«L'economia ha assunto, a causa dello sviluppo
della tecnica, un'importanza tale nella nostra epoca che ormai sono i suoi
imperativi a determinare della nostra società le strutture. I mali di cui
soffriamo dipendono in gran parte dal fatto che non abbiamo saputo sostituire
abbastanza in fretta i vecchi quadri sociali, ereditati da un passato ormai
sepolto, con uomini nuovi preparati per le loro conoscenze a svolgere le
funzioni governative che il mondo moderno comporta. Il Progresso, che è una
necessità talmente evidente da esser diventato il denominatore comune degli
ideali di ogni cittadino, esige che venga bandito l'empirismo in un'epoca in
cui ormai non ha più motivo di esistere, poiché le scienze razionali illuminano
ogni giorno una nuova zona d'ombra.
I primi mutamenti del mondo moderno sono stati caratterizzati da un notevole
balzo in avanti delle scienze della materia, cui non corrispose un adeguato
progresso delle scienze umane. In questa prima fase il progresso materiale pur
apportando benessere, non eliminò completamente l'infelicità, anzi talora
contribuì ad aggravarla, poiché mancava una sufficiente conoscenza dell'uomo,
della sua natura e dei suoi bisogni. In seguito, tuttavia, le scienze umane
hanno cominciato a recuperare questo loro ritardo a passi da gigante: non è più
soltanto sulle sue conoscenze nel campo della chimica, della fisica o anche
della biologia che l'uomo d'oggi può contare, ma su quelle non meno razionali
nel campo della psicologia, individuale e di gruppo, della sociologia,
dell'economia, ecc. D'ora in poi il progresso materiale nei suoi risultati non
sarà più lasciato al caso: l'uomo, forte della conoscenza di se stesso, potrà
ormai orientare il progresso tecnico in modo da ritenere i soli risultati felici,
possiamo quindi parlare di Progresso anche senza precisarne il campo, poiché
l'uomo è in grado di far concorrere tutti i progressi particolari al Progresso
generale, assoluto, il cui scopo è la felicità del genere umano.»
Ecco, in breve, quali sono le opinioni che costituiscono il credo tecnocratico
e che oggi godono del consenso generale del grande pubblico, nonostante la
sopravvivenza di alcuni focolai di oscurantismo inveterato che sussistono nelle
più svariate categorie: si tratta di certi nostalgici della cultura dei secoli
cosiddetti "grandi", ferventi sostenitori della tradizione, più
legati alle discipline dello spirito e alla qualità del suo progresso che non
all'efficacia della sua produzione; di certi medici che continuano a vedere nel
carattere personale dell'esercizio della loro professione una condizione della
sua oblatività, di certi militari che, malgrado l'evidenza della potenza dei
mezzi di distruzione, affermano ancora il primato delle forze morali e dubitano
allo stesso tempo dell'esistenza di metodi scientifici atti a suscitare e
mobilitare dette forze; di tal uni bottegai e artigiani maniaci
dell'indipendenza, alcuni dei quali continuano a prosperare grazie all'anarchia
politica che sussiste ancora; di taluni coltivatori che hanno una sorta di
culto per la terra che lavorano e sono in generale troppo anziani per aver
potuto assimilare le concezioni che i «Giovani Agricoltori» si sforzano di
diffondere; e di altri ancora...
Ma si tratta qui di minoranze, perché non solo i tecnici, la cui mentalità è
particolarmente sensibile all'idea di una società scientificamente organizzata,
ma anche uomini di ogni specie si schierano oggi con entusiasmo o con
malinconico rammarico dalla parte delle "verità" tecnocratiche che ho
appena schematizzato a grandi linee.
