Pandemia: malattia dell'anima

È vero, il covid non è soltanto una semplice influenza. È lo sguardo, scuro e rassegnato, di un bambino con una maschera che gli comprime il volto e gli toglie il respiro. È la preoccupazione e l'angoscia di un padre, che si trova costretto a rinnovare il suo lasciapassare una volta ogni sei mesi per portare il pane a tavola.

È vero, il covid non è un banale stato febbrile. Sono gli occhi tesi e ricolmi di lacrime di una madre che si vede negato l'accesso alla scuola dei suoi figli, è la socialità mutilata e l'impossibilità di fare sport per i nostri ragazzi, è l'aria viziata che, tutti i giorni, inaliamo a pieni polmoni.

Non è vero che il covid è solo un raffreddore. È il tempo rubato, il sorriso negato, la solitudine ed il terrore di un anziano, l'odio seminato dai media, la distanza è l'atomizzazione sociale caratterizzante il nostro dissennato evo. È la vita continuamente calpestata, vituperata, malmenata, sconvolta, morsicata. È la letargia della logica e del buonsenso, un attacco frontale all'uomo ed alla sua natura.

Non è vero che il covid è solo una semplice influenza. È l'eutanasia di un popolo ipocondriaco che ha accettato ogni nefandezza per il quieto vivere. È il tramonto del diritto positivo e naturale. È lo schiaffo alle libertà fondamentali di tutti, vaccinati e non vaccinati, guariti, con 3 dosi, con o privi di lasciapassare, senza distinzione alcuna.

È proprio vero: il covid non è malanno stagionale, come tutti gli altri. Esso è, soprattutto, malattia dell'anima.



Il decalogo del consapevole

Ciascuno ha la propria lente, la propria gradazione. Qualcuno le lenti non le ha perché vede bene. Altri sono ciechi e basta.

Ma alcune cose debbono essere assunte come fondamentali, piccole pietre miliari di consapevolezza senza possibilità di deroga alcuna.

Proviamo a elencarle:

1 - Il Potere può essere malvagio e volere il male delle persone.

La Storia ne è piena. Le peggiori nefandezze sono state usate contro la gente da sempre. È sempre stato così. Lo è anche oggi in alcune parti del mondo. Non si capisce perché non possa esserlo anche qui in "Occidente". Davvero una cravatta fa la differenza?

2 - Per ottenere alcuni risultati il Potere è capace di tutto.

Dispone di risorse pressoché infinite, spesso occulte, fuori dai radar. È in grado di infiltrare i media, la politica, la dissidenza. Chi lo nega è un masochista idiota. Bisogna affrontare la realtà, non negarla.

3 - Il Potere ha interesse nel controllo della mente.

Ha gli strumenti per studiare la reazione alle stimolazioni collettive. Sa prevedere con ottima approssimazione il comportamento delle masse e indirizzarlo. È un fatto. Esiste la psicologia comportamentista, si studia nelle Università. Esiste l'ingegneria sociale: si studia nelle Università. Esiste la Sociologia, tanto per dire. Da essa si ricavano un sacco di informazioni.

4 - L'Umanità è stata indebolita.

Decenni di "benessere sostitutivo" hanno reso fiacca e molle la popolazione tutta. Delegare alle macchine la fatica, delegare allo Spettacolo il Pensiero, ha rattrappito l'Uomo che ora non è che pasta insulsa incapace di reazione. Incapace di Memoria. Questa è stata una precisa strategia?

5 - L'Uomo debole è schiavo.

Finalmente stracotto, l'Uomo accetta qualsiasi versione dei fatti, qualsiasi appiglio fornitogli dal Potere pur di non dover prestare alla vita un briciolo di fatica, un briciolo di pensiero. Il Grande Reset è anche la Grande Sostituzione, l'ultimo tassello nel mosaico della Delega. A breve l'Uomo non avrà ragion d'essere.

6 - Bambini di oggi, schiavi di domani.

In termini di sostituzione, i bambini rappresentano il ganglio vitale da colpire per soffocare ogni possibilità di eversione futura. Per questo motivo l'accanimento contro di loro è forte e brutale a partire dalle scuole, fucina di obbedienza di Stato per mezzo di rieducazione behaviorista.

