L'evento pandemico ed il nuovo (dis)ordine

Ogni ordine ha la propria origine in un insieme di credenze e di eventi che lo fondano; in quanto tali, essi sono sottratti alla messa in discussione e alla critica, perché istituiscono il nuovo campo della razionalità all'interno di cui, esclusivamente, può darsi il discorso. Possiamo pertanto dedurre due cose. Innanzitutto, ogni ordine si regge su delle fondamenta che non sono razionali, e i motivi per cui esse sono assunte non sono argomentabili. Inoltre, quando osserviamo il coagularsi di una serie di credenze e di istanze non razionali che vanno ad organizzarsi in un sistema di senso, stiamo assistendo all'istituzione di un nuovo ordine, il quale apparirà tanto più incomprensibile - per non dire assurdo - quanto più si distinguerà dal precedente.

Il nuovo ordine alla cui nascita stiamo assistendo, appare irrazionale solo perché su di esso ci stiamo interrogando utilizzando categorie obsolete, ossia quelle del mondo a cui apparteniamo. Chiediamo ragione, inoltre, di fatti che propriamente non sono storici ma fondativi, pertanto non appellabili. La cosa non è facile da accettare, ma prima se ne prenderà atto e prima si riuscirà ad organizzare una critica efficace. E' innegabile che ormai l'evento pandemico abbia assunto una dimensione mitologica, ossia il suo accadere sia relegato in un tempo che istituisce e fonda il senso, su una base non più storica ma ormai simbolica e, per molti versi, religiosa. Attenzione: qui non stiamo parlando della realtà o meno dei fatti in questione, che non è a tema, ma del modo in cui questi fatti vengono elaborati e "funzionano" all'interno di una cultura. Non conta neppure che tali fatti ci siano più o meno prossimi dal punto di vista cronologico; conta piuttosto la posizione virtuale in cui si situa l'osservatore e il modo in cui, chi li valuta, decide di prenderli in considerazione.
L'evento pandemico, che è l'evento mitico fondativo del nuovo ordine, appare ormai un dato di fatto indiscutibile: esso è interamente sottratto alla critica - o meglio, la critica è nei suoi riguardi ininfluente - e costituisce il punto zero di una nuova civiltà che alle sue conseguenze si deve adeguare, così come deve conformarsi agli imperativi delle nuove gerarchie che legittima. Se per religione si intende un insieme di credenze e di riti che uniscono una civiltà tanto orizzontalmente, ossia come compagine sociale, che verticalmente, ovvero con ciò che la trascende e le conferisce un senso, possiamo asserire di trovarci attualmente in un ambiente intimamente intriso di elementi e suggestioni pseudo-religiosi. Finché non riconosceremo i motivi della costitutiva irrazionalità dello spazio che si va conformando, continueremo a stupirci e ad indignarci dei riti, dei simboli, delle tavole della legge che ci vengono imposti, senza comprenderne le ragioni e le dinamiche intrinseche. E' così questa modernità - ormai post, ossia superata da sé stessa - la quale si è da sempre autorappresentata come il trionfo della ragione sul dispotismo di antiche gerarchie che si ordinavano al sacro, si palesa ancora una volta come la parodia di quei mondi che disconosce, ma di cui afferma l'intima legittimità nell'atto stesso di rinnegarli. L'uomo è da sempre sé medesimo: necessita del sacro come dell'aria che respira, e quando se ne priva per millantata raggiunta maturità, è costretto a produrselo in vitro.