Ovviamente, i più convinti sono i tecnocrati stessi, e cioè coloro che si
sentono chiamati a diventare gli eletti del sistema sociale moderno, coloro che
per formazione mentale e competenza tecnica sono designati al potere. È inutile
dire chi siano questi uomini, perché tutti li conoscono: i loro nomi figurano
in una quantità più o meno notevole di commissioni e di organismi che si
propongono lo scopo di ristrutturare la nazione o anche in gruppi
internazionali più vasti, occupano in qualità di grandi esecutori le posizioni
chiave della vita nazionale. Il saggio di H. Coston, Les Technocrates et la
Synarchie, ci offre un elenco piuttosto nutrito di molti di coloro che lavorano
come funzionari, ma, nell'insieme, i tecnocrati vanno ben oltre questa
categoria. In effetti, è sempre più lo stesso genere di persone, si può dire la
stessa casta, a occupare posizioni di potere, sia nell'ambito
dell'amministrazione pubblica che in quello dei grandi affari cosiddetti
privati, che in realtà, perdono sempre più il loro carattere privato con il
diffondersi del dirigismo e della concentrazione industriale che oggi
caratterizzano, molto di più che le nazionalizzazioni, la socializzazione del
Paese.
Molto spesso, i dirigenti delle grandi società sono ex funzionari che hanno
mantenuto l'accesso all'amministrazione tramite le loro relazioni con i
colleghi di un tempo; essi parlano lo stesso linguaggio, che non è più quello
degli uomini d'azione, ma è il vocabolario tutto neologismi degli
organizzatori. Provengono tutti dalle stesse grandi scuole, dove tenuti lontano
dalle realtà molteplici della vita, perché percepirne le infinite sfumature
avrebbe significato turbare e distrarre in modo pericoloso lo spirito nell'età
in cui è malleabile, hanno passato gli anni giovanili impregnandosi di schemi
semplificatori che ne segneranno l'intelligenza con un sigillo comune che, più
tardi, servirà loro da talismano e consentirà loro di intendersi di primo
acchito nel corso dei loro incontri per tutta la vita.
Il Piano è il motivo conduttore di questi incontri organizzati: il Piano,
questo vecchio sogno sinarchico che la IV Repubblica ha riconosciuto
ufficialmente dopo che i principali organizzatori dell'economia del regime di
Vichy gli avevano spianato la via, e al quale il tecnocrate Bloch-Laìné ha
riservato, nel suo libro La Réforme de l'Entreprise, un posto speciale, quello
di crocevia dei padroni della vita economica.
È inutile precisare che la casta è mossa da una forte volontà di potenza,
riscontrabile tanto nei parvenus che vi sono entrati tramite concorso, quanto
in coloro, che sono d'altronde i più numerosi, che assommano e i prestigiosi
diplomi e una appartenenza familiare alla classe dirigente. Si tratta degli
eredi di grandi signori che hanno dimenticato le loro tradizioni, di grandi
borghesi stanchi di intraprendere nel rischio, di grandi funzionari o di
distinti rappresentanti delle professioni liberali nei quali è svanito
l'orgoglio dell'indipendenza. Agli uni e agli altri si aggiungano poi gli
apatridi, per i quali la nazione è oggetto di conquista e la cui influenza
sotterranea è, purtroppo, determinante.
Questa volontà di potenza si esprime in concreto nella volontà di escludere dal
potere le persone che non appartengono alla casta. Il metodo più sicuro è l'edificazione
di un sistema in cui non esista alcuna possibilità di inserimento per chi non è
"ferrato in materia", e che valorizzi unicamente quelle doti che
vengono considerate valide in base ai criteri stabiliti da coloro che lo
sono.
I tecnocrati comunque, non disdegnano alcuna occasione per eliminare qualsiasi
tipo di concorrenza che possa contendere loro i posti di comando, sia che si
tratti di notabili provenienti dalle strutture naturali che ancora resistono o
rinascono nonostante tutto, sia che si tratti di indipendenti incalliti
appartenenti a varie categorie professionali e presunti beneficiari di
privilegi, sia che si tratti di politici; questi ultimi sono certamente i più
vulnerabili a causa della loro mediocrità giustamente proverbiale e dell'origine
del loro potere che è altrettanto artificiale nella nostra democrazia quanto
quella a cui si appellano i tecnocrati.
(...)
L'appetito dei tecnocrati è lo strumento di mire ideologiche di ben altra
portata: la Rivoluzione vuole la distruzione dell'ordine naturale, la
tecnocrazia, che è una forma della Rivoluzione, concepisce tale distruzione
come un capovolgimento che, nella sfera temporale, tende a sostituire
l'«economico innanzitutto» al «politico innanzitutto. »
(...)