I bambini disidentificati dalle museruole, terrorizzati dalla narrazione dominante, cresceranno come derelitti nevrotici pronti a scagliarsi contro il nemico di turno come un Manchurian Candidate. Proteggere loro, salvare loro, farli vibrare e vivere pienamente è una delle più alte e complete forme di lotta.

7 - Memoria a orologeria.

Uno dei capisaldi da tenere a mente è che la Società dello Spettacolo si nutre di oblio. L'oblio è puntellato di "fatti" e "informazioni" a scadenza, ossia necessari allo scopo per un certo lasso di tempo, poi da dimenticarsi irrimediabilmente perché sostituibili con il loro esatto opposto ad uso e consumo del Potere. Ricordare, annotare, smascherare è un dovere di tutti noi. Chi dimentica è vittima e complice allo stesso modo.

8 - Il Potere odia la Gioia.

Ama l'euforia, l'ebbrezza, quando utile ai consumi, un'euforia però ebete e stolida. Vuota. Ma non la Gioia. La Gioia è significata, piena e potente. La Gioia radica nell'uomo fondamenta forti, valori inattaccabili: questo è molto pericoloso per il Potere. Una popolazione felice, matura e in sintonia non permette al Potere di infettarla. Dunque esso demolisce per mezzo della paura, delle crisi continue, dell'incertezza e della distrazione ogni fonte di vera Gioia: dalla famiglia alla religiosità, dalla condivisione alla reale bellezza.

Riacquistare forza passa inevitabilmente attraverso la presa di coscienza della propria necessità di benessere.

9 - I fanti del Potere sono ovunque.

Credere ciecamente è sempre un errore. Da una parte e dall'altra delle fazioni. Il Potere sa bene che la massa scorpora necessariamente una parte di sé, che diverrà contraria. Dunque infiltra quella parte contraria - quando non la crea appositamente - con i propri fanti. Il controllo, o il tentativo morboso di controllo, è una caratteristica fondante del Potere.

10 - L'ultimo miglio: Il corpo.

Deve essere chiaro e assodato: l'ultima barriera da sfondare per ottenere il controllo completo è il Corpo. Che l'intera popolazione accetti senza fiatare un trattamento farmacologico potenzialmente dannoso e ancora in fase di sperimentazione è inaccettabile per noi. Segna un punto di non ritorno drammatico non per il "Mondo", ma per la Vita stessa.


Uriel Crua



La "selezione naturale"

Ultimamente si parla spesso e con poca cognizione di causa, della cosiddetta "selezione naturale". Secondo il modello classico, essa non si realizza nella morte dell'individuo debole o svantaggiato, ma nel suo insuccesso riproduttivo. In sostanza, la fortuna della specie non sta nel fatto che il debole o lo svantaggiato muoiano (cosa che non ha impatto sul destino della comunità biologica, ma solo sulla vita del singolo): sta nel fatto che, morendo prima, l'inadatto ha meno possibilità di riprodursi. Per fare un esempio: risulta selezionato un esemplare che muore giovane ma avendo dato alla luce una prole fertile e numerosa, piuttosto che un individuo sano e longevo ma che non si è riprodotto, per sterilità o impossibilità di accoppiarsi. Fermo restando che siamo molto critici sull'evoluzionismo e sul fatto che spieghi alcunché, e nel dubbio che la nostra società con i propri modelli incoraggi davvero la riproduzione dei soggetti che potrebbero migliorarla - nella certezza che, nonostante tali riserve, pseudocultura e tecnologia hanno arrestato qualsiasi eventuale deriva genetica della specie umana - sarà interessante osservare in un futuro più o meno prossimo se chi oggi invoca la selezione naturale come lo spettro di una giustizia/vendetta divina abbia veramente compreso come oggi stia operando, casualmente o artificialmente, e non abbia preso invece un colossale abbaglio. Perché, vedete, è nella fecondità che si gioca il futuro demografico di una comunità, e non sui decessi. In pratica, chi sarà in grado di avere figli sani e fertili rappresenterà il ceppo umano che ha futuro, e questo a prescindere dall'eventuale longevità dei suoi odierni progenitori. E chi ha orecchie per intendere intenda.



