Analogie tra tecnocrazia sanitaria e fascismo?

A coloro che intravedono analogie tra la situazione odierna e il periodo fascista - o come atto d'accusa, denunciando illiberalità e compressione dei diritti, o al contrario, come modello per invitare all'obbedienza incondizionata e allo spegnersi del dissenso - rispondiamo che qualsiasi somiglianza è puramente contingente e assolutamente non sostanziale.

Qualsiasi opinione si possa avere del fascismo italiano, è fuor di dubbio che quando esso chiese sacrifici al popolo, lo fece in nome dell'idea di un'impresa nazionale comune di tipo affermativo, non conservativo, alla cui realizzazione era chiamato l'intero corpo sociale in quelle che si ritenevano essere le sue migliori qualità: forza, dignità, virilità, solidarietà, cameratismo, disinteresse e dono di sè. Era, in altre parole, uno sforzo di elevazione che veniva richiesto al singolo, oltre l'egoismo individuale e i limiti dei valori piccolo-borghesi.
La vita era considerata un bene prezioso, certo, ma sacrificabile in vista di un fine comune superiore, e l'obbedienza non era la cieca e ottusa sottomissione a un capo, ma un pegno di fiducia a una gerarchia che si considerava espressione del destino di un'epoca.
Non vogliamo discutere se il fascismo fu all'altezza o meno del proprio modello etico, nè se questo fosse condiviso da ogni suo esponente, nè tantomeno se il popolo fosse all'altezza di ciò che gli si chiedeva: ciò che conta rilevare è come il fascismo basasse il proprio ideale politico su una particolare visione etica della società, dello stato e della nazione, ci sia essa gradita o meno.

Nulla di tutto ciò oggi: il valore che si è chiamati a difendere è la pura sussistenza biologica, al punto che ad essa si ritengono sacrificabili non solo valori etici particolarmente nobili o astratti, ma anche quelli più immediati e autoevidenti, come i doveri parentali più elementari. L'obbedienza che si è chiamati a rispettare è in realtà sudditanza all'autorità di entità impersonali, come le task force tecnico-scientifiche, che dettano legge a governi di cui nessuno ha stima reale, la cui la sostanza umana trasuda mediocrità se non bassezza. Il culto della salute è null'altro che la declinazione tecnocratica/medicocratica dell'individualismo moderno e borghese, spogliato di qualsiasi giustificazione romantica e ridotto alla sua nuda essenza materialistica, fredda e pulita come la lama di un bisturi. Le forze che attualmente si è chiamati a servire sono esattamente quelle che il fascismo avversava, ossia i potentati e gli interessi sovranazionali e le forze che si opponevano alla sovranità e alla autodeterminazione dell'Italia e dell'impero.

In pratica, l'analogia con il fascismo è esattamente inversa. Prima ci si libererà da certi spettri ideologici che ancora ci assillano, prima ci si renderà conto che il nuovo che avanza è qualcosa che il passato, neppure nei suoi peggiori deliri di onnipotenza, ha mai osato immaginare.



Dissonanze cognitive scientiste

Uno dei fattori principali che hanno favorito la difficoltà a riconoscere la natura mendace della narrazione pandemica è stato un fenomeno di dissonanza cognitiva che per molti ha rappresentato un autentico shock culturale. Tale dissonanza cognitiva ha la propria origine in una radicata idea di stampo positivistico secondo cui l'uomo di scienza, e di conseguenza il mondo a cui esso appartiene e le istituzioni di cui fa parte, sarebbero portatori di particolari valori etici quali il disinteresse materiale, l'amore per la pura conoscenza, la preoccupazione e la cura per il prossimo, nonchè il sacrificio della propria individualità a favore della causa del progresso dell'umanità e della società. A questo si aggiunge l'idea che lo scienziato sarebbe portatore di un sapere precluso ai più, capace di dare accesso a possibilità altrimenti inattingibili, che ne farebbero in qualche modo un essere umano a parte, distaccato e superiore, a cui accostarsi con rispetto e con particolare riverenza. Un autentico sacerdote della religione della scienza.