I mezzi che i tecnocratici si propongono di usare non possono essere valutati
adeguatamente se non in funzione dello scopo che essi si prefiggono. È sempre
il problema della finalità che domina tutto il resto. Le Réflexions pour 1985
di Pierre Massé sono molto significative a questo riguardo.
Innanzitutto, bisogna essere inseriti in una certa dinamica, bisogna diffidare
di tutto ciò che è permanente, di tutto ciò che potrebbe indurci a «fuggire
l'avvenire», perché il passato vale solo nella misura in cui esso prepara
l'avvenire - quello dei tecnocrati, ben inteso. «La vastità delle
trasformazioni che i nostri sistemi di valori hanno subito sulla scia della
rivoluzione industriale ci dà la misura dei mutamenti di significati che
dobbiamo aspettarci nei prossimi vent'anni.»
La famiglia, ovviamente, è uno dei valori minacciati, poiché, essendo una
cellula naturale fondamentale, non è stata creata dall'uomo: «perché l'uomo
possa vedere nella civiltà un mondo a sua immagine, egli dovrà potervi
riconoscere sia l'opera delle sue mani, sia la partecipazione dei suoi sforzi
.... »
Ed ecco come viene formulata l'idea di Educazione permanente, che si è ormai
istituzionalizzata:
«Adattandosi in un modo più elastico a finalità più coscienti (la formazione)
dovrà sfociare nell'educazione degli individui sia come consumatori, che come
cittadini, che come produttori, e permettere loro di accedere nel migliore dei
modi a tutte le felicità possibili ....»
Dietro l'enfasi di queste parole è chiaramente riconoscibile una concezione
puramente materialistica del mondo, l'edonismo, è l'idolatria dell'Evoluzione.
Incapace di scorgere il vero fine dell'uomo creato a immagine di Dio, e
concepito per servirlo, il tecnocrate considera l'individuo uno strumento di
produzione e un organo di consumo. Il tutto è coronato da un vago estetismo:
poiché, secondo il tecnocrate, il fine dell'uomo si identifica con il suo ruolo
di produttore e di consumatore, è proprio assumendo al meglio queste funzioni
che egli troverà, per ciò stesso, la felicità alla quale aspira. Ci troviamo
dunque di fronte a un capovolgimento totale della gerarchia dei valori che
aveva instaurato il cristianesimo: la tecnocrazia non è che una forma
particolarmente insidiosa della sovversione.
Fonte: tratto da “La tecnocrazia” di L.Damènie (Società editrice Il Falco)
Il trionfo della tecnocrazia - D.Lamènie
La filosofia marxista - J.Daujat
Il marxismo è una trasposizione materialista della
filosofia di Hegel: vogliamo con ciò dire che esso si oppone all'idealismo
(e opera un vero e proprio capovolgimento del sistema hegeliano) facendo
delle idee un semplice prodotto dell'evoluzione delle forze materiali
nel cervello umano, di modo che le forze materiali vengano a essere
il vero agente creatore di storia. L'Idea, che era tutto per Hegel,
non è niente per Marx, se essa non è il prodotto di un cervello,
esso stesso prodotto delle forze materiali: in questo modo
il materialismo è integrale. Ma questo materialismo conserva l'evoluzionismo
assoluto di Hegel: non c'è alcuna realtà che sia, che resti o che perduri,
vi sono solo forze materiali in perenne conflitto e, di conseguenza, in
perenne contraddizione; l'azione e il conflitto di tali forze, creatori di
perenni trasformazioni, fanno della storia - che ne è il frutto - una
perpetua evoluzione nella contraddizione e nella lotta. Questo
materialismo è dunque un materialismo storico, un materialismo per il
quale non esiste niente altro che la storia, ed essa stessa è solo un
cambiamento incessante, generato dalle forze materiali in incessante
lotta. Esso, poi, è anche un materialismo dialettico, essendo l'evoluzione
storica fatta di un ritmo di opposizioni generatrici di cambiamento ed
essendo ritmata per tesi, antitesi e sintesi, come in Hegel. Non vi è
dunque per Marx alcuna verità che meriti un sì o un no, che darebbe un
senso a un'affermazione, ma sí e no, affermare e negare, si chiamano e
si confondono nella contraddizione, principio del cambiamento; l'evoluzione
nega domani ciò che oggi afferma, soltanto la contraddizione è regina e
non esiste alcuna verità da affermare.