Il legame strutturale tra malattia e cultura

In un articolo del '36 Eliade si sofferma sull'idea che le malattie caratteristiche di un'epoca – quali ad esempio la peste nel medioevo, o la sifilide nella modernità – intrattengano una solidarietà tutt'altro che accidentale con la cultura e la visione del mondo propria del loro tempo. In altre parole, se da un lato il modo in cui una società ha definito il proprio modello di salute ci rivela la condizione umana che essa incoraggia e che ritiene desiderabile, dall'altro la via in cui concepisce il malato e la malattia ci svelano le paure, le ossessioni e i tabù di una civiltà. Il suggerimento di Eliade è prezioso perché indica un percorso ermeneutico che solo in parte è stato affrontato, e perlopiù ponendo l'accento sui legami tra dispositivo sanitario e prassi del potere – Foucault docet – piuttosto che in direzione di una filosofia della cultura che abbia come chiave di volta il modo in cui l'uomo ha concepito salubrità e patologia.

Lo snodo epocale che stiamo vivendo, avendo il proprio evento fondante nel mito della pandemia, e avendo legittimato la progressiva ristrutturazione dei rapporti di potere su esigenze di ordine sanitario, si rivela un terreno particolarmente fecondo per sondare l'ipotesi di un legame strutturale tra malattia e cultura. Difficilmente sarebbe infatti pensabile che, senza un preesistente background culturale adeguato, l'ideologia pandemica avrebbe attecchito con tale forza ed efficacia. La nostra ipotesi è che l'uomo solidale con tale pensiero abbia caratteristiche specifiche riscontrabili solo nell'epoca postmoderna, e che non sia l'emergenza sanitaria a favorirle, ma piuttosto queste ultime a secernere l'ideologia pandemica come riflesso della propria natura.

In un orizzonte in cui l'uomo è ridotto essenzialmente alla dimensione biologica, la salute fisica è il bene primario. Tale salute coincide con l'astratta condizione di assenza di qualsiasi disturbo, ossia uno stato percepito costantemente come precario ed eccezionale. L'uomo astrattamente sano è concretamente sempre malato, o a rischio di malattia, e pertanto ogni aspetto della vita sociale deve essere adeguato – e può essere sacrificato – in vista della salvaguardia della salute del singolo. La minaccia principale è costituita da agenti invisibili e inafferrabili, che solo la tecnologia e il suo progresso illimitato permettono di contrastare, e che, in un futuro costantemente procrastinato, sapranno sconfiggere in modo definitivo. Nel frattempo, lo stato di precarietà sancito come costitutivo si traduce politicamente in uno stato permanente – tuttalpiù intermittente – di emergenza, e socialmente in una forma di mobilitazione totale di tipo sanitario.

La radice postmoderna di questo impianto è evidente. Da una parte abbiamo le varie forme di riduzionismo materialista, le quali portano l'essere umano a identificarsi esclusivamente con il proprio sostrato fisico e biologico. Dall'altra, il relativismo etico e lo scientismo, combinandosi, danno luogo al modello tecnocratico, ossia una concezione del potere in cui la dimensione politica, svuotatasi, è risolta in una serie di automatismi affidati a tecnici e specialisti, o all'intelligenza artificiale. L'individualismo, nella sua veste moralista, ben si presta a favorire l'atomizzazione sociale, travestita però da cura del collettivo, la quale altro non è che una proiezione dell'egoismo su scala comunitaria. Infine, i processi avanzati di secolarizzazione propri del contemporaneo portano a trasporre le ansie apocalittiche e messianiche, eredità tipicamente moderna, all'interno di un immaginario clinico e tecnologico, dove il perenne senso di precarietà dell'uomo indifeso e abbandonato a sé stesso è compensato dal suo superamento in chiave transumanista.