Si tratta di un'idea che è ampiamente presente nell'immaginario collettivo fino almeno a un paio di generazioni fa, favorita dalla scarsa istruzione superiore della maggior parte della popolazione e da un certo senso di inferiorità proprio delle classi meno abbienti, che a quel sapere non potevano accedere. L'attuale propaganda scientista, promossa dal potere a fini politici, ha ampiamente attinto a questa idealizzazione che evidentemente gode ancora di un certo prestigio. In tale costrutto trovano fondamento, infatti, tutta una serie di pseudo-argomenti, i quali poggiano più su una base emotiva nutrita da quell'immaginario piuttosto che su reali argomentazioni; argomenti che tendono essenzialmente a escludere dal dominio del discorso chiunque non possa esibire un patentino di scientificità considerato credibile ed autorevole dall'interlocutore, anche se in discussione sono semplici questioni di buon senso o logica elementare che non richiedono particolari qualificazioni.

La dissonanza cognitiva sta proprio in questa idea assolutamente infondata dell'eticità dell'uomo di scienza. Chi ha avuto esperienza nell'ambito della ricerca universitaria, piuttosto che nella clinica, sa benissimo che si tratta di ambienti tutt'altro che disinteressati, dove vigono logiche di potere e di prestigio molto solide, che ben conoscono la prassi del compromesso e del realismo politico: in quei luoghi le figure che in qualche modo si approssimano a quella proposta dall'idealizzazione positivistica hanno spesso ruoli marginali e sono escluse dai circuiti che contano. Nell'immaginario collettivo, ci si guarda dai luoghi della politica e dell'economia, tradizionalmente identificati come quelli dove può annidarsi l'inganno ai fini del potere e del guadagno: non ci attende che esso provenga dall'ambito che dovrebbe avere come prerogativa la verità e l'interesse per il bene collettivo. La situazione odierna ci ha insegnato invece che l'uomo di scienza può servire il potere e non la verità, essere bugiardo e non obbiettivo, essere un carrierista e non un filantropo, e in genere, quando si trova in certi ruoli, lo è costitutivamente: lo è perchè il ruolo lo richiede.

Ne faremo tesoro, si spera.



Pandemia : ontologia del nulla

La strategia pandemica è tutta qui: aver scelto il nulla, per potervi creare sopra il tutto.

L'idea di considerare il covid19 non una malattia, ma un tampone positivo, è una delle idee più geniali (assieme a quella dei 'malati asintomatici') del piano covid. Che cos'è, infatti, la 'malattia-da-covid19'? Tutte le malattie possibili che si possono avere, al momento di un tampone positivo. E quindi, che cos'è la malattia da cov19? Niente. Può essere tutte le malattie, e nessuna. Tanto che questo 'suo-essere-niente' trova la sua piena espressione nella figura dell'asintomatico. E' attestato. Lì la malattia è nella sua nuda realtà, come 'essere-niente'. Come ni-entità. Il problema covid è un problema filosofico: può essere quello che non è? Il niente può avere esistenza? Perché l'idea geniale è proprio questa: aver attribuito l'essere al nulla. Così, avvicinandoci a questo nulla, si ritrarrà ogni volta più indietro. Perché il nulla non può essere preso né afferrato. Ma dentro può starci tutto. Al modo di non poter coincidere con se stesso. Perché altrimenti 'sarebbe'. E allora dovremmo affrontare una malattia, che non c'è. Meglio dire che c'è, al modo del 'non esserci'. Dire che può colpire ogni parte dell'organismo. Come lasciarlo completamente integro. E sano. Chi mai si sognerebbe, di affrontare una malattia 'che non c'è'? Come l'astuto Ulisse disse a Polifemo di chiamarsi 'nessuno', per ingannarlo e lasciarlo in balia dei suoi fantasmi, così, nel mentre tutti parlano di covid19, in realtà parlano di 'niente', affinché la malattia possa essere ovunque, dappertutto e in nessun luogo, come i focolai che possono spuntare da ogni parte. Così l'umanità è costretta, come un bambino chiuso nel buio della sua stanza, a immaginare infinite figure e mostri, che possono sorgere solo dal 'niente', dal 'niente-della-luce', da quel che non può avere forma perché non esiste. 

La pandemia da coronavirus? La notte in cui tutte le vacche sono nere.





Logiche e dinamiche del "complotto"

(A) NON PUO' ESSERE CHE TUTTI SIANO D'ACCORDO PER INSCENARE LA PANDEMIA, DAL PRESIDENTE DI UNA NAZIONE ALL'INFERMIERA DELL'OSPEDALE DI PROVINCIA:

(B) TROPPE PERSONE DOVREBBERO ESSERE COINVOLTE E COORDINATE IN UNA TALE CONGIURA;

(C) QUINDI LA REALTA' DEI FATTI E' QUELLA CHE VIENE RACCONTATA E CONDIVISA UFFICIALMENTE DA MEDIA E GOVERNI.