Ci si inganna dunque profondamente quando si dà al
la parola "materialismo" il suo significato piú comune, per
attribuirlo al marxismo. Marx ha definito la sua filosofia come
materialismo "storico" o "dialettico": la maggior
parte dei nostri contemporanei, ignorando Hegel e non sapendo ciò che
questo significhi, dimenticano le parole "storico" o "dialettico"
e perciò considerano il marxismo come un materialismo comune, non
ricordando altro che la parola "materialismo". Ora, si chiama
normalmente materialismo la filosofia che considera la materia come
l'unica realtà; tuttavia questo materialismo ammette una realtà, quella
della materia, di una materia che esiste e che dura e che è la sostanza di
cui sono fatte tutte le cose. Essa ammette dunque una verità, la verità
che afferma la realtà della materia e spiega tutto con la sola
materia. Marx ha solo, sarcasmi per questo materialismo, che qualifica
come materialismo "contemplativo" o "dogmatico
(contemplativo,perché considera la materia come una realtà o un oggetto da
conoscere; dogmatico, per la sua affermazione della realtà della
materia) opponendolo al suo materialismo storico o dialettico. Per Marx non vi
è alcuna realtà materiale che esista e duri, vi sono solo forze materiali
la cui azione perennemente trasformatrice non lascia esistere nulla. Non è
dunque la materia, ma il conflitto incessante delle forze materiali in
azione, a costituire la base della sua filosofia. Ricordiamo di aver
sentito qualcuno affermare, con lo scopo di spiegare che il marxismo è il
materialismo piú totale che possa esistere, definirlo come "la
filosofia che fa della materia un assoluto": è impossibile mostrare
una incomprensione piú completa del marxismo, poiché il primo principio
del marxismo è precisamente che non vi è alcun assoluto, che non vi è
niente che possa essere posto come avente un'esistenza che basti a sé
stessa e che duri, che vi sono soltanto le forze in lotta, le quali
non lasceranno mai esistere né durare nulla.
Lo spirito, per Marx, non ha un grado maggiore di
esistenza della materia stessa: esso è il prodotto delle forze materiali.
Ma può essere uno strumento potente dell'azione delle forze
materiali agenti nella storia; e i marxisti non temeranno - a causa
della natura del loro materialismo - di servirsi all'occorrenza di
un linguaggio spiritualista, per prendere in esame l'azione storica
delle idee o di altre forze spirituali (morali o religiose, per esempio)
quali organi potenti per l'azione delle forze materiali che lottano
e agiscono attraverso i cervelli umani. Dottrina, ideali,
costumi, doveri, religione, tutto questo è solo il prodotto delle
forze materiali e lo strumento della loro azione. Neppure l'individuo ha
un grado maggiore di esistenza propria: egli è solo una
rotella dell'immenso conflitto delle forze materiali che modella la
storia.
Quale sarà il posto e il destino dell'uomo in una
simile concezione?
L'uomo non ha piú verità da conoscere: non c'è
alcuna realtà esistente o stabile che possa essere oggetto di conoscenza,
neppure la materia, come nel materialismo contemplativo o dogmatico.
Ogni ricerca di verità, ogni affermazione di
dottrina, ogni atteggiamento contemplativo, sono impietosamente rifiutate.
Non resta che agire, realizzarsi per mezzo dell'azione, coinvolgendo
sé stessi nella lotta e nel conflitto, esercitare l'azione
trasformatrice, che plasma l'evoluzione perpetua della storia. Non v'è
esistenza che nell'azione, e nell'azione materiale: non si esiste se non
agendo e trasformando continuamente sé stessi attraverso la propria
azione.
Per Marx l'uomo non è niente altro all'infuori
dell'azione materiale che svolge, e non possiede realtà diversa
dall'azione materiale da lui esercitata. Questa è l'essenza stessa del
marxismo, che è una filosofia dell'azione materiale pura, un totalitarismo
dell'azione materiale (come l'hitlerismo è un totalitarismo
dell'espansione vitale). Ne risulta immediatamente che per il marxismo l'uomo
tanto piú esisterà e tanto piú sarà uomo, quanto piú eserciterà un'azione
materiale potente: e qui è contenuto tutto il marxismo.
