso di unità di parola ed azione, così distante dal modello intellettuale odierno, fatto di pensieri destinati alla carta e non alla realtà. Colpisce tra l'altro la lucidità di analisi e l'accuratezza argomentativa, le quali fanno pensare non tanto a un milite che espone le ragioni della propria lotta, quanto piuttosto a uno studioso che ha trovato nel terrore lo sbocco naturale del proprio itinerario di ricerca. Si può non condividere la via di Kaczynski – e di certo noi non la condividiamo – ma di sicuro non lo si può accusare di scarsa coerenza e di non essersi fatto carico con dignità delle proprie scelte radicali.

Sorprende inoltre la straordinaria capacità dell'autore di anticipare di almeno vent'anni processi che a metà degli anni novanta si potevano appena intravedere e che solo in tempi recenti si sono manifestati in tutta la loro virulenza. Controllo digitale, eugenetica, psicopatia sociale, politically correct, cancel culture, wokeism sono qui ampiamente anticipati e predetti come esiti necessari delle caratteristiche della società industriale, destinati ad amplificarsi con il passare del tempo e con lo sviluppo e l'implementazione dell'apparato tecnologico.

Particolarmente interessante è inoltre l'analisi che l'autore propone della psicologia dell'uomo di sinistra, la quale ha l'indubbio merito di  porre le basi per una messa in discussione della tassonomia politica classica e di unificare sotto una nuova luce gran parte delle tendenze della sinistra odierna, le quali altrimenti rimangono enigmatiche e inspiegabili ricorrendo alla pura teoria politica e alle dichiarazioni d'intenti. La fenomenologia del leftism come malattia della personalità e la sua sostanziale incompatibilità con qualsiasi programma rivoluzionario sono sicuramente alcuni degli elementi più gustosi e stimolanti dell'intero trattato.

La società industriale e il suo futuro si basa sull'idea centrale che la sanità mentale e il benessere umano abbiano a fondamento il disporre pienamente di se stessi, del proprio tempo e dei mezzi di sostentamento individuali. Potere è sostanzialmente la capacità di realizzare scopi e obbiettivi in autonomia. Il processo di potere è appunto ciò che la società industriale ha predato all'uomo, sostituendone l'attività con surrogati inutili e frustranti, utili a impegnare e distrarre il cittadino mentre altri centri decisionali dispongono di lui, confiscandone l'autonomia e riducendolo in un perpetuo stato di necessità artificiale.

Questa situazione non è, secondo Kaczynski, una contingenza storica, ma un effetto collaterale inevitabile dell'impianto tecnologico che regge la società dei consumi. Economia e tecnologia sono un tutt'uno nella società moderna e la particolare configurazione totalitaria che essa va assumendo è strettamente necessaria al suo preservarsi e alla sua piena realizzazione. Da questo si deduce che la società industriale non è riformabile politicamente, ma può essere solo abbattuta dalle fondamenta, sfruttandone le crepe e favorendone il collasso.

Il testo si impegna quindi nel suggerire scenari futuri e strategie possibili utili al rovesciamento della società industriale, partendo dal presupposto piuttosto realistico che una catastrofe planetaria sarà pressoché inevitabile qualunque sia l'esito storico dell'attuale ciclo di civiltà. Pertanto, suggerisce l'autore, meglio affrettare il più possibile i processi dissolutivi intrinsechi al sistema in modo da limitare il trauma del collasso globale e anticipare la ricostruzione dell'ordine planetario su nuovi presupposti e rinnovati equilibri. Questo sarà possibile solo se si saprà elaborare e promuovere una cultura adeguata a rifondare la società, sufficientemente inclusiva e aggregante da poter cementare una massa sociale critica che saprà, a tempo debito, cogliere l'opportunità offerta dal tracollo dell'ordine sociale e presiedere al suo rinnovamento.