Il messaggio fu chiaro

Eppure all'inizio il messaggio fu chiaro. Lampante, palese, inequivocabile, squarciante qualsivoglia menzogna. Le moine dell'avvocato, le sue parole al miele, i falsi limiti temporali, i toni paternalistici, il ricorso ad un patriottismo da balcone, malcelavano la svolta autoritaria. Non riuscivano ad occultare la violenza, la forza d'urto, l'impeto del mutamento in corso, la sua natura sconvolgente l'esistenza, travolgente il conosciuto. La cruda verità, talmente nitida da essere scorta anche sotto le mentite spoglie della tutela della pubblica salute, talmente forte da emergere con vigore inaudito dal fogliame umido e fangoso della nascente crisi sanitaria, è che avevamo già perso ogni diritto. Che tutto poteva esserci tolto senza appello, senza certezze se non quella di distruggere da parte di chi, mellifluo, propugnava quei provvedimenti. Allora, come oggi, tutto si basava su fragili teorie. Non toccare questo, stai lontano da quell'altro, stai chiuso in casa, non respirare senza mascherina, resta sul divano, immobile, mentre tutto attorno a te è in divenire. Mentre il mondo cambia, irreversibilmente. Ed oggi, a che punto siamo arrivati? Dove siamo giunti grazie agli enormi progressi nella gestione dell'emergenza? Ad essere perennemente in emergenza, a sopravvivere in emergenza, a mangiare pane ed emergenza. A considerare normalità l'emergenza. Perché era questo il fine, dal principio. Perché era l'"urgenza" come modus operandi che li svincolasse da ogni dibattito o parvenza democratica la soluzione per privarci d'ogni cosa, in assenza d'ogni fondamento logico, giuridico e scientifico. La salute non si tutela con un lasciapassare, impedendo ad un individuo sano e libero di tagliarsi i capelli o di bere un caffè al bar. Quello che sta accadendo è solo uno stupro, una reiterata e insensata aggressione all'essere umano ed alla sua natura. Un attentato all'esistenza di tutti, vaccinati e non vaccinati, senza distinzione alcuna. L'uomo non può essere ridotto e compresso in un QR code, non può essere vittima di tale atrocità. Lo dice il suo spirito, lo conferma la sua storia. Che ne dicano i volgari menestrelli del terrore.




Lo stantio antifascismo

È un argomento vecchio, già stradibattuto, eppure quando si tira fuori la questione dell'antifascismo saltano subito fuori quelli che: "ah ma allora siete fascisti".

Non attaccano tali accuse, chi è ancora legato a queste etichette deve capire, una volta per tutte, di essere stato vittima di un raggiro. È difficile ammetterlo, ma bisogna fare questo sforzo di onestà intellettuale. Nonostante esista una minoranza di nostalgici di epoche passate, noi sappiamo bene che il fascismo è stata una parentesi storica che va contestualizzata e non replicabile nei tempi attuali. Il termine “fascismo” non può essere utilizzato come sinonimo di dittatura, se si è contro i regimi dittatoriali bisogna esserlo verso quelli dei propri tempi. E’ ingenuo pensare che la storia dei regimi si sia fermata al 1946. Certo, la retorica antifascista propagandata nelle scuole ha sempre insegnato che viviamo in un'epoca democratica, di progresso, attenta alle minoranze. In realtà non è così, il potere ha solo cambiato pelle, ma è sempre stato molto riconoscibile nei suoi intenti.

Qualcuno ammonisce di non fare di tutta l'erba un fascio verso i movimenti che si dichiarano “antifascisti”, invece bisogna fare proprio così, perché oggi definirsi in tal maniera, quando l’unica ideologia rimasta da tempo è quella liberale, dei cosiddetti “mercati” e i loro deus ex machina, non è ammissibile.  Il liberalismo monopolizza la politica calpestando popoli e culture. Demonizza in tutti i modi regimi del passato semplicemente per utilizzarli come metro negativo di paragone, per dimostrare la propria bontà. Ma è un sistema che è sempre stato democratico solamente di facciata dal momento che, alla resa dei conti, un pool di banchieri e finanzieri, non eletti da nessuno, decide la solidità di un paese, il suo governo, le sue leggi e la sua economia, indicando cosa si deve o non si deve produrre. I media sono a senso unico e seguono linee ben precise, la libertà di stampa è un’altra illusione. Non esiste alcun progetto politico che non sia al servizio di élites, sono loro che nominano direttamente i governi nazionali.

Bisogna prendere piena consapevolezza di vivere in una democrazia presunta, con personaggi a servizio di interessi oligarchici. Uomini che governano le nostre vite pur non essendo legati a nessuna espressione di volontà popolare. Ogni governo nazionale è sottoposto a ricatti ed il parlamento è esautorato di ogni decisione e vincolato agli interessi del mercato.

Il punto è esattamente questo, che mentre il potere decisionale è legato ad élites ed a tecnocrati, col dito si sono sempre indicate le figure defunte di Mussolini o di Hitler. Certamente è stata una ottima tattica, riuscita, ma nel 2022 questo ridicolo dibattito non dovrebbe più presentarsi. E questi giorni possono aiutare a comprendere tali semplici evidenze.