Con la sua azione materiale l'uomo fa la storia,
cosí che tutta la storia umana, è solo la storia dell'azione produttiva
dell'umanitá e nient'altro che il conflitto tra le forze produttive; ogni
epoca della storia è solo un sistema e una lotta di forze produttive.
L'uomo esiste perché modifica il mondo con il suo lavoro, l'umanità
si genera dal conflitto delle forze produttive. L'uomo è lavoro
ed esiste solo modificando il mondo col suo lavoro: nell'uomo vi è
solo il lavoratore. Il lavoratore è l'essenza dell'umanità, il marxismo
è un totalitarismo del lavoro.
Pertanto non è solo la storia che l'uomo crea e
trasforma senza tregua con la sua azione materiale, ma anche e soprattutto
sé stesso.
Cogliamo qui fino a che punto marxismo e
cristianesimo siano agli antipodi e diametralmente opposti. Il
cristianesimo pensa che l'uomo sia stato creato da Dio e abbia ricevuto da
Dio una natura umana stabile che lo fa essere e rimanere uomo, il marxismo
invece pensa che l'uomo si crei da sé, si dia da sé la propria esistenza e
si modifichi senza tregua per mezzo della propria azione materiale.
Non si può eliminare l' idea di Dio in un modo piú
totale che sopprimendo l'idea di qualsiasi esistenza che venga da lui
per riconoscere soltanto quel la di un'azione eternamente modificatrice.
Il marxismo non riconosce alcuna natura umana
stabile che faccia sí che l'uomo sia uomo. L'uomo con la sua azione si dà
da sé stesso la sua natura e la modifica senza sosta; l'uomo cambia la sua
natura cambiando il sistema delle forze produttive. Il lavoratore
industriale di oggi non è piú lo stesso uomo che era il contadino e
l'artigiano di un tempo; ha cambiato natura, è un'altra umanità che si è
generata attraverso la rivoluzione industriale, come è una nuova umanità
che deve generarsi attraverso la rivoluzione marxista. Ogni
grande opera storica è dunque un vero snaturamento dell'uomo:
essa consiste nel cambiare l'essenza dell'umanità. Da qui la
volontà marxista di strappare il piú possibile l'uomo alla natura, al
ritmo naturale delle stagioni e della vegetazione, che sfugge in parte
alla sua azione, per giungere a un mondo completamente meccanizzato
che sia pura creazione del lavoro umano. Si tratta di ricreare un mondo
che non sia quello creato da Dio, ma soltanto opera dell'uomo. In questo
senso il marxismo è un umanesimo totale; per esso niente esiste se non
attraverso l'azione umana, e non riconosce niente altro che l'uomo, il
quale si fa da sé attraverso la propria azione.
L'azione umana, come la concepisce il marxismo, è
essenzialmente rivoluzionaria:l'uomo tanto piú esisterà e sarà tanto piú
uomo, nella misura in cui trasformerà piú profondamente ciò che esiste
e trasformerà piú profondamente sé stesso Nel rifiuto assoluto di
ogni verità da conoscere o ríconoscere, di ogni contemplazione di ciò
che è, il marxismo chiama l'uomo alla piú gigantesca opera
di rivoluzione, alla piú potente azione di trasformazione e di sconvolgimento.
Per Marx non vi è altra verità al l'infuori delle esigenze dell'azione
materiale piú potente e delle necessità dell'azione rivoluzionaria. A
seconda del cambiamento di queste esigenze e di questi bisogni, la verità
cambierà dall'oggi al domani, il sí si muterà in no, poiché l'affermazione
non esprime alcuna verità e ha il solo scopo di esprimere le esigenze del
l'azione. Non è dunque per conversione, né per ipocrisia che i comunisti
cambiano senza tregua, e dicono e fanno ogni giorno il contrario di ciò
che hanno fatto e detto il giorno precedente; ciò è conforme alle
piú pure esigenze del marxismo ed essi non sarebbero marxisti
se agissero diversamente; poiché il marxismo è un
evoluzionismo integrale, essi devono - in quanto sono marxisti - evolversi
e contraddirsi senza tregua. Bisogna, una volta per tutte,
convincersi che ciò che essi dicono non esprime alcuna verità, ma
unicamente le esigenze del la loro azione, poiché per essi niente esiste
all'infuori di questa azione. L'azione è una evoluzione perpetua in cui il
sí diventa no a ogni momento. Riconoscere una verità, equivarrebbe
a riconoscere qualche cosa che esiste, e con ciò rinunziare
a trasformarla con la propria azione. Per Marx, conoscere è
niente, condurre un'azione è tutto.