Condividiamo l'impianto generale del testo. La società moderna è irriformabile; le sue tare sono costitutive così come i suoi pericoli; la politica – come si intende la gestione del potere nelle moderne società industriali – è espressione del problema e pertanto non può risolverlo; solo un rinnovamento culturale profondo può favorire e accelerare un cambiamento radicale.

Tuttavia i limiti dell'opera si palesano proprio a partire da queste premesse. Kaczynski dimostra di trascurare gran parte del dibattito filosofico contemporaneo sulla questione della modernità e della tecnica. La sua concezione di società industriale è essenzialmente orizzontale e manca di una visione d'insieme e di una verticalità metafisica che potrebbero fondare l'antitesi tra società dell'umano e dell'inumano su una base qualitativa e non meramente quantitativa (più libertà, più autonomia, più potere, più tecnologia). Ampiamente deludente è poi la risposta culturale che propone in vista del rinnovamento sociale: una sorta di anarchismo ecologista comunitario e laico, la cui inconsistenza è facilmente dimostrabile a partire dal fatto che si tratta di schemi ideologici intrinsecamente moderni, quindi affatto non alternativi al presente. Moderna è inoltre la temperie dei frequenti elogi dell'individualismo, il quale viene interpretato come alternativa al collettivismo di sinistra, ma che a parer nostro è solo un'altra espressione dello spaesamento moderno. Il modello collettivistico è superato non tanto dal ritiro nel privato nella ricerca utopica della totale autosufficienza (sia essa individuale o di un piccolo gruppo), quanto da un modello di società differenziata e organica che assecondi tanto l'istanza sociale che la vocazione personale di ogni singolo.

Nonostante questi aspetti tutt'altro che secondari, il testo rimane comunque un documento con cui confrontarsi e discutere, sia per la profondità e la lungimiranza di molti suoi luoghi, sia per il tributo di sangue che le idee ivi espresse hanno richiesto all'autore che vi ha dato voce. Kaczynski rimane, nel bene e nel male, pietra di scandalo ineludibile per tutti coloro che credono che il pensiero sia il gioco innocuo di intellettuali annoiati.



Educazione siberiana di Nicolai Lilin

Transnistria, ex Urss, repubblica autoproclamatasi indipendente nel 1990, non riconosciuta da nessuno stato. Regione aspra, gelida, inospitale. Terra di tutti e di nessuno, landa desolata, grigia, cupa, sovente teatro di scontri, criminalità, misfatti d'ogni sorta, dove convivono, in apparente contraddizione, onore ed illegalità, altruismo e disumana ferocia, amore puro ed odio cieco. È qui, in questo luogo dimenticato da Dio, quasi stagliante su un'immaginaria scogliera oltre le colonne d'Ercole del conosciuto, che Nicolai Lilin ambienta il suo "Educazione siberiana". Caratterizzata da una prosa disidratata ed uno stile agile, veloce e tagliente, denso di contenuti e descrizioni dettagliate, l'opera si presenta come un viaggio all'interno di un microcosmo a noi sconosciuto, un diario di bordo dove il protagonista, Kolima, racconta con dovizia di particolari la sua esistenza turbolenta, le sue drammatiche vicissitudini, la sua "educazione", le sue radici, il profondo senso d'appartenenza che lo caratterizza, i rigidi codici comportamentali imposti dalla sua comunità. Il testo, ricco di incisi e flashback, dipinge, con squarciante energia, scenari illuminati da una luce quasi caravaggesca, dove la tradizione che affonda le sue radici nella notte dei tempi, assume un'aura sacra, inscalfibile, che rende il mondo dove la storia si sviluppa e prende forma chiuso, lontano, quasi inaccessibile. Reale, intenso, toccante, per nulla scontato, il romanzo pone il lettore in una condizione inusuale, che lo porta quasi a parteggiare per il "male", trasportandolo in una dimensione affascinante, spaventosa, cupa, distante anni luce dalle abitudini, dal consumismo, dai valori e dallo stile di vita occidentale. Un testo iconico, particolare, a tratti filosofico, specchio fedele di uno spaccato di vita cruenta, fiera, dolorosa, che non lascia indifferenti e fa immergere chi si inoltra tra le sue pagine, in un universo costellato di simboli, rituali, ancestrale saggezza e brutale verità. Lilin ci dona, dunque, un affresco impietoso, carico d'umanità, dove sacro e profano, giusto e sbagliato, vita e morte, si fondono in uno straordinario e continuo ossimoro, tipico di un mondo affascinante e crudele, a tratti incomprensibile, spesso in totale contrasto con la nostra visione del tangibile. Ben aderiscono al testo in questione gli immortali versi di Fabrizio De Andrè: "Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior". È forse questo il senso ultimo, intimo, rivoluzionario che vuole comunicarci, a suo modo, l'autore. Dalla turpitudine più completa, può nascere un bene molto più forte, avvolto da una luce ancor più fulgida e pura, capace, talvolta, di squarciare con la sua veemenza, anche la notte più oscura dell'anima.