2022, un anno cruciale

Il 2022 sarà un anno cruciale, e l'Italia, sul piano della sperimentazione internazionale, continuerà ad essere protagonista. Il nuovo ordine sanitario diverrà sempre più stringente, e con ogni probabilità si passerà dal regime dell'estorsione a quello dell'imposizione (ossia dell'obbligo), essendosi il primo scontrato con lo zoccolo duro degli irriducibili. La forma più probabile - ma non la più desiderabile, essendo inevitabilmente meno vincolante - sarà mantenere apparentemente l'impalcatura dello stato di diritto rivestendolo tuttavia di un reticolo di prescrizioni coatte legittimantesi sullo stato di emergenza permanente. L'obbligo di fatto, ossia quando le prescrizioni saranno tali da investire sfere vitali dell'esistenza, sarà dunque, formalmente, adesione volontaria e giustificata. Il cittadino chiederà di essere ammesso in società ma non avrà la possibilità di escludersene. Lo stato di emergenza finirà in quanto eccezione, ma la forma di governo che ha inaugurato sarà introiettata dalle istituzioni, probabilmente con la creazione di organismi o strutture politiche ad hoc che ne prolunghino e normalizzino i poteri. Si tratterà delle prime autentiche strutture di governo post-democratiche, perché non basantesi sul principio rappresentativo e non legittimantesi sulla prassi elettorale. Convivranno con l'istituzione parlamentare, almeno in questa fase, la quale però nel frattempo, svuotata delle sue prerogative, vedrà ridimensionare poteri e competenze a pura funzione di prestigiosa presenza simbolica. Attendiamo inoltre il superamento palese dei dettami costituzionali, che sarà sancito dal perseverare dell'attuale modello di governo autoritario oltre la fine dello stato di emergenza. In particolare, crediamo non sia da escludere la fine della separazione dei poteri nella forma di un super presidenzialismo che accorpi anche funzioni legislative, di garanzia e di governo. L'emergenza climatica si affermerà con prepotenza. Crediamo che l'accelerazione vertiginosa con cui si stanno completando le tappe del nuovo ordine sanitario siano propedeutiche alla necessità di spostare energie e operatività in questo nuovo ambito di interesse. La sua gestione non passerà attraverso stati di emergenza eccezionali, ma avendo già abituato la popolazione alla nuova disciplina sociale, si applicheranno i frutti della sperimentazione degli ultimi due anni a questa nuova esigenza. Prepariamoci a lockdown/razionamenti energetici (o qualcosa di analogo) e alle varie forme di ricatto ed estorsione sociali che ci sono note. Il tutto in un clima di crisi economica del ceto medio che aprirà a forme sempre più vincolanti di soccorso statale e relativa dipendenza e indebitamento. Sul piano internazionale attendiamo invece il consolidamento del prestigio di Draghi, il quale grazie al sangue degli italiani (letteralmente, visto i tassi di inoculazione), ha dimostrato di avere le carte in regola per guidare senza scrupoli il nuovo corso dell'UE. Tutto questo, si intende, se le cose seguiranno il loro corso senza rivolgimenti, cambi al vertice o sconvolgimenti epocali. A Dio e agli uomini l'iniziativa.



'Il castello sta per crollare' e le illusioni del web

Chi ancora oggi è convinto di poter usare gli strumenti del diritto, della protesta pacifica o della persuasione, è incapace di guardare la realtà.

Ricordiamo che alle persone viene impedito di lavorare, entrare in un bar o salire su un autobus, non perché non abbiano il 'super green pass', ma perché sono considerate pericolose per gli altri per il solo fatto di 'esserci'. Già il fatto che questo sia possibile, che nessuno possa fare niente, che nessuno abbia un potere d'intervento, che tutto regga e anzi si consolidi, indica una débâcle pressoché totale, di cui è possibile solo prendere atto.

Se si capisse che quanto sta accadendo non è inoltre provvisorio, non serve 'a vendere più vaccini possibile' (ogni considerazione affaristica è qui parecchio ingenua), ma è la costruzione di una realtà in cui ci stanno costringendo a vivere, riusciremmo a vedere 'il dominio', e non la politica.

Guardare i dibattiti in tv significa non capire che tutto si sta svolgendo dietro lo schermo. Che viene presentato l'intrattenimento, lo scontro, la discussione, mentre la realtà procede in un'unica direzione, fuori da ogni dibattito televisivo o internettiano.