Logicamente, ammettendo A e B non consegue C: è possibile immaginare un quadro d'insieme in cui non tutti si siano accordati per inscenare la pandemia, proprio perchè il numero di persone da coinvolgere in una tale congiura è impensabile, eppure la versione ufficiale e condivisa non corrisponde alla realtà dei fatti. La debolezza nell'argomento non sono le assunzioni, che benchè non assiomatiche corrispondono comunque ad affermazioni di buon senso e quindi sono condivisibili dai più, ma la deduzione che ne consegue, la quale non è assolutamente implicata in maniera univoca dalle premesse.

Non ho mai sentito nessuno sostenere seriamente ciò che A nega, ossia un accordo universale per inscenare la pandemia di tutti gli attori implicati a vario titolo: questa è la classica tesi che si vorrebbe mettere in bocca ai dissidenti della volgata per poi tacciarli di "complottismo", come se l'unico modo per prendere le distanze da C sia immaginare una volontaria e cosciente cospirazione universale. In realtà, questa tesi viene attribuita ai cosiddetti "complottisti" semplicemente perchè si ignorano le tesi che sono sostenute dai non allineati, e pertanto non conoscendole si inventano, riducendo il tutto a uno schema il più semplificato possibile, tanto più irrealistico quanto più squalificante.

Per ridicolizzare questo argomento, basterebbe ricordare che l'accordo sulla pandemia non esiste ed è puramente mimato e costruito dall'apparato propagandistico. Quest'ultimo, infatti, millanta certezze scientifiche che non sussistono, e un'unanimità della cosiddetta comunità scientifica che può essere sostenuta solo ritenendo non rappresentative di tale comunità voci autorevoli che non sono concordi.

Non vi è unanimità nè tra scienziati, nè tra medici, nè tantomeno tra politici "affermazionisti", pertanto la tesi che la premessa nega è vera anche solo considerando gli orizzonti che possiamo sostenere essere compatibili con la narrazione ufficiale. Chi sostiene che C è falsa, ossia che la tesi ufficiale non aderisce alla realtà dei fatti, non afferma necessariamente un complotto universale di tutti coloro che sostengono la tesi pandemica, nè che tutti coloro che sostengono la tesi pandemica siano d'accordo sulla medesima valutazione e rappresentazione della pandemia.

Come è possibile immaginare vari gradi di adesione alla narrazione ufficiale, è possibile immaginare anche vari moventi di adesione ad essa, determinati dalla varietà di situazioni e interessi in cui gli attori sono implicati. Possiamo produrre un esempio banale. In una azienda vi è chi è ai vertici della catena di comando, detenendo il quadro d'insieme e stabilendo gli obbiettivi da raggiungere. Vi è chi è subordinato a chi comanda e non detiene la visione d'insieme, ma solo obbiettivi parziali da raggiungere e da esibire alla direzione generale. Vi è poi chi è chiamato non a decidere ma ad eseguire gli ordini da una posizione di prestigio, il quale è interessato a mantenere i propri privilegi ed è pertanto obbligato a condividere obbiettivi e visioni che assecondano la mission della propria organizzazione. Vi è poi chi esegue e non chiede, interessato esclusivamente a non essere espulso dall'organizzazione per continuare a preservare i vantaggi che derivano dal farne parte. Vi è anche chi crede ciecamente nella propria azienda pensando che chi gli dà sostentamento e sicurezza non possa ingannarlo, allo stesso modo di chi sa di essere ingannato, ma per preservare sostentamento e sicurezza finge di credere che i fini e i valori dell'azienda per cui lavora siano esattamente quelli che gli vengono propinati.

Come si vede, è possibile immaginare vari gradi e forme di adesione più o meno consapevoli e più o meno condivisi a un disegno d'insieme il cui significato è detenuto in realtà da gruppi esigui, che sfruttano a seconda delle contingenze e in modo differenziato interessi individuali, propensioni ideologiche e servilismi di sorta. Ciò che viene chiamato "complotto", in realtà, è immaginabile come qualcosa di molto complesso e stratificato, le cui logiche e dinamiche, però, sono in fondo estremamente banali e quotidiane, e pertanto perfettamente pensabili.