I figli di Hurin di J.R.R. Tolkien

Romanzo postumo dello scrittore J.R.R. Tolkien, “I figli di Hurin”, venuto alla luce nell'Aprile del 2007, rappresenta, senza dubbio alcuno, un unicum d'inestimabile valore nello straordinario macrocosmo letterario nato dalla geniale penna dell'autore inglese. Pubblicato a cura del figlio Christopher, il libro è tratto quasi interamente dagli appunti dell'accademico britannico, opportunamente revisionati ed estesi per rendere il testo completo, organico e fruibile. Facente parte dei c.d. " Tre grandi racconti della prima Era", assieme a “Beren e Luthien” e “La caduta di Gondolin”, il testo narra le avventure, già presenti nel “Silmarillion”, di Hurin, valente cavaliere ed amico fraterno del suo re. Partito per combattere contro il perfido Morgoth, egli verrà dapprima catturato e poi torturato dallo stesso, per costringerlo a rivelare la posizione ed il rifugio delle truppe superstiti. Poiché Hurin resiste, il" signore del male" abbatte un anatema sulla sua famiglia, che dovrà pagare, inevitabilmente, le conseguenze dell'eroismo del coraggioso condottiero. Rifugiatosi da re Thingol e cresciuto sotto l'ala protettrice della saggia Morwen, sarà Turin, il primogenito della stirpe di Hurin e protagonista indiscusso della vicenda, ad andare alla ricerca del padre e vendicare l'accaduto. Tra scorribande, assalti, guerre e tradimenti, il giovane cavaliere riuscirà a sfuggire agli uomini di Morgoth, peregrinando sotto falso nome di regno in regno, sino ad arrivare al fatidico scontro finale con il nemico.

Coinvolgente, avvincente ed epico, “I figli di Hurin” è un'opera di rara potenza, vigorosa, profonda, a tratti poetica, che invita il lettore quasi ad impugnare la spada al fianco degli eroi ivi descritti, trasportandolo in atmosfere antiche, quasi incantate, facendogli percepire, tra le sue pagine, il fragore di solenni battaglie, lo scintillio di lame lucenti, il riflesso del sole su abbaglianti elmi d'argento. Un testo particolare, raro, carico, nonostante l'intervento esterno, d' aura e di vis tolkieniana, che riporta in auge valori oramai perduti quali l'onore, l'appartenenza, la fedeltà, l'orgoglio, il rispetto per le proprie radici. Un libro imprescindibile, un ottimo punto di partenza per comprendere a fondo l'immenso lavoro dell'autore. Un viaggio in un mondo affascinante, ricco di pathos, che mette d'accordo, in un colpo solo, profani, semplici appassionati e puristi dell'eccezionale opera completa del professore e glottoteta inglese.