Si guardi alle misure prese ormai da due anni. Si può discutere all'infinito sui media del contagio, sui vaccinati o i non vaccinati, ma alla fine, i non vaccinati sono pericolosi per il mondo intero. E vanno isolati e rinchiusi. Questo sta accadendo. E non c'è alcun dibattito. Ma l'ottimista, limitato nelle sue considerazioni umanistiche, incapace di cogliere la violenza trasformata in ordine e legalità, la menzogna trasformata in scienza, l'odio e il fanatismo in salute pubblica, continua a vedere una catena di comando fatta di incapaci, cialtroni, inetti, e non comprende la volontà in tutto quello che sta accadendo, non ne vede la determinazione, la sicurezza e la forza, ma anche l'offesa, la violenza, il disprezzo. Non ne vede, soprattutto, il suo accadere alla luce del sole. Per questo l'ottimista deve negare, per poter sopravvivere. Deve chiudersi gli occhi. Deve dire 'non è vero', 'ci stanno solo impressionando', 'cercano di farci paura', 'sono allo stremo', 'il castello sta per crollare', 'stanno impazzendo'. Non può sopportare quello che accade, ed è costretto a vederlo come una finzione, nello stesso momento in cui avviene realmente. Oppure, deve negare la violenza delle leggi, la loro sopraffazione, la loro assurdità, interpretandole come se non dicessero quello che dicono.

In quest’ottica i social network diventano droga di stato. Operazione Blue Moon. Paradisi artificiali con discussioni stantie. Coscienze assopite. Rimaste a un mondo vecchio, che sta crollando. Anzi, spazzato via a marzo 2020. Il popolo e i politicanti. Un vecchio mondo che è rimasto solo nelle teste di qualcuno. Illusioni, inganni, miserie e menzogne.

I più scollati dalla realtà poi, sono i neospiritualisti. Stiamo fermi e preghiamo. Viso assente e sognante. Mentre la violenza si consuma intorno. Tanti like. Perché Facebook deve far stare bene. E l'importante è pensare che vada tutto bene. Pace amore. E un lungo sonno.

Il nuovo ordine agisce e non pensa. Perché il suo pensiero è Intelligenza Artificiale. Programmato per l'obiettivo. Non ci sono due schiere di uomini. Non perché dall'altra parte non ci siano persone. Ma perché dall'altra parte, hanno i mezzi - tutti i mezzi - per catturare, dominare e comandare gli esseri umani. Fino alla consegna dei corpi. Qualcuno si risveglierà. Tra le macerie.



L'importanza del vincolo sociale

Non vi è società se non nel vincolo di solidarietà e rispetto che lega il simile al simile. Non vi è società se non nel reciproco riconoscimento della dignità dell'altro, che si esprime nel suo diritto a decidere di sé, del proprio corpo e della propria felicità e realizzazione. Non esiste una società del ricatto, della discriminazione, del sopruso: esiste un'unica società, ed è quella in cui il prossimo è oggetto di considerazione e di cura, e non di diffidenza e rancore.

Chi, in questi anni di “pandemia”, ha incitato l'odio, fomentato il disprezzo, alimentato la divisione, ha scelto di essere nemico della società. Chi ha allontanato il prossimo, lo ha deriso per le sue scelte, lo ha insultato per la sua perseveranza, ha rinunciato a vivere con gli altri. Rinchiusi nella solitudine condivisa della collettività atomizzata, quelli che un tempo furono fratelli, oggi sono estranei, domani forse nemici.

La società è preservata, nel presente e per sempre, solo dove il vincolo sociale è confermato da un patto d'amore per la propria terra e per coloro che ne condividono le sorti.

A coloro che hanno la responsabilità di decidere di milioni di vite, dunque diciamo: ritornate sui vostri passi e ritrovate l'orgoglio di quella passione politica che forse vi animò nel principio. Ci fu un tempo in cui forse credevate anche voi a valori come la giustizia, la verità e la bellezza. Ci fu un tempo in cui forse pensavate, con l'idealismo e l'ingenuità tipici della gioventù, di poter contribuire a edificare la casa comune in nome di una visione alta e nobile.

Guardatevi adesso: state rinunciando alla civiltà per edificare una nuova epoca dell'inumano e della barbarie, di cui senz'altro le vostre madri e i vostri maestri si vergognerebbero.