Marx non s'interessa maggiormente a un ateismo
contemplativo o dogmatico che a un materialismo ugualmente contemplativo
o dogmatico: il suo è un ateismo pratico, un rifiuto di Dio
attraverso l'azione creatrice di una umanità e di un mondo che non vengono
da Dio. Ma il rifiuto di Dio è in questo modo molto piú totale che in
un ateismo dottrinale. Per rifiutare completamente Dio occorre
un rifiuto totale di tutto ciò che è stato creato da Lui o che viene
da Lui. Dunque non bisogna accettare nessuna realtà stabile, nessuna natura
durevole che sarebbe nell'uomo e nelle cose, nessuna verità costante, ma
occorre opporsi sempre a ciò che esiste trasformandolo con l'azione
rivoluzionaria. Con essa ci si crea e si crea la storia, nel rifiuto di
ogni dipendenza da Dio, e ci si pone in un atteggiamento che cosi è
totalmente "senza Dio". Non solo in modo dottrinale, ma con il
rifiuto pratico e totale di Dio i comunisti sono senza Dio, perciò essi si
professano "senza Dio militanti". E qui, per qualificare il loro
materialismo, bisogna porre l'accento sulla parola "militanti",
come sulla parola "storico". Questa
parola, "militanti", significa che si sopprime Dio non con una
negazione intellettuale, come nel l'ateismo dottrinale, ma con l'azione e
la lotta rivoluzionaria contro tutto ciò che viene da Lui, contro tutta la
sua creazione. Vedremo piú avanti come ciò può, in certe
tappe dell'azione rivoluzionaria, accordarsi perfettamente con
la tolleranza religiosa e perfino con la mano tesa al la religione.
Il marxismo va al l'estremo della rivendicazione
d' indipendenza totale del la creatura, ed è con ciò soprattutto che esso
è l 'ultimo frutto di tutto i l pensiero moderno: è il rifiuto definitivo
di qualsiasi realtà da cui l 'uomo dipenderebbe e che gli si imponesse, sia
che si tratti di una verità qualsiasi, di una realtà da conoscere cosí
com'è, o che si tratti del la sua stessa natura umana. Con l'azione,
e l'azione sola, facendo sé stesso e la storia senza dipendere da nulla e
da nessuno e senza accettare alcunché di esistente, l'uomo conquista una
indipendenza assoluta, essendo solo creatore e trasformatore attraverso
l'azione e nient'altro. Non è possibile un rifiuto piú assoluto di ogni
oggetto, di ogni esistenza che sia posta dinanzi e prima dell'attività umana
che s'imponga a questa e la sottometta: la nostra azione non è sottomessa
a niente e non dipende da nulla di esistente, c'è solo ciò che essa fa,
nient'altro che l'azione pura.
Occorre qui fare bene attenzione a ciò che è la
pura azione materiale rivoluzionaria per un marxista. Per l'uomo
comune l'azione ha uno scopo, si agisce per ottenere o realizzare un
bene, di modo che l'azione è subordinata o sottomessa a questo
bene ricercato, il quale costituisce cosí un oggetto posto dinanzi al
nostro volere come la realtà da conoscere dinanzi al la nostra
intelligenza.
E' evidente che il marxismo, non ammettendo alcuna
dipendenza né alcun oggetto, non ammetterà neppure un bene da amare
o realizzare in misura maggiore di quanto ammette che vi sia
una verità da conoscere. Un bene e un male la cui distinzione
e opposizione si impongano a noi, sono altrettanto inaccettabili per
il marxismo quanto un sí e un no, una verità e un errore. Per il marxismo
non vi è bene da amare né da realizzare, non c'è che l'azione da condurre.