Insetti e Chianti

La pioggia, mista a neve, ticchettava ritmicamente sulle grandi vetrate del palazzo governativo, come una lancetta che, inesorabile, segnava il passare del tempo. L'acqua, purificatrice e donatrice di vita, lavava via gli ultimi brandelli d'autunno, facendo da battistrada ad un inverno che si preannunciava più grigio e rigido del consueto. La grande sala, finemente arredata, arricchita da numerosi oggetti d'antiquariato e maestosi dipinti, era riscaldata a dovere. Al centro, l'immensa tavola, apparecchiata con eleganza e ricolma d'ogni ben di Dio, quasi fosse stata preparata da Lucullo in persona, era adibita, come di consueto, per l'imminente cena. Il presidente del consiglio, composto ed impeccabile come richiedeva il suo ruolo, sedeva ancora da solo a capotavola. Alle sue spalle, le fiamme del gigantesco camino posto al lato sinistro della stanza, ondeggiavano sinuose, come avvenenti danzatrici del ventre, donando tepore, giuochi di luce ed atmosfera allo sfarzoso ambiente circostante, facendo da contrasto all'imperversare del nevischio che si faceva, via via, sempre più intenso e vigoroso. Il momento di desinare era quasi giunto. Prima, però, c'erano da sbrigare le ultime formalità: un annuncio alla nazione era infatti necessario, vista la crisi energetica, economica ed alimentare che si abbatteva, come una scure, sul paese e sul continente intero. L'addetto stampa, un uomo minuto, calvo, in abito scuro e dai grandi occhiali penzolanti sul viso scarno, si avvicinò a passo svelto, bisbigliando all'orecchio del presidente poche parole chiave. L'ora della diretta era arrivata. Alle sue spalle, la bandiera italiana e quella europea troneggiavano statiche, montate in fretta e furia su scintillanti pilastri dorati dagli addetti ai lavori.

"Italiani, concittadini, amici, il momento è delicato. Le risorse scarseggiano, le fonti d'energia sono in esaurimento e l'inverno si preannuncia particolarmente severo. I generi di prima necessità, così come gas ed elettricità, potrebbero essere razionati. Per questo, saranno necessari ulteriori cambiamenti nelle nostre abitudini quotidiane. Acquistate principalmente alimenti a base d'insetti, in quantità indicata dal governo. Sono cibi ecosostenibili, ricchi di proteine, essenziali per il corretto apporto nutrizionale ad adulti e bambini. Muovetevi principalmente, nel rispetto delle norme per il contenimento della crisi climatica, con mezzi elettrici, soprattutto monopattini. Le temperature all'interno delle abitazioni private e dei pubblici uffici, saranno sottoposte a rigidi controlli e non debbono, in alcun caso, superare la soglia di guardia dei 14 gradi centigradi, mentre l'acqua calda sarà disponibile solo nella fascia serale. A tutela della pubblica salute, sono già a disposizione il vaccino unico tarato per le varianti covid e l'influenza stagionale. Mi raccomando, proteggetevi e proteggete, prevenendo e bloccando il contagio. Restiamo uniti, rispettiamo poche e semplici regole. Tutto andrà per il meglio...grazie per la collaborazione. Il governo tutto e l'Europa unita sono orgogliosi di voi. Buona serata".

Terminato il breve discorso video, il gradimento social, come al solito, è alle stelle. Il maggiordomo, leggermente ricurvo su se stesso, entrò sommessamente nell'ampia sala di rappresentanza, seguito dai restanti membri della famiglia presidenziale, per servire la cena. " Signore, per voi è quasi pronta la solita bistecca di manzo argentino al sangue, accompagnata da verdura di stagione ed ottimo Chianti, mentre per la signora il filetto di spigola in crosta di sale sta ultimando la cottura. Per i ragazzi, se mi autorizza, faccio servire subito il primo..."." Proceda pure". "Ah, se permette, il capo del suo staff mi ha suggerito di ricordarle che, domani mattina, il suo aereo personale decollerà puntuale, dopo la colazione, alle ore 8. La conferenza mondiale sul clima la attende".