Ammettere un bene che sia un fine, qualche cosa di buono che si debba
amare perché è buono, significherebbe imporre una dipendenza all'azione
umana. Il marxista che vive il suo marxismo non può amare nulla, poiché
l'amore mette in dipendenza dell'oggetto amato; il marxismo è il rifiuto
definitivo di ogni amore come di ogni verità. Se un comunista ci
presenta qualche ideale come un fine, per esempio l' ideale di giustizia
sociale messo innanzi alle rivendicazioni operaie, oppure
l'ideale patriottico, proposto oggi al popolo russo o al popolo cinese,
è unicamente perché la presenza di un ideale nei cervelli
umani diventa in questi casi un mezzo efficace per trascinarli all'azione
e alla lotta, un organo o uno strumento d'azione e di lotta delle
forze materiali. Stiamo certi, però, che il comunista che vive il
suo marxismo, ha in vista solo l'azione rivoluzionaria e la lotta
da condurre; l' ideale che mette avanti è solo un mezzo per condurre
meglio tale azione e tale lotta, e non ha, in sé stesso, alcun valore ai
suoi occhi: esiste solo in funzione di questa azione e di questa lotta e
solo per tutto il tempo che è utile a essa.
Questa esposizione del marxismo ci mostra a
qual punto, in tutto e totalmente, il marxismo stesso sia esattamente il
contrario e l'opposto del cristianesimo e di tutte le concezioni
cristiane, e con quale intelligenza inaudita e a dire il vero sovrumana,
esso prenda di contropiede il cristianesimo e realizzi praticamente
il materialismo e l'ateismo infinitamente meglio delle dottrine materialiste
o atee. La filosofia cristiana dimostra l 'esistenza di Dio partendo
dall'esistenza dell'uomo e dell'universo e come causa e origine di questa
esistenza; essa insegna che, se non ci fosse Dio a comunicare l'esistenza
a esseri che non se la sono potuta dare da soli, bisognerebbe concludere
che niente esiste. Il marxismo fa fronte rigorosamente a questa prova
ammettendo che, effettivamente, niente esiste, e conclude che Dio non
esiste poiché niente esiste; supponendo poi che si trovi, di fronte a noi
o in noi, qualche esistenza che sia il segno e la traccia di Dio, esso
insegna che non bisogna accettarla, ma sopprimerla attraverso
l'azione rivoluzionaria che gli è propria. Cosí il marxismo resta solo
un umanesimo esclusivo, che ammette solo l'azione umana. A questo umanesimo
esclusivo il pensiero moderno, imperniato esclusivamente sull'uomo, doveva
fatalmente pervenire. Chiunque vuole riconoscere soltanto la crescita e
l'indipendenza dell' individuo o della persona umana, o anche della
collettività o della società umana, e rifiuta di sottomettere tale
crescita e indipendenza a Dio e alla sua legge e di orientarle verso Dio,
apre fatalmente la strada al marxismo, sebbene solo il marxismo giunga al
termine di questa strada. Chiunque rifiuterà il primato della contemplazione, l'abbandono
dell' intelligenza a una verità da conoscere e della volontà a un bene da
amare, per rifugiarsi nell'ebrezza dell'azione pura e curarsi solo di
agire, è sulla strada del marxismo. Il capitale o l' industriale del secolo
scorso o di oggi, che fa del lavoro produttivo e dei suoi risultati
materiali lo scopo e l'essenza della vita umana, pianta un albero di cui
il marxismo sarà il frutto. Tutti coloro che annunciano che la civiltà
futura sarà una "civiltà del lavoro", ossia una civiltà in cui
il lavoro è il valore supremo della vita, sanno poi che l'unica civiltà
totalmente e unicamente "del lavoro" è il marxismo?
Ma al punto di crisi a cui siamo giunti oggi, le
soluzioni di compromesso non sono piú possibili: si tratta di essere o
marxisti o cristiani. Tra comunismo e cristianesimo bisogna scegliere: non
si possono associare le due cose, o metterle d'accordo, o
farle collaborare.
Fonte: tratto da “Conoscere il comunismo” di
J.Daujat (Società editrice Il Falco)